Lecite le videoriprese fatte per provare le molestie nello studio professionale, 19 ottobre 2010

da | Ott 22, 2010 | Anno 2010

 
È utilizzabile nel procedimento contro il dominus di uno studio professionale, accusato di molestie sessuali, la video ripresa fatta dalla lavoratrice, bersaglio delle attenzioni.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 37197 del 19 ottobre 2010, ha accolto il ricorso della Procura di Trani contro la decisione di proscioglimento di un datore di lavoro che era stato “videoripreso” mentre molestava la donna.
Ma lei si era attrezzata riprendendo il 54enne. Poi l’aveva denunciato per essere stata oggetto, aveva sostenuto, “di vessazioni, molestie, complimenti lascivi e costretta a subire atti sessuali da parte del proprio datore di lavoro sotto la minaccia di perdere il posto”. Le accuse si erano risolte con un non luogo a procedere pronunciato dal Gup perché, aveva motivato, la videoregistrazione ambientale, effettuata dalla donna su accordo della polizia, era inutilizzabile”.
Contro questa decisione la Procura ha fatto ricorso in Cassazione e lo ha vinto. La terza sezione penale ha infatti precisato che “nella ipotesi concreta, vi è stata una ripresa di immagini comunicative (inutilizzabili per carenza del necessario provvedimento autorizzatorio) e non comunicative captate in un appartamento (adibito a studio professionale) dove si svolgevano manifestazioni di vita privata e che è ricompreso nell’ambito della nozione di domicilio”. Ma non solo. La singolarità che il caso introduce si incentra nella circostanza che le riprese “sono state effettuate da persona che era protagonista dell’episodio, verso la quale il suo interlocutore non aveva lo jus excludendi, perché si trovava nel suo abituale ambiente di lavoro che costituiva il suo domicilio per un periodo di tempo limitato della giornata (nell’arco del quale sono stati commessi i fatti)”.
Insomma, con la ripresa visiva , sia pure eseguita furtivamente, la donna non ha violato con interferenze indebite la intangibilità del domicilio né la necessaria riservatezza su attività che si devono mantenere nell’ambito privato essendo, si ripete, nel suo domicilio e riprendendo illeciti che la riguardavano.
“La mancata violazione della tutela prevista dall’art.14 Cost. – chiude il Collegio – supera la problematica, sulla quale esistono variegate opinioni, inerente la necessità di un provvedimento autorizzatorio anche per le riprese visive di comportamenti non comunicativi in luoghi di privata dimora. Consegue che , nella specie, non essendo configurabile alcuna intrusione nell’altrui domicilio, la videoripresa, almeno per quanto concerne la fissazione degli atti non comunicativi, è da considerarsi prova atipica; la conclusione del gravato provvedimento sulla totale inutilizzabilità della videoregistrazione non è condivisibile”.