di Marta Ajò
Cercando di non partire, ancora un volta, dalla storia delle donne(che è infinita), dalle loro battaglie, dalle loro vittorie e sconfitte, speranze e disillusioni, ma guardando solo al 2020, un anno a dir poco difficile, è possibile per loro trarre un bilancio obiettivo?
E’ necessario restare ben’ancorate a terra per non cedere alla retorica del racconto.
La premessa necessaria è che il 2020 è iniziato con una pandemia mondiale e con un lockdown.
Ovviamente ogni azione, ogni atto è stato condizionato dalle conseguenze che ne sono derivate, sia nel pubblico come nel privato, e questo ha riguardato ogni cittadino uomo o donna che fosse.
Questa uguaglianza di condizione avrebbe dovuto portare ciascuna/o a svolgere ruoli e comportamenti responsabili in uguale misura. Ed in teoria così è stato salvo verificare che, nella pratica, essi si sono frantumati e scontrati contro una “presunta” uguaglianza che non ha tenuto conto delle diseguaglianze preesistenti.
Le donne, in alcune aree, fungono oggi come ieri, da cuscinetto sociale-politico-economico a bilanciamento di carenze e contraddizioni strtturali.
Al contrario, la “politica di genere”, non può che avvalersi di entrambi i due generi e non dalla contrapposizione di essi, nell’interesse comune su cui si dovrebbe basare un progetto politico di ampio respiro e la sopravvivenza stessa di una nazione.
Le difficoltà ereditate da un tormentato passato, non ancora sanatosi in questo primo scorcio di secolo, si sono aggravate in quest’anno sfortunato. In esso il genere femminile ha continuato a confrontarsi con un pensiero consolidato a vecchi stereotipi culturali-politici che non hanno e non contemplano in modo adeguato le differenze dei generi nella loro positività.
Ad esempio lo svolgimento dello smart-working ha amplificato il carico di lavoro tra pubblico e privato a scapito delle donne. Come se fosse normale e scontato che ciò avvenisse.
Tutto si è svolto in linea con una vecchia visione politica di governo e con un’ incapacità di aggiornamento-rinnovamento della stessa alla quale, e stavolta si che vale la pena citare il femminismo degli anni 70-80, il movimento delle donne si è pur rivolto, perpetuando una sorta di dibattito a una sola voce.
Sarebbe comunque stolto, e non vero, affermare che le donne sono oggi quelle d’ieri, e ci mancherebbe altro!
Solo che le cose ottenute, chiamate “conquiste”, non sono state che gocce nel mare della questione complessiva ed alcune caratteristiche “contro-genere” si sono amplificate e manifestate in modo esponenziale, si pensi alla violenza contro le donne, proprio negli ultimi anni.
Se si vuole dare un senso compiuto al significato delle parole, il movimento “femminista-femminile” come fu considerato allora, marciava verso una meta e avrebbe dovuto concludersi all’arrivo della tappa finale.
Guardando però all’oggi, ai gruppi sopravvissuti da allora, ad un nuovo “cosiddetto” movimento rinnovato e combattivo delle tante realtà, siano politiche, sociali, associative, culturali e più o meno rappresentative d’idee e territori, possiamo affermare che esso esista ancora.
Ma cosa fanno e cosa vogliono dunque le donne “movimentiste” di oggi? Niente di più che uguali diritti nella società, nell’ economia, in politica: governabilità, mondo, futuro.
Senza quest’ottica ogni loro analisi perderebbe il suo contenuto, ogni parola il suo significato.
In questo 2020 le donne se la sono cavata benissimo contribuendo altresì a garantire stabilità tra vita sociale e privata, vere protagoniste, sostenitrici, stabilizzatrici di nuclei relazionali e lavorativi. Non solo.
Esse si sono formate e reinventate in modo straordinario nell’ accettare nuove strategie di lavoro, svolgendo contemporaneamente il ben più vecchio e faticoso impegno di gestione familiare: casa, accudimento, cura, relazioni, economia domestica, figli.
Hanno dovuto e saputo mettere insieme la negatività di un’emergenza con la straordinarietà del cambiamento comprendendo che da esso non si potrà tornare indietro, che il futuro sarà diverso da quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi. In una prospettiva di mediazione generazionale e rinnovamento sociale va collocato il loro agire.
A questo punto andrebbero riconsiderati anche i modi per sparigliare metodi di politica obsoleti e distratti, che hanno lasciato proliferare e mantenuto disuguaglianze e debolezze di genere.
Non mancano peraltro alcuni uomini “illuminati” che pongono attenzione e disponibilità in questa direzione ma restano purtroppo ancora insufficienti rispetto al pensiero “conservatore, egoistico, strumentale” di chi gestisce potere politico ed economico, per lo più in mano all’altro genere.
Stiamo per entrare nel 2021.
Si può considerare che il cambiamento, quello che fino ad un anno fa chiamavamo ancora futuro, sta prendendo forma in modo irreversibile e i comportamenti attuati per coprire le falle del vecchio sistema hanno bisogno di procedere in modi e tempi diversi quanto rapidi.
In questo contesto dunque quale potrà essere la nuova prospettiva del “movimento delle donne” e quale la politica da mettere in atto attraverso le proprie rappresentanze territoriali, politiche ed associative, per modificare l’”immodificabile”?
Riflettendo sulle procedure d’intervento messe in campo finora da questo “esercito”, numeroso ma debole, risulta che i metodi usati sono sempre gli stessi: analisi, incontro-confronto, statistiche, suggerimenti, consulenze, sostegno, condivisione, collateralismi, progettazione, scritture, relazioni e appartenenza, visibilità (poca) ecc.
Niente di tutto ciò ha sortito il risultato auspicato.
Trarre la conclusione che più di questo non si può fare o, peggio, più di questo non si possa ottenere, porta a considerare che la politica di genere, pur sostenuta con grande sforzo e straordinaria partecipazione di interlocutrici (alcuni interlocutori) di altissima professionalità e competenza, non abbia futuro.
Un esempio fortemente rappresentativo, non il solo ma forse in questo anno il più attivo, è l’azione svolta dal gruppo degli Stati Generali delle Donne, che non ha interrotto di un solo giorno la sua presenza-attività nel dibattito del 2020, con il chiaro intento di passare da forza di movimento a forza di costruzione.
E’ questo un passaggio fondamentale per la “cultura” femminile, troppo responsabile quando non rinunciataria, per passare da forza delle idee a forza contrattuale. La domanda che si pone successivamente è come raggiungere quest’obiettivo.
Quando le donne iniziarono a ragionare sul come rompere il famoso “tetto di cristallo” che le imprigionava, non considerarono forse che bastava munirsi di un martello e per lungo tempo si sono soffermate invece a ragionare sul perché restavano là sotto e perché altri ce le tenevano. Fiumi di riunioni, di parole, di sofferenze ma poiché ogni cosa ha bisogno del suo tempo, storicamente forse fu giusto così.
Oggi non può che essere diverso. Perché se noi compariamo a fondo quelle vecchie analisi con le nuove, le richieste di allora con le attuali, verificheremmo che il “tetto di cristallo” c’è ancora e le questioni sono sempre le stesse come stessi sono i motivi per cui non le donne non si danno pace.
Studiare nuove strategie di azione più incisiva non deve quindi spaventare.
La metodologia usata dalle donne finora si è basata su un eccesso di “bon ton”, adattato a vecchi stili politichesi. Le donne che fino ad oggi hanno avuto la possibilità di parlare per “loro” hanno denunciato e richiesto interventi ma sono state scarsamente ascoltate. Le enunciazioni di provvedimenti e risorse dichiarati in loro favore da Governo e classe politica non parlano di adeguati programmi d’intervento di sostegno complessivo.
Uscire dal “cono d’ombra” (sostituto del “tetto di cristallo”) in cui ci si è adattate, sarà la prima mossa da mettere in atto ma come realizzarlo?
Esaltandosi, credendoci e puntando su alcune pedine.
Intanto una o più figure carismatiche che non abbiamo paura di: farsi nemici, perdere la faccia, rischiare quello che “credono” di avere raggiunto, vadano nel posto giusto nel momento giusto, si ricordino delle altre. Interpreti e garanti.
Sicuramente esse non rimarrebbe invisibili nella seconda parte della storia delle donne.
Perché è’ difficile accettare la sconfitta per chi ha creduto nella pacifica avanzata del proprio esercito, un po’ sfiancato, con le armi spuntate, che non incute paura ai contendenti, privo di capitane coraggiose o eroiche portabandiera ma che ogni tanto ha provato ad alzare la bandiera e rullare il tamburo.
Il 2021, per le donne, dovrà essere l’anno della prospettiva, della generosità, della disponibilità e della forza.
O il 2021 cancellerà le speranze.