Il diritto comunitario e le donne, Commissione delle Comunità Europee, Donne d’Europa n.12, Bruxelles 1983

da | Lug 12, 2012 | Scritti d'archivio

l. IL DIRITTO COMUNITARIO E LE DONNE (l)

1. Che cos’è il diritto comunitario?

Il diritto comunitario è un ordinamento giuridico autonomo, vale a dire indipendente dagli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Le sue fonti sono costituite da fonti scritte (ad esempio, i trattati, il diritto derivato), non scritte (ad esempio i principi generali del diritto, la consuetudine) e dalle decisioni prese dai governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio. (2) Le donne in quanto tali sono contemplate in particolare dalle fonti scritte, soprattutto l’articolo 119 del Trattato di Roma e da talune direttive del Consiglio.

1.2. L’articolo 119

La prima fonte scritta del diritto comunitario è il contenuto dei trattati che istituiscono la Comunità economica europea, compresi gli allegati, i protocolli, i trattati d’adesione dei nuovi Stati membri, ecc.

Solo uno di questi trattati, il Trattato di Roma del 25.3.1957, che istituisce la Comunità economica europea, contiene un articolo, l’articolo 119, che riguarda specificamente le donne, ma solo in quanto lavoratrici.

L’articolo 119 stabilisce che ciascuno Stato membro deve garantire e mantenere la parità di retribuzione tra i lavoratori e le lavoratrici per un medesimo lavoro.

Ciascuno Stato membro assicura durante la prima tappa, e in seguito mantiene, l’applicazione del principio della parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro.

Per retribuzione deve essere inteso, ai sensi del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo, e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo.

La parità di retribuzione senza discriminazione fondata sul sesso, " implica

a) che la retribuzione accordata per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura, b) che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per un posto di lavoro uguale."

(1) Cfr. La Corte di Giustizia delle C.E., Documentazione Europea, 1.1981 Il Diritto comunitario, 6.1981, Documentazione Europea.

(2) Le informazioni riportate nella presente pubblicazione sono aggiornate al 30.4.1983.

Il carattere essenzialmente economico del "Mercato comune" spiega perché tale distinzione dei sessi sia stata fatta nel campo dell’occupazione. Questo articolo era del resto finalizzato a favorire la libera concorrenza tra le industrie degli Stati membri evitando ogni distorsione di concorrenza basata su una manodopera femminile retribuita meno bene.

Esso non scaturiva dal principio generale della parità tra uomini e donne, ma ha nondimeno costituito la base da cui è in seguito derivata tutta la normativa e l’azione a favore delle donne.

1.3. Le direttive del Consiglio

La seconda fonte scritta del diritto comunitario è il diritto "derivato", cioè il diritto creato dalle istituzioni comunitarie: ad esempio, i regolamenti, le decisioni, le direttive.

Finora sono state adottate tre direttive e la Commissione ha presentato il 29.4.1983 una proposta di direttiva al Consiglio relativa alla situazione delle donne che lavorano; altre due direttive potrebbero essere adottate nel 1983 (1).

In considerazione delle difficoltà incontrate per imporre l’applicazione dell’articolo 119, si è rivelato utile intraprendere studi in materia; nel 1961, il Consiglio dei Ministri, sulla base di una raccomandazione della Commissione, che rammentava agli Stati membri i loro obblighi, ha adottato una risoluzione che invitava gli Stati membri ad agire in tale contesto.

Con la risoluzione del 21.1.1974 relativa ad un programma d’azione di quattro anni (2), il Consiglio ha manifestato inoltre la sua volontà di adottare misure necessarie per realizzare, tra gli altri obiettivi, "la parità tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro ed alla formazione e promozione professionali, nonché per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le retribuzioni"; il Consiglio considerava che "l’espansione economica non è un fine a sè stante ma deve tradursi in un miglioramento della qualità come del tenore di vita".

Per attuare tale programma, il Consiglio ha adottato pertanto la diretttiva 75/117 del 10.2.1975 sulla parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (3), quindi la direttiva 76/207 del 9.2.1976 sulla parità di trattamento (4), seguita dalla direttiva 79/7 del 9.12/1978 relativa alla parità di trattamento in materia di sicurezza sociale (5); e infine la Commissione ha trasmesso al Consiglio una proposta di direttiva in materia di sicurezza sociale (regimi professionali) ( 6) .

(1) (2) (3) (4) (5) (6 )Cfr. GU C GU L GU L GU L Cfr.

Programma d’azione, pag. 13 del 12.2.1974

45 del 19.2.1975, pag. 19 39 del 14.2.1976

6 dellO .1.1979 pag. 78.

La direttiva è uno strumento giuridico, adottato dal Consiglio all’unanimità, che facilita l’applicazione della normativa comunitaria perché sancisce l’obbligo per gli Stati membri di prendere misure nazionali al fine di realizzare entro un determinato termine l’obiettivo fissato dalla direttiva.

Per promuovere la parità tra uomini e donne nel campo dell’occupazione è stato pertanto creato tutto uno strumento giuridico che non è però rigido ma può essere completato, come è accaduto recentemente e avverrà di nuovo prossimamente, per migliorare la realizzazione del principio di parità nell’occupazione. Tutto ciò consente di sperare in misur adeguate alla evoluzione delle condizioni economiche e sociali. Il programma della Commissione per la parità di possibilità 1982/85 (1) ha tra l’altro ribadito la necessità di completare il quadro giuridico esistente e di definire talune disposizioni.

1.4. Il primato del diritto comunitario sul diritto nazionale

Una delle caratteristiche essenziali della Comunità europea è costituita dal fatto che il diritto comunitario è un ordinamento autonomo, dotato di istituzioni proprie aventi diritti sovrani.

Tali istituzioni non dipendono quindi dagli Stati membri per svolgere i loro compiti e il diritto comunitario è applicabile in quanto tale negli Stati membri. La dottrina della diretta applicabilità non significa che tutte le disposizioni del diritto comunitario abbiano un effetto diretto e immediato ma che "talune disposizioni sono in grado di produrre effetti diretti a seconda del loro testo, del loro obiettivo e della loro funzione". (2)

L’articolo 119 è direttamente applicabile.

Dal diritto comunitario derivano diritti e doveri per le istituzioni comunitarie, gli Stati membri e i privati. Il primato del diritto comunitario sul diritto nazionale è logico e necessario: la Comunità europea non potrebbe funzionare se gli Stati membri potessero non rispettare a loro discrezione il diritto comunitario. Ne consegue che qualsiasi disposizione del diritto nazionale che sia contraria al diritto comunitario è inapplicabile. (3) Uno Stato membro non può adottare o mantenere misure che possano compromettere l’effetto dei trattati.

E’ la Corte di giustizia (4) che ha l’incarico d’interpretare il diritto comunitario per permetterne un’applicazione uniforme (5), e nessuna giurisdizione nazionale si è opposta alla sua interpretazione.

(1) Cfr. pag. 78, e COM(81) 758 def., nonché Donne d’Europa, supplemento nO 9. (2) D. LASOK, La Corte di giustizia, strumento dell’integrazione comunitaria, pago 41 in Revue d’intégration européenne, 1979, II, 3.

(3) Causa Costa/ENEL, Raccolta delle Sentenze della Corte di giustizia, 1964 pago 1141 –

Art. 189, 2° comma CEE, art. 117 CEE. (4) Cfr. pag. 88.

(5) Art. 164 CEE.

1.6. Le possibilità di ricorso di un privato

Un privato può impugnare per nullità una decisione di una istituzione comunitaria sulla base dell’articolo 173, 2° comma, del Trattato CEE purché la decisione sia stata presa nei suoi confronti oppure, pur essendo destinata ad altre persone, lo riguardi direttamente ed individualmente. Ne consegue che un privato non può proporre un ricorso contro una direttiva.

Se una persona, ad esempio, constata che uno Stato membro ha mancato ad uno dei suoi obblighi derivanti dall’articolo 119 o dalla direttiva, non può introdurre un ricorso per inadempienza davanti alla Corte di giustizia (solo la Commissione e gli Stati membri possono proporre tale ricorso) Tale persona può presentare un reclamo scritto alla Commissione che, previo esame, può iscriverlo nell’apposito registro; successivamente essa richiede allo Stato, tramite la rappresentanza permanente dello stesso presso le Comunità, un complemento d’informazione e avvia una procedura d’infrazione.

Una persona che si ritenga lesa nei propri diritti che abbiano la loro fonte nel diritto comunitario, può proporre azione davanti le autorità giudiziarie nazionali (tribunale del lavoro).

Un giudice nazionale può chiedere alla Corte europea di pronunciarsi sulla validità di un atto di diritto comunitario derivato che egli debba applicare in materia e/o sull’interpretazione del diritto comunitario derivato e dei trattati. E’ unicamente il giudice nazionale che decide della necessità di tale rinvio per una pronuncia pregiudiziale in materia di validità o d’interpretazione. La sentenza emanata dalla Corte europea vincola soltanto i giudici nazionali chiamati a risolvere una controversia di diritto interno (1).

Questa procedura di rinvio per pronuncia pregiudiziale garantisce l’uniforme applicazione del diritto comunitario ed ha dato un grande contributo alla penetrazione del diritto comunitario nelle strutture nazionali. La Corte è stata ripetutamente chiamata a pronunciarsi in materia di interpretazione del contenuto e della portata dell’articolo 119 e talune sentenze sono rimaste celebri (2).

(1) Per maggiori particolari su tali procedure, cfr. pag. 88 (2) Cfr. pag. 91 e segg.