Quei bicchieri di troppo

da | Giu 20, 2017 | Quello che le donne raccontano

 

Le storie che le donne raccontano a volte sono molto tristi ed hanno risvolti tragici, ma non per questo non vanno trattate, se non altro per la speranza che chi si riconosce in esse possa trovare lo stimolo per combattere e vincere certe avversità dell’esistenza. Quella che segue è una di quelle, una testimonianza raccolta da un nipote della signora Grazia.
Il mio nome è Grazia, ho sempre fatto la casalinga ed ho 46 anni, il mio più grande cruccio è stato quello di non esser riuscita a diventare madre e forse questa mancanza è stata la causa dei miei mali. Non so neppure io come tutto sia cominciato, so solo che più per noia che per altro ho cominciato a bere, non superalcolici, ma un frizzantino intanto che guardavo uno dei soliti programmi televisivi pomeridiani credendo ingenuamente che solo i superalcolici fossero nocivi. Uno oggi, uno domani finché è diventata un’abitudine che non si è però fermata al frizzantino delle cinque, ma si è estesa a quello del mattino finché ogni momento era valido per bere, ricordo che dopo qualche anno ero arrivata a scolarmi anche due bottiglie al giorno. Bevevo di nascosto e per non dare troppo nell’occhio, a tavola con altre persone o non bevevo o mi limitavo alle classiche due dita giusto per gradire. Le bottiglie le nascondevo e quando mio marito, che per lavoro era sempre fuori e veniva a casa alla sera, solo dopo molto tempo si accorse che qualcosa non andava, ma ormai era troppo tardi: ero diventata un’alcolista inveterata. Non potevo fare a meno del vino e quando restavo senza soffrivo da morire, strane sensazioni pervadevano il corpo e la mente e col passare degli anni fui colta più volte da terrificanti episodi di delirium tremens. Fui ricoverata non so quante volte, riuscivo a procurarmi l’alcol anche in ospedale e quando uscivo cercavo sempre di non bere, ma non ce la facevo e per far sì che non mi trovassero il vino, lo versavo in un’infinità di recipienti che nascondevo ovunque, a volte neppure io mi ricordavo dove li avevo messi. Mi ero ammalata di tbc e avevo trascorso lunghi mesi in un sanatorio, ma anche lì riuscivo a soddisfare la mia insana voglia, ero diventata la brutta copia di me stessa, mentivo a tutti, anche a me stessa, il mio corpo, magro, si era gonfiato e il mio modo di parlare biascicato tradiva l’alcolista che ero diventata. Tralascio i particolari più scabrosi, ma in cuor mio non so quanto tempo potrò continuare a vivere in questo stato, ho la cirrosi epatica e le varici esofagee che mi tormentano.

Dopo sei mesi da questo sfogo-confessione, da cui ho estratto solo un breve sunto, all’età di soli 46 anni, Grazia si spegneva tragicamente in un’anonima stanza d’ospedale.

Mnemosine di Max Bonfanti
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