Formazione rivoluzionaria delle donne II : Produzione e riproduzione

da | Set 1, 2021 | Testimonianze e contributi

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

 

 

Sommario

Premessa Introduzione
Il lavoro riproduttivo di forza-lavoro nel capitalismo Sulla critica a posizioni nel movimento femminista Il lavoro delle donne è valore d’uso senza valore
Le donne soffocate dal lavoro più umiliante…

La sottomissione non legata a differenze biologiche “Sciopero essenziale”? Un commento critico Capitalismo, riproduzione, femminismo neoliberista

APPENDICE
Femminismo pro-anti Marx di Carla Filosa

pag. 3

pag. 4

pag. 5

pag. 9

pag. 16

pag. 23

pag. 27

pag. 31

pag. 34

pag. 42

Frasi di Marx pag. 51

Dall’incontro donne/lavoratrici del 24 giugno 2021

Edito da Mfpr – Agosto 2021 mfpr.naz@gmail.com
blog: https://femminismorivoluzionario.blogspot.com/

Premessa

Comprensione e approfondimento della nostra scienza e combattimento verso altre teorie non proletarie e non rivoluzionarie hanno visto nel 2° incontro nazionale del 24 giugno di Formazione rivoluzionaria delle donne un passo avanti, attraverso relazioni e interventi, intorno alla questione “produzione e riproduzione”.

A premessa si è tornati sul carattere diverso di questi incontri di formazione non fatti per “acculturare” ma per “armarci” della teoria proletaria rivoluzio- naria, per essere autonome e combattenti contro il pensiero della borghesia ma anche contro le influenze di teorie devianti del femminismo borghese; e per questo essa è rivolta essenzialmente alle lavoratrici, alle donne proleta- rie, alle ragazze, compagne di lotte.

Sul tema centrale: la riproduzione della Forza-lavoro, il lavoro domestico nel sistema capitalista si sono cominciati a porre dei punti di analisi, delle discriminanti, riprendendo l’analisi di Marx, Engels.

Qui vi è stato l’importante contributo portato dalla filosofa marxista Carla Filosa, che ha anche collocato il ruolo della riproduzione nella fase attuale di crisi/pandemia e delle sue conseguenze per le donne.

La questione è complessa, non era possibile esaurirla in un incontro, ma in sintesi gli interventi si sono trovati uniti nell’affermare che per il modo di produzione capitalista la riproduzione della Forza-lavoro, il lavoro domesti- co è necessario ma non è produttivo per il capitale perchè non produce plusvalore/profitto. Questa chiarezza è importante per la lotta di liberazione rivoluzionaria delle donne, se essa deve avere come centrale il “riconosci- mento” del lavoro domestico o il rovesciamento del sistema capitalista ba- sato su sfruttamento e oppressione.

Sono seguiti altri interventi che hanno sottolineato alcuni aspetti critici delle teorie del femminismo sulla “riproduzione”, in particolare utilizzando un testo della comunista maoista indiana, Anuradha Ghandy “Tendenze filosofiche nel movimento femminista”; e delle posizioni nel movimento NUDM sia nazionale che internazionale.

Altri interventi hanno ripreso la lucida denuncia fatta da Lenin del peso schiac- ciante per le donne del lavoro domestico.

L’incontro ha posto le premesse per approfondire la questione sia con ulte- riori interventi scritti, sia con approcci critici verso le altre posizioni/teorie. Su questo in questo Quaderno pubblichiamo – in appendice – un importante scritto della filosofa marxista Carla Filosa sulle teorizzazioni della teorica femminista Silvia Federici.

Introduzione

Cominciamo a “mettere le mani” su questo importante tema su cui da sempre il movimento delle donne, le sue principali teori- che hanno dibattuto, analizzato, preso posizione perchè ha a che fare con l'analisi di fondo del ruolo e condizione delle donne nel sistema capitalista e le sue implicazioni nella lotta di liberazio- ne delle donne.

Questo tema riemerge anche oggi nel nostro paese, sia pur in maniera non approfondita e in generale con posizioni non clas- siste e non rivoluzionarie e/o anche con un uso distorto di Marx/ Engels.

La stragrande maggioranza delle donne svolge lavoro domesti- co, che lavori fuori casa o sia disoccupata. Il carico della cura della famiglia, dei figli, del marito è sulle spalle delle donne. Questa attività che apparentemente sembra privata, in realtà ha un fondamentale ruolo sociale per la riproduzione/conservazio- ne della forza lavoro (compresa la nascita di nuove braccia pro- duttive) perchè torni ad essere sfruttata il giorno dopo dal pa- drone.

In che senso però la riproduzione è parte della produzione capi- talista; qual è il suo valore?
Senza la lotta rivoluzionaria per l'abbattimento del sistema ca- pitalista ci può essere liberazione dal lavoro domestico?
E' possibile che una nuova società metta fine alla riproduzione come fonte di oppressione per le donne?
Di questo essenzialmente nella 2° formazione rivoluzionaria delle donne abbiamo cominciato a parlare, a porre degli spunti, da approfondire successivamente
facendo anche chiarezza su alcune posizioni che vanno per la maggiore nel movimento femminista.

Il lavoro riproduttivo di forza-lavoro nel capitalismo

Relazione di Margherita Calderazzi – Taranto

Perchè stiamo facendo questa Formazione rivoluzionaria delle don- ne? Perchè questo è un fronte di battaglia necessaria contro la cap- pa ideologica, culturale, oppressiva di questo sistema borghese, con- tro le false idee sulla condizione di noi donne e soprattutto su come portare avanti un'effettiva liberazione.
Certo questa battaglia per le donne è forse più difficile, rispetto alla pratica delle lotte; tante in prima fila nelle lotte, nelle battaglie
anche dure, poi hanno più difficoltà anche di tempo, anche materia- li a esserlo sul fronte della teoria; ma noi pensiamo e ci battiamo perchè siano prima di tutto le donne proletarie a prendere nelle
mani la comprensione scientifica del perchè le donne vivono la doppia oppressione e doppio sfruttamento e perchè essa può e deve essere superata; perchè sono soprattutto le donne proletarie che
non hanno nulla da perdere e doppie catene da spezzare, e che han- no una marcia in più per cambiare tutta la vita!

Nella 1° Formazione rivoluzionaria delle donne tenuta il 13 mag- gio ‘21 abbiamo visto, utilizzando l'analisi di Engels nel libro “L'ori- gine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”, come la condizione di oppressione delle donne non è un fatto naturale, né è stata la divisione sessuale in sé, il fatto che la donna fa figli, a pro- durre la subordinazione/disuguaglianza della donna, ma essa è con- seguenza della nascita della proprietà privata e della prima divisio- ne del lavoro, quella tra uomo e donna; le medesime condizioni che hanno dato origine alla società di classe, al passaggio dal matriar- cato al patriarcato hanno posto le basi storico materialistiche della condizione di oppressione e subordinazione delle donne segnando, come scrive Engels. ”la sconfitta sul piano storico universale del sesso femminile”.
Nello stesso tempo abbiamo visto che poiché l'oppressione della donna va di pari passo con la proprietà privata, con i modi di produ-
zione, mettendo fine alla proprietà privata vengono poste le basi
per il superamento della condizione di subordinazione; “poste le
basi”, ma ci vorrà una continuazione della rivoluzione, una rivolu- zione nella rivoluzione perchè si realizzi effettivamente.

Oggi vogliamo cominciare a vedere il ruolo che la riproduzione ha per il sistema capitalista.
Sia la produzione che la riproduzione dei lavoratori sono legate nel sistema capitalista, ma per il capitale hanno un valore diverso. Tutta la riproduzione della forza-lavoro, che vuol dire far da man-
giare, vestire, assistere, curare, ecc. per conservare e far tornare il giorno dopo i lavoratori a lavorare per il capitale, ma anche reinte- grare le forze-lavoro sottratte al mercato dalla morte e dal logora-
mento con forze-lavoro nuove e, quindi, con la nascita di nuovi es- seri umani, tutto questo avviene a spese di un altro essere umano, la donna.

Questo enorme, quotidiano lavoro di riproduzione non appare nella produzione, perchè avviene fuori dalla produzione. Il lavoro della donna, che è utile socialmente, non appare come tale, non appare come lavoro.
Perchè? Il lavoro domestico, la riproduzione della Forza-lavoro pur essendo un'attività indispensabile al capitale non è un lavoro pro-
duttivo per il capitale, perchè per il capitale è produttivo solo ciò
che produce plusvalore, il lavoro che produce merci che hanno un
valore di scambio, possono essere vendute e realizzare il profitto. Il lavoro domestico invece produce valori d’uso e non di scambio, quindi non dà profitto, per il padrone, per la classe capitalista non è
nel “libro paga”, non ha valore. Anche una macchina per il padrone è necessaria, ma in sé non produce pluslavoro se non mette al lavoro gli operai o le operaie.

Qui non stiamo parlando dell'importanza per il sistema sociale del lavoro domestico come lavoro riproduttivo della forza-lavoro, e che tale lavoro pesi enormemente sulla donna, comporti un alto grado di fatica, logoramento fisico e psichico, che “mangia” la vita intera di una donna. Qui quello che si vuole chiarire è che è illuso- ria una lotta che, fermo restando questo sistema capitalista, basato sul profitto privato, ponga come centrale il riconoscimento del la- voro domestico e pensi che con la lotta sul lavoro domestico si assesti un colpo fondamentale al sistema.

Nel movimento delle donne vi sono posizioni che affermano: ma la donna produce una merce, la forza-lavoro. Siccome questa “mer- ce” ha un valore d’uso per il capitale, avrebbe di conseguenza un valore di scambio per la donna, che vendendo questa merce dovreb-

be ricevere denaro. Ma c’è un particolare: la donna non è proprieta- ria della forza-lavoro merce e quindi non può venderla o scambiar- la. E’ il possessore della forza lavorativa – l’uomo o anche la donna
– che può vendere la sua forza-lavoro.
La donna a questo punto potrebbe dire: sì, ma senza il mio lavoro
domestico quella merce orza-lavoro non starebbe sul mercato. Ma questo lavoro domestico rientra, ripeto, in un lavoro di servizio che il capitalista indirettamente paga calcolandolo nel pagamento del
salario, con cui l'operaio può acquistare i mezzi di sussistenza ne- cessari a farlo tornare il giorno dopo al lavoro.
La riproduzione, per il capitale, è contemperata nei costi del sala-
rio. – Marx scrive: ”Il valore della forza lavorativa… (è) determi- nato non solo dal tempo di lavoro necessario per mantenere il singolo operaio adulto, ma anche da quello necessario per man-
tenere la sua famiglia”.
Faccio un esempio. Per il capitalista è come il servizio del nego-
ziante, senza il suo lavoro la merce non starebbe sul mercato, ma
questo non vuol dire che è il negoziante che l’ha prodotta o che dal lavoro del negoziante il capitalista ottiene plusvalore.

Nel sistema del capitale la riproduzione della forza-lavoro è priva- tizzata; al capitale interessa che tu operaio/forza-lavoro sia ripro- dotto per essere disponibile, bello e pronto da sfruttare, ma non gli interessa come questa riproduzione avvenga – dice il capitalista: io ti pago col salario il valore dei mezzi di sussistenza occorrenti a che tu domani torni a lavoro (compreso anche i mezzi di sussisten- za delle forze di ricambio, le nuove forze-lavoro), dopo di chè non mi interessa altro.
Marx scrive: “Il consumo dell'operaio è di duplice natura. Nella produzione egli, tramite il suo lavoro consuma mezzi di produ-
zione convertendoli in prodotti di un valore più elevato di quel-
lo del capitale anticipato. Questo è il suo consumo produttivo.
Esso è allo stesso tempo consumo della sua forza lavorativa da parte del capitalista che l'ha acquistata (io ti ho acquistato, ho pagato per il tuo uso tot euro che coprono 4 ore di lavoro, le altre 4
ore che tu continui a lavorare sono lavoro gratis per me, pluslavoro non pagato). D'altro lato l'operaio converte in mezzi di sussisten- za il denaro che gli è stato pagato per l'acquisto della propria
forza lavorativa: questo è il suo consumo individuale. Il consu- mo produttivo e il consumo individuale dell'operaio sono perciò del tutto diversi. Nel primo funge da forza motrice del capitale

ed è proprietà del capitalista, nel secondo appartiene a sé stes- so e svolge funzioni vitali che prescindono dal processo di pro- duzione. Il risultato dell'uno è la vita del capitalista, quello del- l'altro la vita dell'operaio stesso”.
La donna attraverso il lavoro domestico fornisce all’operaio quei mezzi di sussistenza di cui ha bisogno per presentarsi il giorno dopo
a lavorare per il capitalista; cosa ha in cambio la donna? Parte del
salario del lavoratore.
Le leggi del capitale permeano tutta la società. I suoi confini non si fermano sulla “soglia della casa”. Il capitale, modifica, funzionaliz- za al suo sistema tutto. E il lavoro domestico è dentro questa legge.

Per concludere. Per il capitale il lavoro domestico non fa parte del processo produttivo: non produce plusvalore, non produce merce di scambio. Nello stesso tempo il lavoro domestico, come lavoro riproduttivo di forza-lavoro, è essenziale per la società capitalista, non ci può essere produzione senza riproduzione. Questo lavoro domestico, lo ripetiamo, comporta un alto grado di fatica, logora- mento fisico e psichico, ma senza la lotta per l’abbattimento del capitalismo non ci può essere abolizione del lavoro domestico.
La questione non va rovesciata, vedendo come centrale la lotta con- tro il lavoro domestico. Perchè affermare che il ruolo delle donne nella sfera della riproduzione è l'aspetto centrale e dovrebbe esse- re l'obiettivo principale, in realtà vuol dire accettare l'argomento della classe dominante che il ruolo sociale delle donne nella ripro- duzione è quello più importante, essenziale e nient'altro.
Quindi, paradossalmente, al posto di “liberarci dal lavoro domesti- co” si chiede di dare riconoscimento al lavoro domestico – che, a parte la fatica, l'alienazione che comporta, porta oggettivamente un altro enorme danno per la lotta rivoluzionaria di liberazione delle donne; le individualizza, non le pone in una condizione oggettiva di collettivismo, di unità che invece la presenza delle donne nella pro- duzione comporta (chiaramente questo non vuol dire non fare le lotte contro l'aumento, lo scarico dei servizi sociali, ecc.)

Noi pensiamo che solo nel socialismo il lavoro domestico può e deve essere abolito. Il socialismo mette fine al lavoro domestico, riproduttivo, come fatto privato, perchè esso viene socializzato. Che significherà in termini concreti non lo possiamo mettere a punto a tavolino. Ma sarà anche questo importante campo fattore di rivolu- zione nella rivoluzione che ha nelle donne il fattore determinante.

Sulla critica a posizioni nel movimento femminista Un aiuto da Anuradha Ghandy

Donatella Anello – Palermo

Questa formazione che stiamo facendo oggi è importante anche per armarci di fronte a quelle tendenze femministe che teorica- mente, ideologicamente deviano, frenano o addirittura negano la teoria/pratica rivoluzionaria delle donne.
Alcune di queste tendenze femministe ponendo al centro principal- mente la questione del ruolo riproduttivo delle donne e la contrad-
dizione uomo/donna, marginalizzano, ma anche in alcuni casi can- cellano, la questione della contraddizione di classe.

Alcuni anni fa per aiutarci anche nella comprensione di tale que- stione abbiamo utilizzato un opuscolo scritto da Anuradha Ghandy che si chiama Tendenze filosofiche nel movimento femminista tra- dotto in Italia dalle compagne del Mfpr. Oggi voglio portare un con- tributo principalmente facendo “parlare” Anuradha Ghandy. Anuradha Ghandy è stata una compagna dirigente del Partito Comu- nista dell’India (Maoista) che durante la sua militanza ha organizza- to nella lotta rivoluzionaria migliaia di donne indiane, adivasi, in un paese oppresso, come l’India, in cui le donne subiscono l’oppres- sione di classe, l’oppressione sessuale, feudal-religiosa, l’oppres- sione di casta. Anuradha Ghandy prima di essere una intellettuale è stata una compagna rivoluzionaria, e quindi tutti i suoi scritti sono frutto dell’intreccio pratica-teoria-pratica.

Tra le tendenze del femminismo che la compagna Anuradha tratta oggi accenniamo a due di esse legandole proprio a questa questio- ne della predominanza del ruolo riproduttivo delle donne e quindi della contraddizione uomo/donna, contraddizione sessuale. E’ un ragionamento che ci aiuta anche nell’analisi/lotta alle tendenze fem- ministe che abbiamo in “casa nostra”.

Una delle tendenze che Anuradha ha analizzato è quella del fem- minismo radicale che “emerse dai movimenti sociali degli anni 60 negli stati Uniti; il movimento per i diritti civili, il nuovo mo- vimento di sinistra, il movimento antivietnam… erano donne che erano insoddisfatte del ruolo dato alle donne in questi movi-

menti e del modo in cui la nuova sinistra affrontò la questione delle donne nei suoi scritti teorici e popolari… Allo stesso tem- po nessuna di loro voleva preservare il sistema esistente. Quindi nella sua fase iniziale gli scritti erano un dibattito con il marxi- smo… più tardi quando il movimento divenne forte il marxismo fu messo da parte e l’intera attenzione si spostò su un’analisi del sistema sesso/genere e il patriarcato scollegato dal sistema capitalista sfruttatore…”

Una delle rappresentanti di questa tendenza femminista fu Kate Millett che “… di fatto ribaltò la posizione storico materialistica affermando che la relazione tra maschi e femmine è una struttu- ra per tutte le relazioni di potere nella società… questa è la si- tuazione umana primaria. Il Patriarcato secondo lei era il con- trollo maschile sul mondo privato e pubblico… per eliminare il patriarcato uomini e donne devono eliminare il genere, cioè lo stato sessuale, il ruolo e il temperamento così come sono stati costruiti sotto il patriarcato…”
Mentre Engels aveva scritto sul materialismo storico quanto se- gue:“ quella visione del corso della storia che cerca la causa
ultima e il grande potere mobile di tutti gli eventi storici nello sviluppo economico della società, nei cambiamenti dei modi di produzione e di scambio, nella conseguente divisione della so-
cietà in classi distinte, e nelle lotte di queste classi l’una contro l’altra”.

Firestone (un’altra scrittrice teorica di questa tendenza femmini- sta) ha riscritto questo come segue: “Il materialismo storico è quel- la visione del corso della storia che cerca la causa ultima e il grande potere mobile di tutti gli eventi storici nella dialettica del sesso: la divisione della società in due classi chiaramente biologiche per la riproduzione, e le lotte di queste classi l’una con l’altra; nei cambiamenti delle modalità del matrimonio, del- la riproduzione e dell’assistenza all’infanzia create da queste lotte; nello sviluppo connesso di altre classi fisicamente diffe- renziate (caste); e nella prima divisione del lavoro basata sul sesso che si è sviluppata nel sistema di classe (economico-cultu- rale)”.
“Firestone – scrive Anuradha Ghandy – si concentrò sulla riprodu- zione anziché sulla produzione come forza motrice della storia. Inoltre, invece di identificare le cause sociali per la condizione

femminile, ha sottolineato le ragioni biologiche per la sua con- dizione e ne ha fatto la forza motrice nella storia…”
In generale – continua Anuradha Ghandy – “le femministe radicali diedero la spinta per approfondire il tradizionale ruolo ripro- duttivo delle donne, finora dato per scontato… e per mettere in
discussione la struttura stessa della società come patriarcale, gerarchica e oppressiva. Auspicavano una trasformazione tota- le della società… (ma) Il loro punto fondamentale è che il siste-
ma sesso / genere è la causa dell’oppressione delle donne. Con- siderarono la relazione uomo-donna in isolamento dal resto del sistema sociale, come una contraddizione fondamentale… Dal
momento che si sono concentrati sul ruolo riproduttivo delle don- ne, fanno delle relazioni sessuali, le relazioni familiari gli obiet- tivi centrali del loro attacco per trasformare la società.”

In critica a questa tendenza del femminismo scrive Anuradha “le femministe radicali hanno messo il marxismo sulla sua testa per così dire… Nella loro comprensione delle condizioni materiali hanno preso il fatto fisico della riproduzione e il ruolo biologico delle donne come punto centrale per la loro analisi e hanno con- cluso che questa è la ragione principale dell oppressione delle donne. Marx aveva scritto che la produzione e la riproduzione della vita sono le due condizioni fondamentali dell’esistenza umana. Riproduzione significa sia la riproduzione della perso- na su base giornaliera sia la riproduzione della specie umana. Ma in realtà la riproduzione della specie è qualcosa che gli umani condividono con il regno animale. Non potrebbe essere la base per l’oppressione delle donne. Perché in tutte le migliaia di anni che la gente viveva nelle prime fasi dell esistenza umana le don- ne non erano subordinate agli uomini.
In realtà il loro ruolo riproduttivo è stato celebrato e dato im- portanza perché la sopravvivenza della specie e del gruppo di-
pendeva dalla riproduzione…
Il marxismo capisce che alcune condizioni materiali dovevano
sorgere come causa del fatto che la posizione delle donne cam-
biava e diventava subordinata. Il cambiamento significativo nelle condizioni materiali è venuto con la generazione di produzione di surplus considerevole. Il modo in cui questo surplus sarebbe
stato distribuito è il momento in cui sono sorte le classi, il sur- plus è stato appropriato da un piccolo numero di persone leader nella comunità.

Il suo ruolo nella riproduzione la causa del suo elevato status in precedenza divenne un mezzo per la sua schiavitù. A quale clan
/ famiglia estesa appartenevano i bambini che allevava, diven- ne importante ed è allora che troviamo le restrizioni su di lei l’emergere della famiglia patriarcale in cui la donna era subor-
dinata e il suo ruolo principale nella società era quello di gene- rare figli per la famiglia.
Le femministe radicali hanno trattato leggermente lo sviluppo
storico e i fatti storici e hanno imposto la propria comprensione della contraddizione uomo-donna come la contraddizione ori- ginale e la contraddizione principale che ha determinato il cor-
so della storia attuale. Da questo punto centrale l’analisi fem- minista radicale abbandona la storia del tutto, ignora la strut- tura politico-economica e si concentra solo sugli aspetti sociali
e culturali della società capitalista avanzata e proietta la situa- zione lì come la condizione umana universale. Questa è un altra grande debolezza nella loro analisi e approccio. Dal momento
che hanno preso la relazione uomo-donna (rapporto sesso / ge- nere) come la contraddizione centrale nella società, tutta la loro analisi procede da esso e gli uomini diventano i principali nemi-
ci delle donne. Dal momento che non hanno una strategia con- creta per rovesciare questa società, spostano la loro intera ana- lisi in una critica degli aspetti sovrastrutturali – la cultura, il
linguaggio, i concetti, l’etica senza preoccuparsi del capitalismo e del ruolo del capitalismo nel sostenere questo rapporto sesso / genere e quindi la necessità di includere il rovesciamento del
capitalismo nella loro strategia per la liberazione delle don- ne…”

La conseguenza pratica/politica di questa teoria di fatto idealista, perché, negando l’origine storicamente determinata dell’oppressio- ne delle donne, pone l’immutabilità della natura di uomini (oppres- sori) e donne (oppresse), è il riformismo all’interno del sistema capitalistico che non può portare avanti la vera liberazione della maggioranza delle donne.

Un’altra tendenza femminista che Anuradha Ghandy analizza nel suo testo è quella del femminismo socialista.
Scrive la compagna “ Le donne socialiste o marxiste… concentra- rono i loro sforzi sulla combinazione del marxismo con idee fem- ministe radicali. C’è anche un ampio spettro tra loro.

A un’estremità dello spettro c’è una sezione chiamata femmini- ste marxiste che si differenziano dalle femministe socialiste per- ché aderiscono più strettamente agli scritti di Marx, Engels e Lenin e hanno concentrato le loro analisi sullo sfruttamento delle donne all’interno dell’economia politica capitalista… Le fem- ministe socialiste hanno analizzato come le donne negli Stati Uniti sono state discriminate in lavori e salari. Anche la segregazione di genere nei posti di lavoro (concentrazione delle donne in de- terminati tipi di lavoro che hanno bassi salari) è stata documen- tata in dettaglio da loro. Questi studi sono stati utili per esporre la natura patriarcale del capitalismo…”

Anuradha Gandhi parte da un articolo di Heidi Hartmann, Il matri- monio infelice del marxismo e del femminismo: verso un’unione più progressista, per comprendere la posizione di base femmini- sta socialista, e scrive: “… Secondo Heidi Hartmann il marxismo e il femminismo sono due insiemi di sistemi di analisi che sono stati sposati ma il matrimonio è infelice perché solo il marxismo, con il suo potere analitico di analizzare il capitale, sta dominan- do… Dice che il marxismo ha affrontato la questione delle don- ne solo in relazione al sistema economico. Dice che le donne sono viste come lavoratori, ed Engels ritiene che la divisione sessua- le del lavoro sarebbe distrutta se le donne entrassero in produ- zione, e tutti gli aspetti della vita delle donne sono studiati solo in relazione a come perpetuano il sistema capitalista. Persino lo studio sulle faccende domestiche ha affrontato la relazione delle donne con il capitale ma non con gli uomini. Sebbene i marxisti siano consapevoli delle sofferenze delle donne, si sono concen- trati sulla proprietà privata e sul capitale come fonte dell’op- pressione delle donne… Dice che il capitale e la proprietà priva- ta non opprimono le donne come donne; quindi la loro abolizio- ne non porrà fine all’oppressione delle donne. Engels e altri marxisti non analizzano correttamente il lavoro delle donne nella famiglia. Chi trae beneficio dal suo lavoro a casa? – scrive Hrt- mann – non solo il capitalista, ma anche gli uomini. Un approc- cio materialista non dovrebbe aver ignorato questo punto cru- ciale. Ne consegue che gli uomini hanno un interesse materiale nel perpetuare la subordinazione delle donne…”

Dicevamo nel primo incontro di formazione rivoluzionaria sul te- sto L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Sta-

to, Engels scrive ad un certo punto “L'emancipazione della donna ha come prima condizione preliminare la reintroduzione dell'in- tero sesso femminile nella pubblica industria, e ciò richiede a sua volta l'eliminazione della famiglia monogamica in quanto unità economica della società” ma Engels dice sì che la prima ri- vendicazione sociale delle donne deve essere quella di lavorare per uscire dalla casa, come primo elemento di emancipazione, anche se poi al lavoro la donna conosce lo sfruttamento del padrone, ma continua affermando che la vera liberazione “richiede a sua volta l'eliminazione della famiglia monogamica…” che può avvenire solo con il rovesciamento di questo sistema sociale che fa della fami- glia, con il ruolo riproduttivo e di cura delle donne, una cellula- base.

Rispondendo alle femministe socialiste Anuradha Gandhi scrive: “…secondo la concezione materialista, il fattore determinante nella storia è, in ultima istanza, la produzione e la riproduzione della vita immediata. Questo, ancora, ha un carattere duplice: da un lato, la produzione dei mezzi di esistenza, del cibo, del- l’abbigliamento e del riparo e gli strumenti necessari per quella produzione; dall’altra parte, la produzione di esseri umani stessi, la propagazione della specie. L’organizzazione sociale in cui vi- vono le persone di un’epoca particolare è determinata da en- trambi i tipi di produzione’ (Origine della famiglia. della pro- prietà privata e dello Stato).
Sulla base di questa citazione le femministe socialiste fanno no- tare che nella loro analisi e studio si sono concentrati solo sulla
produzione ignorando del tutto la riproduzione.
La citazione di Engels fornisce il quadro di base di una forma-
zione sociale. Il materialismo storico, il nostro studio della sto- ria, chiarisce che ogni aspetto non può essere isolato o compre- so senza tenere in considerazione l’altro. Il fatto è che nel corso
della storia le donne hanno avuto un ruolo importante nella pro- duzione sociale e ignorarle e affermare che il ruolo delle donne nella sfera della riproduzione è l’aspetto centrale e dovrebbe
essere l’obiettivo principale è in realtà accettare l’argomento delle classi dominanti patriarcali che il ruolo sociale delle don- ne nella riproduzione è più importante e nient’altro.
…Firestone dice che (e anche le femministe socialiste come Hart- mann) la riproduzione fa parte della base. Ne consegue che tutte le relazioni sociali ad essa connesse devono essere considerate

parte della base… Se tutte le relazioni economiche e le relazioni riproduttive fanno parte della base, il concetto di base diventa così ampio che perde completamente il suo significato…
La divisione del lavoro basata sul genere è stata uno strumento utile per analizzare il pregiudizio patriarcale nella struttura eco-
nomica di determinate società. Ma le femministe socialiste che avanzano il concetto di divisione del lavoro come più utile della proprietà privata confondono il punto, storicamente e analitica-
mente. La prima divisione del lavoro era tra uomini e donne. Ed era dovuto a cause naturali o biologiche… Ma questo non signi- ficava disuguaglianza tra di loro – il dominio di un sesso su un
altro. La partecipazione delle donne alla sopravvivenza del grup- po è stata molto importante: la raccolta di cibo che hanno fatto, la scoperta che hanno fatto delle piante in crescita e tendenti,
l’addomesticamento degli animali era essenziale per la soprav- vivenza e l’avanzamento del gruppo. Allo stesso tempo ha avuto luogo un’ulteriore divisione del lavoro che non era basata sul
sesso. L’invenzione di nuovi strumenti, la conoscenza degli ani- mali domestici, della ceramica, della lavorazione dei metalli, dell’agricoltura, tutto questo e molto altro contribuirono a crea-
re una divisione del lavoro più complessa… Con la generazione di surplus, con le guerre e la sottomissione di altri gruppi che potrebbero essere costretti a lavorare, sembra che il processo di
ritiro delle donne dalla produzione sociale sia iniziato. Ciò ha portato alla concentrazione dei mezzi di produzione e dell’ecce- denza nelle mani di capi clan / tribù iniziando cosi a manifestar-
si come dominio maschile.
La completa istituzionalizzazione del patriarcato avvenne solo
più tardi, cioè la difesa o la giustificazione ideologica del ritiro
delle donne dalla produzione sociale e il loro ruolo limitato alla riproduzione nei rapporti monogami, solo dopo il pieno svilup- po della società di classe e l’emergere dello Stato. Quindi il sem-
plice fatto della divisione del lavoro di genere non spiega la di- suguaglianza. Affermare che la divisione del lavoro basata sul genere è la base dell’oppressione delle donne piuttosto che quella
di classe svia ancora la domanda. Se non troviamo alcune ra- gioni sociali e materiali per la disuguaglianza, siamo costretti ad accettare l’argomento secondo cui gli uomini hanno una spin-
ta innata per il potere e il dominio…”.

Ma questo non ha nulla a che fare con l’analisi storico materialista.

Il lavoro della donna è valore d’uso senza valore

Intervento di Carla Filosa – Napoli

Vorrei riprendere dalla relazione di Margherita, nel senso che pre- sumo, ovviamente, data la mia formazione, che sia molto più im- portante capire in quale sistema siamo oggi prima di arrivare alle sue conseguenze di cui appunto, il problema di genere è una. Allora per capire questo mi sembra assolutamente prioritaria dare un’informazione rispetto alla situazione femminile oggi in termini di occupazione dovuta non solo alla crisi del capitale, ma alla crisi pandemica. Noi vediamo dai dati emersi che nel 2020, cioè l’anno scorso, l’occupazione femminile è diminuita del 5% rispetto addi- rittura al 3,9 degli uomini; la maggiorparte di queste persone, cioè donne che sono fuoriuscite dal mercato del lavoro, rimane fuori, cioè viene definita inattiva. Si è di fronte, questo lo dice l’OCSE, a una ritradizionalizzazione dei ruoli di genere e quindi in tutti questi ultimi anni c’è stato un aumento discriminante chiaramente nei con- fronti delle donne che hanno perso il lavoro.
Perchè questo dato mi sembra importante? Perché inanzitutto ci permettere di cogliere nella realtà presente una espulsione dal mer-
cato del lavoro da parte di un sistema che si serve delle donne, e si è sempre servito del lavoro femminile, a seconda di come questo fa comodo, siccome le donne sono più docili, accettano maggior-
mente le condizioni imposte, cioè un lavoro magari pesante o con un orario più lungo però pagato meno – una realtà che a livello sin- dacale è conosciutissima – questa situazione permette al sistema
nel quale noi viviamo, uomini e donne, di utilizzare la forza lavoro più fragile, a seconda dei suoi problemi, cioè quello che diceva prima Margherita, nel senso della utilizzazione da parte del capita-
le, cioè da parte del sistema, io aggiungerei, da parte del modo di produzione che è un concetto fondamentale che è bene oggi tirarlo fuori proprio nell’ottica di impadronirci della scienza. Allora, in-
sieme alla condizione di oppressione, di inferiorizzazione e di dif- ficoltà nella quale le donne sono tradizionalmente immesse, io penso che avviare un discorso scientifico, più teorico, ma non perché la
teoria sia qualcosa di astruso, ma semplicemente perché la teoria è quella dimensione attraverso la quale noi capiamo meglio il perché delle motivazioni per cui siamo discriminate.
La produzione che questo sistema avvia, non è una produzione per i

beni sociali, cioè per i beni che possano essere utili alla società, alla vita delle persone, ma è una produzione di valore, cioè la pro- duzione di quella quantità di ricchezza che viene creata e non paga- ta, gratuita, di cui il capitale si appropria e cioè di cui espropria i lavoratori uomini e donne; allora la differenziazione sul mercato del lavoro di una forza lavoro che sia frantumata, flessibilizzata, razzializzata, inferiorizzata come quella femminile, è l’obbiettivo pricipuo attraverso il quale il capitale, cioè il sistema, cioè questo modo di produzione, può ottenere il massimo dell’estorsione di plusvalore, cioè di questa ricchezza creata dai lavoratori e non pa- gata di cui i capitalisti si appropriano. Qui il discorso dell’inferio- rità femminile lo collegherei all’uso del patriarcato; il capitale non se l’è inventato il patriarcato, il patriarcato diciamo, si perde dalla notte dei tempi, è funzionale come avrete visto sicuramente nella questione che Engels ha trattato della proprietà privata e della for- mazione dello stato. E’ qualche cosa che proviene dalla divisione del lavoro. Certo che comincia con la divisione del lavoro uomo/ donna, ma questa divisione del lavoro era funzionale a una vita co- munitaria, non funzionale alla resa inferiore di un lavoro rispetto ad un altro, per cui il discorso del patriarcato è dalla notte dei tempi che viene utilizzato da tutti i sistemi che si sono avvicendati nel corso storico, di cui appunto, il sistema del capitale è l’ultimo, e in cui il patriarcato serve a relegare quelle peculiari, particolari forze lavoro più deboli, in modo tale che attuino un consenso alla loro inferiorità.

Per una donna è chiaro che esiste la insicurezza da quando nasce, la insicurezza all’interno della famiglia, la insicurezza all’interno di una formazione educativa da cui per molto tempo è stata estromes- sa, solo ultimamente si è realizzata la possibilità da parte della don- na di accedere all’istruzione, e all’istruzione superiore – faccio pre- sente che in alcuni paesi ancora questo obbiettivo è di là da venire, ancora da realizzare. Quindi, rendere la donna incapace di capire qual’è il valore del suo ruolo sociale è l’obbiettivo fondamentale perché il ruolo sociale venga gestito da un potere che viene media- mente gestito da uomini. Non significa che questi uomini siano re- sponsabili in quanto maschi… in alcuni paesi, le donne possono ac- cedere ai livelli più alti, Germania in primis ha un leader donna da molti anni e la stessa India, la stessa Israele, l’hanno avuta, ecc…, ma questo sistema utilizza le persone che sono funzionali al fun- zionamento delle leggi, del sistema, non è importante che siano

uomo o donna, di un colore o di un altro, l’importante che siano adeguati al funzionamento ottimale di un sistema che si basa sullo sfruttamento, cioè sulla creazione di ricchezza di una parte della popolazione che deve essere sfruttata, cioè deve essere immessa in una condizione di inferiorità cioè di povertà, perché questa è una delle condizioni di essere lavoratore per cui va a vendere la propria forza lavoro e la forza lavoro deve produrre ricchezza da appropria- re privatamente. Quindi il lavoro sociale di uomo, donna, giovani, vecchi, fanciulli o altro, oggi gli immigrati, è funzionale alla realiz- zazione di una ricchezza da appropriare.
Noi vediamo in questa fase pandemica che cosa è accaduto. Che le grandi multinazionali si sono arricchite a dismisura, in termini di
miliardi, creando povertà, creando questa povertà strutturale, e nel-
la povertà ci vanno più le donne che gli uomini. Perchè? Perché la
donna è relegata in una forza lavoro inferiorizzata.

Per quanto riguarda il lavoro riproduttivo, la donna proprio all’in- terno di questo doppio discorso, cioè subordinata al sistema di ca- pitale e subordinata alla forma di patriarcato che il capitale utilizza perché ne vede i vantaggi in funzione della produzione di plusvalo- re, vede al suo interno una dimensione assolutamente anomala, per cui è valore d’uso senza valore perché il lavoro domestico, di cura, diciamo il “lavoro dell’amore”, ecco chiamiamolo così per- ché ha anche la sua valenza emotiva che va registrata, non è sempli- cemente l’affetto con cui si fanno le cose, è lavoro d’uso utile per altri, però non è pagato, cioè non entra nel mercato del lavoro. Quel- lo che diceva Margherita, era proprio questo, è tutto il sistema che ne approfitta. Le politiche della famiglia, affinché la donna rimanga all’interno delle pareti domestiche e non si affacci sul mercato del lavoro, sono funzionali proprio ad utilizzare questo lavoro social- mente utile, ma senza valore, cioè non pagato, cioè non riconosciu- to, rispetto a cui la donna peraltro deve sentirsi inferiore rispetto a chi lavora e a chi dice “io porto i soldi a casa”. Lei non porterà mai i soldi a casa, perché i soldi a casa lei li usa per gestire la vita di tutti i familiari, anziani, mariti, figli ecc.
Allora questo lavoro è anche un bel ammortizzatore sociale che il sistema utilizza senza chiaramente metterlo in chiaro, perché in chiaro c’è la funzione storica, tradizionale, abituale della donna come funzione. E come funzione lei non ha un’identità, ha semplicemen- te un ruolo, e su questo ruolo viene giudicata brava o meno brava, se lo svolge appieno con il suo consenso e una volta si diceva anche

con il voto. Oggi non è più chiarissimo rispetto al voto, però se noi facciamo attenzione alla politica delle destre che stanno portando avanti, non a caso, l’ideologizzazione della famiglia e della donna dentro le pareti domestiche, forse conosciamo anche chi è che avalla questi obbiettivi che sono funzionali per l’appunto al funzionamen- to del sistema.

Quando noi vediamo che il sistema è in crisi, e questa crisi, che oggi perdura sin dagli anni ‘60, non si risolve e con ogni probabilità non si risolverà ancora per parecchio, questa crisi che si è raddop- piata con la crisi pandemica, ha fatto sì che le donne soffrissero più degli uomini. Ma perché? Non perché sono forza lavoro, cioè mer- ce, perché la forza lavoro è merce – maschio, femmina, colorata o di qualsiasi altra forma, non ha importanza – è merce, è una realtà che il capitale deve per forza comprare perché se non hai i lavora- tori il capitale non esiste, cioè non può assolutamente né produrre il suo plusvalore né appropriaselo, né quindi continuare a gestire il comando sul lavoro; ma perchè le donne sono funzionali ad avere questo ruolo di subalternità ulteriore, per cui siccome vengono re- legate in ambiti lavorativi molto più di basso livello o con salariz- zazione più bassa o con la formula che è stata definita “il tetto di cristallo”, senza poter accedere ai ruoli più renumerativi, più im- portanti, più politicamente rilevanti, le donne vengono ad essere espulse immediatamente non appena ci sono dei problemi di libe- razione dal lavoro. Quindi nella crisi è ovvio che siano le donne a soffrire di più di questo e, una volta fuori dal mercato del lavoro è molto più difficile che ci rientrino o per, ovviamente la riproduzio- ne biologica, cioè difronte alla gravidanza, la donna è più legata alla formazione del bambino, ma la formazione del bambino è un fatto suo privato, non è riconosciuto come ruolo sociale la maternità, no! Sono fatti propri delle persone singole, tanto è vero che molte ditte, aziende hanno fatto firmare tanto di documenti, naturalmente nascosti nel cassetto, in cui se la donna rimane incinta è in automa- tico licenziata.
Allora il suo riconoscimento biologico diventa una condanna da tenere nascosta oppure diventa l’elemento di inferiorità rispetto a
cui è chiaro l’uomo può sempre stare al lavoro tutti i giorni dell’an-
no mentre la donna nella misura in cui diventa madre, cioè ha una
funzione sociale altamente importante, non viene riconosciuta e quindi è penalizzata.
L’accettazione di tutte le penalità che alla donna vengono riservate

in questo sistema è fondamentale per il suo permanere all’interno di una inferiorità non solo gestita ma anche tranquillamente accet- tata, non combattuta. Tutti gli elementi di conflittualità sociale ven- gono ammorbiditi da una presenza femminile che in genere invita i propri uomini, i propri mariti a continuare il lavoro come che sia, accettare un salario come che sia, a qualunque livello di inferiorità renumerativa venga realizzato, e ultimamente i salari si sono abbas- sati, e non a caso, per la crisi di cui abbiamo sofferto uomini e donne, con una specificità in più… la donna maggiormente.

Il discorso dell’uso del patriarcato è fondamentale per far capire che qualunque sistema che fosse capace di frantumare l’unità di classe della forza lavoro era benedetto da questo sistema, il patriar- cato si è trovato ad essere il preferito perché, collaudato da secoli, funzionava a meraviglia proprio su questo terreno.
Quindi se noi vediamo oggi, e da un punto di vista sindacale risulta tranquillamente in maniera eccellente che la forza lavoro viene con-
tinuamente e ancora più frantumata, tutti i problemi che noi abbia- mo compreso appunto questo attacco che viene portato avanti a li- vello di presenza sindacale, sindacale combattiva – perché se il sin-
dacato è solo capace di ossequiare l’ordine padronale non fa pro- blema ovviamente, però se i sindacati pretendono di avere ancora la difesa dei lavoratori, si presentano combattivi sul piano sociale –
ehmbè debbono rispondere alle violenze che vengono perpetrate tranquillamente e devono essere accettate così come viene accet- tato ogni assassinio sul lavoro (voglio chiamarlo così e non omici-
dio bianco, dato che quest’anno ha il “privilegio” di aver aumentato addirittura i numeri) perchè l’attacco del capitale è su tutti i fronti nei confronti dei lavoratori. Ma nei confronti del genere femmini-
le ha quel qualcosa in più che permette la frantumazione e questa frantumazione, badate bene, non avviene solo sul piano della diffe- renziazione salariale, ma avviene anche su un piano di mentalità, di
ideologizzazione e di idee ricevute, possiamo dire. Nel senso che la donna cerca sempre, questo tradizionalmente, di stemperare ogni elemento conflittuale perché è più propensa a vedere il minimo
vantaggio possibile per il mantenimento dei figli o per la sopravvi- venza della propria famiglia.
Questa mentalità diciamo, di non coerenza, non parità combattiva
rispetto agli uomini che vivono più in prima persona il conflitto sociale, questa tradizione, viene continuamente riaffermata nella misura in cui le donne non si rendono neanche conto di essere por-

tatrici di una ideologizzazione di cui dovrebbero liberarsi per ac- quisire quella che si chiama coscienza di classe, che altro non è se non la consapevolezza di come funziona questo sistema e perché questo sistema funziona in questa maniera.
L’unica emancipazione non è semplicemente il differenzialismo, perché questo va nell’ottica di un’ulteriore divisione da parte dei
lavoratori. E io non sto parlando delle donne in generale, io sto
parlando delle donne lavoratrici, cioè quelle che vivono del proprio
lavoro, che sono costrette a vivere del proprio lavoro, perché le donne borghesi hanno la possibilità di avere altre risorse che alle donne proletarie non sono date. Le donne borghesi si permettono
di pagare i propri aiuti dentro casa o altrove attraverso l’utilizzazio- ne di quelle che oggi si chiamano colf oppure badanti, le lavoratrici domestiche, ecc.
Ma questi servizi, che vedono la presenza femminile in primo luo- go non sono interni al meccanismo del capitale, vengono pagati con reddito dalla classe media, una forma di classe cuscinetto tra la
proprietà privata e la proletarizzazione; questa classe media, che oggi è stata declassata ampiamente, aveva comunque la possibilità di pagarsi dei servizi con il proprio reddito e quindi a sollevarsi da
qualche carico di lavoro.
La donna proletaria invece, con il suo reddito già basso per soprav-
vivere non è in grado mai di pagarsi se non qualcosa ma non di più,
ed è chiaro che si trova non solo il doppio lavoro ma si trova un doppio lavoro pagato male o addirittura non pagato, proprio perché la sua condizione imposta la rende per l’appunto incapace di avere
un suo ruolo sociale da proporre all’esterno.

Il problema della coscienza e quindi del lavoro di appropriazione teorica è importante, perché nella misura in cui noi riusciamo a capire dov’è che sta il punto focale della inferiorità che viviamo è li che noi possiamo avere la possibilità di lottare e di incidere. Ma se noi non abbiamo presente questo, le nostre lotte possono pure essere bellissime, esaltanti, grandiose, però non ottenere nulla.
Le lotte che io ritengo essere proletarie devono avere un ruolo im- portante sul piano sociale altrimenti non abbiamo nessuna possibi-
lità di fuoriuscire da condizioni che il capitale ci mette davanti in
maniera sempre più dura.

Volevo concludere con una frase di Engels, perché mi sembra fon- damentale toccare il tema del diritto, perché molto spesso si parla

di diritti sociali contrapposti a quelli civili, ecc… Allora quando si parla di diritti cerchiamo di capire bene, perchè o noi sappiamo che è una frase che deve racchiudere molti concetti, oppure noi faccia- mo uso delle parole illudendoci che queste abbiano un senso. Faccio semplicemente riferimento a quello che Engels disse nel libro delle Lotte di classe in Francia quando parlò del diritto al la- voro, dicendo appunto che i lavoratori cercavano sempre di parlare del diritto al lavoro. Engels lo definisce un pio desiderio addirittu- ra. Engels dice: “è una prima formulazione goffa in cui si riassu- mono le rivendicazioni rivoluzionarie del proletariato, ma die- tro al diritto al lavoro, sta il potere del capitale, dietro al potere del capitale l’appropriazione dei mezzi di produzione, il loro as- soggettamento alla classe operaia associata e quindi l’aboli- zione del lavoro salariato del capitale e dei loro rapporti reci- proci”.

Questa frase di Engels mi sembra lapidaria di definizione di un si- stema ancora oggi in auge e che ci schiaccia tutti quanti. Perché quando noi parliamo di diritti o sappiamo che sono la merce di scam- bio che il potere utilizza per dire non voglio i cinesi, quindi dico, loro non hanno diritti, mentre invece gli Stati Uniti soffocano le persone col ginocchio, oppure noi parliamo di diritto al lavoro che non è un diritto nel capitale, lo sarà nel socialismo chiaramente, ma nel capitale non è un diritto, è un pio desiderio. Però se noi non abbiamo capito che questo sistema deve essere abolito all’interno dell’appropriazione dei mezzi di produzione e della loro gestione da parte della classe proletaria tutta, maschi, femmine, colorati, bianchi, verdi ecc, noi non riusciremo a costruire il socialismo. E il nostro essere rivoluzionario sarà anch’esso un pio desiderio.

“Le donne sono soffocate dal lavoro più me- schino, più umiliante…”

Intervento di Luigia De Biasi – L’Aquila

Nel primo incontro di formazione rivoluzionaria delle donne, sono stati posti alcuni punti che vorrei approfondire, sviluppandoli attra- verso l'analisi di Lenin sull'emancipazione della donna e la critica al lavoro domestico.

Si era accennato all'attuale movimento femminista in Italia, oggi rappresentato da NUDM, che non riesce – o non vuole – allargarsi alla maggioranza delle donne, alle proletarie, alle lavoratrici, con- finando il discorso politico in una questione di genere e sfiorando, quando lo fa, quella di classe, sempre restando però appiattito sul piano riformistico, quindi senza andare a scalfire minimamente, anche nella progettualità, quella che è la radice della disuguaglian- za: la “sacra” proprietà privata, il regime capitalistico.
Ovviamente la questione dei diritti democratici è una questione che interessa anche le lavoratrici, ma restringere il campo di azione del
movimento femminista a una questione di genere, al democrati- smo, crea confusione tra le donne proletarie, che col peggioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro, inasprite ulteriormente
con la pandemia, vedono aggravarsi enormemente la loro condizio- ne di doppia oppressione.
Per queste donne, per noi, tutta la vita deve cambiare, e questo non
può avvenire se non per via rivoluzionaria, con le lavoratrici in pri- ma linea.
Il discorso essenzialmente di genere di non una di meno esprime in
realtà l'ideologia del femminismo piccolo borghese, che non ha interesse a cambiare radicalmente lo stato di cose presente.

Ecco perché è necessaria un'analisi critica da parte delle lavoratrici d'avanguardia, ed è necessario appropriarsi della teoria rivoluzio- naria.

Abbiamo visto che con la nascita della proprietà privata e l'aliena- zione della donna dalla produzione sociale, si è perso il valore col- lettivo del ruolo economico della donna nella società. La direzione dell'amministrazione domestica, nella famiglia singola monogami-

ca, ha perso il suo carattere pubblico, sociale, ed è diventato un servizio privato, escluso dal processo produttivo.
Nello stesso tempo il lavoro domestico, inteso appunto come la- voro riproduttivo, è essenziale per la società capitalista, e questo lavoro comporta un alto grado di fatica, di logoramento fisico e
psichico.
Lenin parla proprio di una schiavitù domestica: “Le donne sono
soffocate dal lavoro più meschino, più umiliante, più duro, più
degradante, che le relega nell'ambito ristretto della casa e della famiglia. Un lavoro barbaramente improduttivo, monotono, sner- vante, che inebetisce e opprime, e non può, neanche in misura
minima, contribuire allo sviluppo della donna.”

Lo sviluppo della grande industria, con l'immissione di donne e di adolescenti nella produzione sociale, ha indubbiamente rotto, al- meno in parte, l'isolamento e l'immobilità patriarcale precapitali- stici che costringevano le donne proletarie nella cerchia ristretta dei rapporti familiari domestici. Ma, come osservava Lenin, in re- gime capitalistico la metà del genere umano subisce una duplice oppressione, l'oppressione del capitale e l'oppressione della casa, la “schiavitù domestica”, perché l'ineguaglianza giuridica permane anche nelle repubbliche borghesi più democratiche.

Questa condizione abbrutisce le donne e le fa arretrare. Di fronte all'arretratezza della donna, di fronte alla incomprensione della ne- cessità della lotta di classe, degli ideali rivoluzionari, diminui- sce anche la combattività dell'uomo, la sua tenacia nella lotta di classe. E' un circuito vizioso, difficile da arrestare, ma spezzarlo è necessario, non solo per l’emancipazione della donna, ma di tutto il proletariato.

Sull'uguaglianza giuridica, e quindi formale dei sessi, Lenin ha più volte attaccato l'ipocrisia della propaganda borghese, dimostrando, con l'evidenza dei fatti, con i risultati ottenuti con la rivoluzione bolscevica, che a parole la democrazia borghese promette l'ugua- glianza e la libertà, ma di fatto, persino la repubblica borghese più avanzata, non ha dato alla metà del genere umano, ossia alle donne, la piena uguaglianza giuridica con l'uomo, né l’ha liberata dalla tu- tela e dall'oppressione dell'uomo.
Scriveva Lenin: “la democrazia borghese è una democrazia fatta

di frasi pompose, di espressioni altisonanti, di promesse magni- loquenti, di belle parole d'ordine, di libertà e di uguaglianza, ma tutto ciò, nei fatti, dissimula la mancanza di libertà e di ugua- glianza per i lavoratori e gli sfruttati. Il diritto al divorzio, come tutti i diritti democratici senza eccezione, può essere attuato in regime capitalistico difficilmente, in modo convenzionale, limi- tato, angusto e formale. Tutta la democrazia consiste nella pro- clamazione di diritti realizzati assai poco e assai convenzional- mente sotto il capitalismo. Ma il socialismo è inconcepibile sen- za questa proclamazione, senza la lotta per realizzare questi di- ritti immediatamente, senza l'educazione delle masse nello spi- rito di questa lotta.”

Mi sono soffermata un pò di più sulla questione dei diritti, perché non è una questione da sottovalutare, soprattutto oggi, per quanto riguarda gli obiettivi che si pone il movimento femminista in Italia. La democrazia borghese – continuando a citare Lenin – non distrug- ge l'oppressione, ma rende solo più pura, più ampia più aperta e più energica la lotta di classe.
Quanto più democratica è la struttura statale, tanto più risulta chia- ro che la radice del male è il capitalismo, non la mancanza di diritti.
Quanto più completa è la libertà e l'uguaglianza giuridica dei sessi,
tanto più chiaro risulta per la donna che la fonte della sua schiavitù
domestica va ricercata nel capitalismo e non già nella mancanza di diritti.
Il capitalismo unisce all'uguaglianza puramente formale, l'inegua-
glianza economica e quindi sociale. E' questa una delle sue caratte- ristiche fondamentali, ipocritamente dissimulata dai sostenitori della borghesia, dai liberali, e non compresa dai sinceri democrati-
ci sotto l’influenza della piccola borghesia.
Da questa caratteristica del capitalismo deriva, tra l'altro, la neces-
sità di riconoscere apertamente l'ineguaglianza capitalistica nel
momento in cui si lotta decisamente per l'uguaglianza economica.

Ma neanche per quanto riguarda l'uguaglianza formale il capitali- smo può dar prova di coerenza, e una delle manifestazioni più elo- quenti della sua incoerenza è l'ineguaglianza fra l'uomo e la donna. Nessuno stato borghese, per quanto progressista, repubblicano e democratico, ha concesso la completa uguaglianza dei diritti.
Al contrario, la Repubblica Sovietica ha spazzato via di colpo, sen-

za eccezioni, ogni traccia giuridica dell'inferiorità della donna e ha garantito immediatamente alla donna l'uguaglianza giuridica com- pleta.
E' stato detto che l'indice più importante del progresso di un popo- lo è lo stato giuridico della donna. C'è in questa formula, scriveva
Lenin, una parte di profonda verità: da questo punto di vista soltanto la dittatura del proletariato, soltanto lo Stato socialista potevano raggiungere, e hanno raggiunto, il grado più avanzato di progresso.
Soltanto con l'abolizione della proprietà privata e la collettivizza- zione dei mezzi di produzione, quindi soltanto in uno stato sociali- sta, è possibile trasferire alla società le funzioni educative ed eco-
nomiche del nucleo familiare.

Questo per la donna significa liberazione dalla vecchia fatica mas- sacrante della casa e dallo stato di soggezione all'uomo, permet- tendole di sviluppare appieno il suo ingegno e le sue inclinazioni, e permette all'infanzia di crescere libera dal giogo familiare.
La socializzazione del lavoro di cura, del lavoro riproduttivo, sarà un compito che spetterà principalmente alle donne, alle proletarie attuare.
Dall'esperienza della rivoluzione bolscevica, dopo la parità sul pia- no giuridico, sono cominciati a sorgere istituti di maternità, asili nido, mense, lavanderie, case per le donne e per i bambini ecc..
Ogni istituzione utile alla collettivizzazione di questo lavoro di cura è un germoglio da cui può crescere una nuova società.

Volevo finire con questo pezzo di Lenin, che mi pare molto bello: “Il movimento operaio femminile si pone come compito principa- le la lotta per conquistare alla donna l'eguaglianza economica e sociale, e non soltanto quella formale. Far partecipare la donna al lavoro sociale, produttivo, strapparla alla «schiavitù dome- stica», liberarla dal peso degradante e umiliante, eterno ed esclusivo della cucina e della camera dei bambini: ecco qual è il compito principale. Sarà una lotta lunga perché esige la trasfor- mazione radicale della tecnica sociale e dei costumi. Ma essa si concluderà con la completa vittoria del comunismo.”

La sottomissione della donna non è legata a differenze biologiche

Intervento di Giusi Calvaruso – Bologna

Prima della proprietà privata le differenze tra uomo e donna non costituivano disuguaglianza legate al sesso, diventano invece un problema di oppressione proprio quando si afferma la proprietà privata in cui la divisione dei ruoli diventa tra chi deve comandare e chi deve obbedire.
L’analisi di Engels è che di fatto la proprietà privata genera tutte le disuguaglianze, proprietà privata che si fonda anche sulla divisione
tra lavoro manuale e intellettuale.

Dal testo di Engels traspare chiaramente che la condizione della donna è in relazione, nei diversi contesti storici, al modo di produ- zione, al ruolo che la donna stessa ha in esso e ai rapporti di produ- zione. Si intende per modo di produzione la maniera nella quale l’uomo e la donna collaborano per produrre risorse economiche per la loro sopravvivenza e riproduzione e la divisione del lavoro nacque proprio per queste esigenze, ma fu con il nuovo modo di produzione che si diede origine alla prima divisione in classi, e le donne vennero sottomesse al lavoro e divennero principalmente riproduttrici di figli, con l’inizio della fine della discendenza ma- trilineare, passaggio necessario per trasmettere il patrimonio ai fi- gli maschi: è il segno che precede l’inizio della società patriarcale, dello svilupparsi delle classi, della famiglia monogamica e della nascita dello Stato.

Marx dice che la condizione della donna e la sua situazione sociale sono strettamente legati a questi tre aspetti. Engels dimostra che nella società primitiva la donna aveva una grande importanza per la produzione e riproduzione sociale: la donna non aveva solo il com- pito di generare, educare i nuovi esseri umani, ma anche quello di produrre tutti i cibi e gli indumenti indispensabili alla sopravviven- za. Da questo risulta la grossa parte del rendimento sociale della donna: la produzione della donna a partire dalla società primitiva ad oggi è produzione di valore d’uso, produzione per la vita immedia- ta, con lo scopo di un uso immediato. Il suo lavoro è socialmente utile e necessario. Ma questo tipo di lavoro è contraddistinto dal

fatto che è determinato per l’uso immediato, non per lo scambio. La produzione della donna nel lavoro domestico è appunto di que- sta natura.
Il fatto che la produzione della donna sia principalmente la produ- zione di valore d’uso per il consumo immediato, spiega due cose:
1) l’importanza della donna nella società primitiva e la sempre cre- scente sottomissione in una società nella quale la produzione di merci e la proprietà privata si vanno affermando come forze motri-
ci.
2) l’impossibilita della donna di concorrere alla produzione di merci
e di valori di scambio con l’uomo a causa dell’investimento della
sua forza lavoro principalmente nella produzione di valore d’uso in una società basata sulla produzione di merci e valori di scambio.

Quindi la sottomissione della donna è riconducibile alla “storica vittoria sociale” della proprieta privata. Il crollo della matrilineari- tà è stato creato da una società che si è formata soprattutto come proprietà privata maschile, la proprietà privata del plusprodotto ha creato le condizioni per la formazione dei rapporti di potere e di classe e ha reso possibile la divisione tra lavoro manuale e intellet- tuale.
Marx scrive: “Con la divisione del lavoro esiste la possibilità reale che l’attività spirituale e quella materiale, il piacere e il lavoro, la
produzione e il consumo vadano ad individui diversi e che questi fattori entrano in contraddizione. Con la divisione del lavoro si ve- rificano nel contempo anche la distribuzione ineguale per quantità
e qualità, del lavoro e dei suoi prodotti, e quindi la proprietà che ha la sua origine, la sua prima forma già nella famiglia, dove la donna e i figli sono schiavi dell’uomo”.

A questo proposito Engels scrive: “Il primo conflitto di classe che si presenta nella storia coincide con lo sviluppo dell’antagonismo tra uomo e donna nella monogamia e la prima oppressione di classe con quella esercitata dal sesso maschile su quello femminile”.
A causa della divisione del lavoro sopratutto a causa della divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, si sono creati i presuppo-
sti per cui un essere umano può decidere della vita di un altro, cioè
sfruttarlo e opprimerlo. Questo vale ancora di più per la donna la
quale non ha mai potuto partecipare alla pari dell’uomo al lavoro intellettuale perché impegnata molto di più, a causa della procrea- zione e la cura dei figli, alla riproduzione immediata della vita.

Le spiegazioni che cercano di dimostrare la sottomissione della donna con differenze biologiche e specifiche tra i sessi, sono teo- rie borghesi, che in fondo vorrebbero far sparire tanto il conflitto tra uomini e donne, cioè l’oppressione dell’uomo sulla donna, quanto le sue cause che, come ho già detto, hanno precise radici.

Il merito storico dell’analisi marxista è quello di dimostrare che l’oppressione della donna e lo sfruttamento dell’essere umano sul- l’essere umano non sono sempre esistiti. L’opera letteraria fonda- mentale de “l’origine della famiglia…“ dimostra che lo sfruttamen- to e la sottomissione della donna non sono leggi della natura, di- mostra che le relazioni tra esseri umani non sono di tipo biologico bensì sono condizionate da processi storici e sociali e che la donna non è oppressa per natura né l’uomo è oppressore per natura, ma entrambi sono diventati ciò che sono con lo sviluppo delle forze produttive, e di conseguenza sono mutabili, parallelamente al cam- biamento dei rapporti di produzione.
I rapporti di produzione, le leggi, il diritto, le norme sociali, la cul- tura ecc, come pure lo sfruttamento e la sottomissione della donna, non sono verità assolute ma si trasformano attraverso le forze mo- trici sociali.

Una conseguenza importante dell’introduzione della proprietà pri- vata fu che l’economia domestica si staccò dall’economia comuni- taria e comportò un tipo di famiglia con un tipo di economia sem- pre più isolata e individuale. I lavori prodotti all’esterno furono ri- servati ai membri maschili mentre la donna fu relegata ai fornelli. Si assiste, quindi, al rafforzamento della divisione del lavoro
La produzione di beni di consumo che servono alla riproduzione della forza lavoro comprende l’appropriazione privata delle merci
e in queste merci c’è una parte di lavoro pagato e una parte di lavoro
non pagato, cioè il plusvalore.

Per la concezione marxista il lavoro è la produzione e la riprodu- zione della vita immediata, dunque ogni produzione di beni di con- sumo per i bisogni umani è produttiva. La caratteristica di questi prodotti è che non entrano come merci sul mercato. Realmente però la donna produce in questo ambito una merce; è la merce for- za-lavoro, il cui valore d’uso da parte del capitale ha la natura parti- colare di essere fonte di valore.

Con il suo lavoro domestico la donna non solo provvede alla ripro- duzione di questa merce che quotidianamente è di nuovo a disposi- zione del capitalista, ma poi si preoccupa quando bisogna “riparar- la” a causa di una malattia o quando a causa dell’anzianità non è più efficiente per la produzione. Provvede inoltre alla produzione di uomini di riserva in grado di entrare nella produzione capitalista e sostituire la forza-lavoro consumata, i suoi figli.
Pur essendo preziosa questa merce che essa produce non le porta alcun profitto, non viene pagata dai capitalisti, ma viene pagata la
sua utilizzazione nel processo di produzione. Solo chi entra in que-
sto processo sarà pagato.

Qual’è il risultato? Il risultato è che la donna e il suo lavoro vengo- no sempre più isolati dalla produzione sociali di merci, sarà estro- messa dalla crescita della produttività sociale e dal perfezionamen- to dei mezzi di produzione. Sebbene la sua forza lavoro sia in parte investita nel lavoro domestico essa non viene negoziata e pagata come merce-forza lavoro, ma retribuita così per dire in salario na- turale. In questo rapporto anche il lavoratore salariato usufruisce del lavoro domestico della donna in casa. Questo avviene sia che il suo salario basti per tutta la famiglia sia che esso non sia sufficien- te.

Per terminare, il lavoro domestico per il capitale non produce mer- ce di scambio, ma nello stesso tempo il lavoro domestico inteso come lavoro riproduttivo è essenziale per la società capitalista. Non ci può essere produzione senza riproduzione, che viene regolata dalle stesse leggi del sistema capitalista.

La questione donna va dunque affrontata mettendo al centro la con- traddizione tra capitale e lavoro. Quindi per l’emancipazione della donna e per rivoluzionare la famiglia bisogna prima di tutto rivolu- zionare i rapporti di produzione che sono la base. Ma la prospettiva di rivoluzionare tutti i rapporti sociali di sfruttamento e oppressio- ne è il cuore della lotta delle donne.

”Sciopero essenziale”? Un commento critico

Dal blog femminismorivoluzionario

Parliamo del “Manifesto internazi- onale per lo sciopero essenziale dell’8 marzo” del Network E.A.S.T. (Essential Autonomous Struggles Transnational), nato la scorsa pri- mavera “per connettere le lotte di donne, migranti, persone Lgbt*qia+,
lavoratrici e lavoratori dell'Europa Centro-Orientale e non solo”. Ne parliamo anche perchè sta diventando il “Manifesto” anche in Italia di realtà di Nudm.

E' un Manifesto/appello di cui alcuni passaggi/rivendicazioni sono anche da sostenere – pur se non c’è la denuncia chiara contro l’imperialismo, bensì una richiesta che il loro lavoro venga ricono- sciuto essenziale in questa società – e questo la borghesia imperi- alista non lo nega affatto, ma chiaramente nella logica di sfrutta- mento, di subordinazione, senza diritti.
Di conseguenza a questa richiesta di riconoscimento del lavoro essenziale delle donne, il manifesto pone come parola d'ordine
centrale per l'8 marzo: “sciopero essenziale”.
Noi invece riteniamo non giusta e non utile questa parola d'ordine.

Questo manifesto dalla denuncia della condizione delle donne di sfruttamento e oppressione, del loro ruolo, comunque e sempre, in ogni paese, prioritariamente volto alla famiglia, ai lavori domesti- ci, all’assistenza, cura, anche nel lavoro esterno, a farsi carico dei servizi sociali, passa di fatto alla cristallizzazione della condizione/ ruolo delle donne, che proprio questo sistema vuole, considerand- olo esso stesso necessario, “essenziale” per la riproduzione, ma non produttivo di plusvalore, di profitto per il capitale.

Noi vogliamo che la condizione delle donne cambi radicalmente, che le donne siano dovunque, e possano liberarsi di tutti gli attuali compiti di cura, assistenza, domestici, che in una società socialista possono e devono essere socializzati, e che il lavoro delle donne sia in primis fuori dalle case, nella produzione.

La richiesta, rivolta evidentemente ai governi, agli Stati, diventa inoltre di “rivendicare la nostra voce nella fase di ricostruzione post- pandemica”
Una posizione che si pone interna a migliorare questo sistema non a combatterlo. In una realtà in cui è evidente che per la borghesia
imperialista, per i governi, la “ricostruzione” è fatta ancora di più sulla pelle dei proletari e delle masse popolari e sul peggioramen- to della condizione di doppio sfruttamento e oppressione delle
donne e tripla per le donne migranti: più ruolo di cura e assistenza, più conciliazione tra lavoro esterno e famiglia, maggiore centralità della famiglia, ecc. insieme a qualche elemosina (più a parole che
nei fatti) su occupazione delle donne, o a miseri bonus, o ad altri ingannevole provvedimenti, vedi estensione del congedo parentale, volti soprattutto ad incentivare le nascite – viste dal capitale come
forza-lavoro da rinnovare.

Noi non vogliamo la “ricostruzione post-pandemica”, che per i gov- erni, gli Stati, i padroni vuol dire continuare, meglio e come prima della pandemia. Noi non vogliamo ricostruire, vogliamo distrug- gere questo sistema.
Ogni “ricostruzione” in questo sistema – pensiamo a quelli post- terremoti – è fatta se dà profitti e nella logica di avere più profitti: con la ricostruzione i padroni guadagnano e stanno meglio, i lavo- ratori, le masse popolari, le donne stanno peggio.
Noi non vogliamo essere “essenziali” per questo sistema.

Sulle richieste.

Sulla “libertà dalla violenza patriarcale” si parla di sistema patriar- cale. Questa formulazione è riduttiva, noi siamo in un sistema cap- italista che usa il patriarcalismo; parlare invece di “sistema patriar- cale” non attacca la vera causa dell’oppressione/violenza contro le donne e, di fatto, ne chiede solo un miglioramento, che si liberi dalle forme patriarcali.

Così sugli aggettivi o specifiche che vengono messi a fianco – es. lavoro essenziale “imposto attraverso la violenza e le molestie”; indicare gli attacchi al diritto d’aborto ma solo dei “governi ultra- conservatori” – viene attenuata e deviata la denuncia
Il lavoro di cura, assistenza, ecc. è imposto anche senza violenza,

non ha bisogno per forza della violenza patriarcale, e pur senza vio- lenza questo lavoro è di massima oppressione per le donne; l’attacco al diritto d’aborto non viene fatto solo da governi ultraconserva- tori, ma è in corso in tutti i paesi, anche dove ci sono governi co- siddetti “democratici” (vedi proprio in Italia, ma non solo).

Sui salari, si rivendica la redistribuzione della ricchezza, che è una illusione, che oltre a fondarsi su un analisi del sistema del capitale sbagliata, è negativa perché sparge la falsa posizione che senza rovesciare il modo di produzione capitalista sia possibile una “re- distribuzione delle ricchezza” prodotta dallo sfruttamento degli operai e operaie, e che si tratti, quindi, solo di una diseguale ric- chezza e non di un sistema fondato sul lavoro salariato, sui profitti, e che finché non viene rovesciato evidenzia in maniera sempre più stridente la contraddizione tra produzione sociale e appropriazione privata e l’esistenza sempre più di un pugno di ricchi a fronte di una maggioranza sempre più ampia di masse impoverite; e, quindi, in- evitabilmente la ricchezza non può essere “redistribuita”.
Questa realtà di divisione di classe non viene meno neanche quan- do, o per superprofitti realizzati dall’imperialismo dal supersfrut-
tamento nei paesi dipendenti, o per fasi di lotte dei lavoratori, il capitale distribuisce briciole a strati privilegiati dei lavoratori (aris- tocrazia operaia), né se passa una mini patrimoniale sui redditi ric-
chi.

Su queste posizioni, che sono presenti nell’insieme del movimen- to femminista piccolo borghese sia nazionale che internazionale, in Italia in particolare espresse nell'area di Nudm e da alcune teor- iche, è necessario un’analisi critica agente, in primis da parte delle compagne comuniste, del movimento femminista proletario rivoluz- ionario, delle lavoratrici d’avanguardia, per contrastare l’influenza del riformismo della piccola borghesia femminista nel movimento di lotta delle donne.

Ma è necessario armarsi della teoria marxista per fare una critica non superficiale.

Capitalismo, riproduzione, critica al femminismo neoliberista

Contributo di Antonella Fierro – Milano

Prima di arrivare a parlare di “riproduzione” sento la necessità di fare alcune precisazioni, forse ovvie, ma che mi permettono di fare un pò di ordine.

Il patriarcato precede ed esiste da prima dell’affermarsi del capita- lismo. Si è già parlato di come lo sviluppo della proprietà privata legata allo sviluppo degli strumenti di produzione portò ad un pro- gressivo accumulo di beni tale da far nascere l’esigenza di traman- dare ai figli maschi la proprietà, e di come questo passaggio deter- minò l’affermarsi della famiglia monogama in cui si afferma anche la prima forma di oppressione e subordinazione; quindi un sistema violento, fondato non su condizioni naturali (come affermano certi teorici ), ma su condizioni economiche.
L’affermarsi del capitalismo nella rivoluzione industriale trova che il patriarcato funziona bene; un sistema di dominio imposto con la violenza o la minaccia della violenza, dove al comando si trovano gli uomini e i dominati sono le donne, i bambini e la natura, è per- fetto per lo sviluppo del sistema capitalistico.
E’ chiaro che con l’evoluzione del sistema capitalistico si evolve e si trasforma anche il concetto di patriarcato e la famiglia mono-
gama non è più l’unico modo di organizzarsi, ma nonostante le evo-
luzioni il sistema di oppressione permane.

C’è chi in questa fase di pandemia parla (vedi articolo della femmi- nista francese, Eve Ensler) di “patriarcato del disastro”, come la pandemia ha scatenato la guerra contro le donne”. Si usa questa espressione in analogia all’espressione “capitalismo del disastro”. Cioè, come il capitalismo usa il disastro per imporre misure che non passerebbero in tempi normali, per produrre sempre maggiori profitti, così fa il “patriarcato del disastro” come processo paralle- lo e complementare, in cui gli uomini sfruttano la crisi per riaffer- mare controllo e dominio ed erodere velocemente i diritti che le donne hanno faticosamente guadagnato.
(L’articolo continua considerando come un cambio di mentalità e

della cultura dominante possa portare ad una sua sconfitta, senza fare assolutamente appello alla lotta di classe).
Questa crisi e questa pandemia ha cambiato molte cose e ha porta- to al collasso i sistemi sanitari di molti paesi, e in questo contesto di crisi che ci proponiamo, attraverso la formazione teorica, di af-
frontare alcune questioni e dibattiti che si sono svolti tra le varie correnti del femminismo.

A questo proposito un valido strumento per comprendere le diffe- renze fra i diversi femminismi è in effetti l’opuscolo di Anuradha Ghandy, di cui si è parlato prima. Il suo metodo di studio ci aiuta a chiarirci le idee, sapere cosa vogliamo, definire la relazione tra genere e classe, e ci permette di decidere quali metodi di lotta e quali strategie vogliamo usare per combattere tutte le oppressioni, per non farci confondere e deviare da false lotte, con gruppi di don- ne con interessi addirittura opposti.
La prima cosa da sottolineare è che non esiste un solo femmini- smo, ma esistono molteplici femminismi, come le donne possono
essere borghesi, piccolo-borghesi e proletarie, così ci saranno di-
verse correnti teoriche e diverse strategie politiche all'interno dei
movimenti delle donne, borghesi, piccolo-borghesi o proletari.

Vogliamo precisare che partiamo da una posizione di femminismo proletario, anticapitalista, antirazzista, antimperialista, un femmi- nismo rivoluzionario che non crede nel cambiamento, ma nell'ab- battimento di questo sistema che consideriamo completamente marcio, perciò non riformabile.
Per questo motivo diventa importante guardare alla crisi del “capi- talismo patriarcale”, al fallimento di un certo tipo di femminismo
diventato famoso come femminismo liberale e all’ascesa di settori dell'estrema destra che portano avanti discorsi anti-genere.
Faccio queste precisazioni perché spesso succede che si sentono
discorsi confusi, per esempio: appena si cita la difesa di un “qual- che diritto” si pensa che, poiché riguarda le donne, siamo tutte dal- la stessa parte, mentre non è affatto così.

La pandemia ha messo a nudo le profonde contraddizioni del capi- talismo e in queste contraddizioni un punto importantissimo che verrà usato in modo sempre più speculativo è il LAVORO RIPRO- DUTTIVO.

La produzione e la riproduzione costituiscono la struttura del si- stema capitalistico, ma la riproduzione della forza lavoro avviene a spese di un altro essere umano che è la donna, ed essa non appare nella produzione. Nella famiglia proletaria (che si basa sul modello patriarcale) l’operaio produce e va in fabbrica, la donna sta a casa e pensa a tutto ciò che è necessario per far star bene e in salute il marito e figli, quindi tutto quello che fa è fuori dalla produzione, ma utile e necessario dal punto di vista sociale. Insomma i lavori domestici producono valore d’uso e non valore di scambio e perciò non considerato, il lavoro domestico e di cura non fa parte del pro- cesso produttivo, non produce plusvalore, non produce merce di scambio.

Ma il lavoro domestico, inteso come lavoro riproduttivo, è essen- ziale per il capitalismo, questo lavoro riproduttivo è molto fatico- so, duro e degradante e perciò determina inevitabilmente una con- dizione di subordinazione e oppressione.
Solo nel socialismo il lavoro domestico privato può essere abolito per essere socializzato e portare le donne ad un uguaglianza sostan- ziale e non formale.

Nonostante i cambiamenti sociali, culturali abbiano modificato la rigida divisione sessuale del lavoro, le donne relegate al lavoro ri- produttivo gratuito (domestico e di cura) e gli uomini dediti al solo lavoro produttivo si continua a denunciare una situazione di dispa- rità molto elevata, una situazione di potere patriarcale duro a mori- re.
Questo lavoro di riproduzione agisce profondamente sulla qualità della vita delle donne poiché è lavoro svilito, dato per scontato e
difficilmente conciliabile coi tempi del lavoro produttivo. Da di- verse indagini risulta che si produce più lavoro non retribuito che retribuito. Secondo una stima economica il lavoro di riproduzione
vale 395 miliardi di euro l’anno ed è un valore che è destinato a crescere nel tempo, circa il 30% del PIL (2019)
Il capitale continua a macinare utili, il lavoro di cura, i lavori più
precari continuano a ricadere sulle spalle delle donne, così come sui settori di giovani o migranti.
È da tempo che lo Stato taglia drasticamente bilanci della sanità,
dell'educazione e dei servizi sociali, preparando così il collasso del sistema sanitario che stiamo vivendo. Per comprendere meglio

di che cosa stiamo parlando basta pensare a quelle imprese che usa- no migliaia di donne addette alle pulizie, badanti per gli anziani e assistenti domiciliari, tutte che lavorano in condizioni precarie e con salari da fame.
E con la pandemia la situazione è diventata pesantissima soprattut- to quando milioni di donne hanno dovuto destreggiarsi tra la cura di
figli rimasti a casa dalla scuola, anziani, pulizie domestiche e lavo-
ro produttivo, per molte in Smart working.

Più in generale, la crisi che stiamo attraversando ci sta mostrando tutta la barbaria del sistema capitalistico che non può nemmeno garantire le cure mediche a una gran parte della popolazione, per- ché tutto deve essere piegato alla logica del profitto.
Tutto ciò sta portando milioni di persone a perdere il lavoro e spro- fondare nella povertà, e quando parliamo di povertà dobbiamo con-
siderare come proprio le donne sono le prime ad essere espulse
quando c'è crisi e la disoccupazione cresce.
Questa realtà di milioni di donne contrasta con la situazione delle grandi imprese, banche e multinazionali, che vengono salvate da piani miliardari dai capitalisti di tutto il mondo.

Se vogliamo cambiare le cose dobbiamo renderci conto che il ca- pitalismo, con il suo carico di patriarcalismo, non cadrà da solo, e non sarà sufficiente evidenziare o rendere visibile le sue brutali contraddizioni – noi non siamo per la semplice denuncia, non pos- siamo pensare che basti denunciare le contraddizioni che il tutto si possa risolvere. Idea abbastanza diffusa in gruppi di sinistra.

Partiamo, ad esempio, con la questione del femminismo liberale, un femminismo diventato egemone nei decenni del neoliberismo fino a diventare un senso comune politicamente corretto, secondo queste teoriche neo liberiste (Anna Botin, spagnola) le donne rag- giungono i loro obiettivi se hanno fiducia in sé stesse, se scelgono bene; secondo questa narrazione le donne hanno la possibilità di muoversi in una scala ascendente nella conquista dei diritti perché non ci sono ostacoli strutturali e tutto dipenderà dalla volontà indi- viduale delle donne ad andare avanti.
Se è vero che negli ultimi decenni sono stati conquistati diritti im- portanti per le donne e di genere, nella maggior parte dei paesi del
mondo dobbiamo ricordare che sono stati conquistati come risul-
tato di lotte precedenti.

Ma questa espansione dei diritti, nel quadro delle cosiddette demo- crazie liberali, sempre più degradate, è avvenuta in modo diseguale e mai definitivo: per esempio, in gran parte del mondo il diritto all'aborto è ancora una lotta da combattere e allo stesso tempo i diritti conquistati in altri paesi non sono mai stabili, perché sempre sotto attacco, pensiamo all’obiezione di coscienza, alle lotte delle donne polacche, alla Turchia, ecc.; inoltre, molte parlano di una maggiore uguaglianza della legge dimenticando che ciò non signi- fica quasi mai una maggiore uguaglianza di vita, e lo sanno bene milioni di donne precarie povere perché quei diritti scritti su carta non si materializzano automaticamente in cambiamenti significati- vi quando le condizioni di vita rimangono precarie, quando non c'è accesso alla casa, quando manca il lavoro e non c’è nessun tipo di reddito, poi se parliamo di donne migranti la situazione si aggrava perché in molti casi non hanno neppure quei diritti formali sulla carta per essere riconosciuti come cittadine.

Il neoliberismo ha promosso il fatto che poche donne occupassero posti di potere o rappresentativi e ha cercato di trasformare questo fatto in “un sentire comune” come nelle società occidentali: tutte le donne possono avanzare, basta volerlo…
La situazione che si è venuta a creare negli ultimi decenni è che solo un élite è entrata a far parte del 1% più ricco del pianeta, men-
tre lo stimolo al consumo delle classi medie da parte delle attività di credito ha contribuito a creare l'illusione di una mobilità sociale verso l'alto e ha cercato che l’approvazione sociale fosse quasi to-
tale.
Ora, nel mezzo della crisi del corona virus, per esempio, questa
donna femminista liberale Anna Botin, ma in ogni Paese ne trovia-
mo una degna rappresentante, fa dichiarazioni dicendo che soltanto sostenendo le aziende è possibile cambiare tutto il resto e che sen- za iniziativa privata non può esserci crescita (certo è vero se per
crescita s'intende crescita del profitto). Insomma, il solito vec- chio discorso liberale, necessario per assecondare le richieste di aiuto e di salvataggio delle imprese da parte degli Stati a suon di
miliardi.

Hanno la faccia tosta di affermare che da questa crisi si esce tutti insieme, ci chiediamo come?
Qual’è la vicinanza tra donne che possiedono banche e causano sfratti

e licenziamenti e le donne che vengono sfrattate, licenziate che sono la maggioranza?
Visto che queste idee si sono affermate da qualche decennio con un continuo e martellante “mantra”, per molte non è semplice coglie- re la falsità di certe affermazioni, ma venendo usati argomenti di
emancipazione, molte lavoratrici credono che stiano parlando dei loro problemi e della volontà di fare qualcosa di concreto, senza accorgersi di come sono ingannevoli canti di sirene che provocano
disastri, realizzando l’esatto contrario.
Parlano in generale di una situazione omogenea dove le donne pos-
sono essere in grado di raggiungere gradualmente diritti e avanza-
menti, una narrazione in mala fede, tesa a nascondere le differenze di classe, il razzismo, la dominazione imperialista che sono le basi su cui si sostengono i loro privilegi.
Ma perché trovano ascolto? Parlano della fine della storia, della fine delle ideologie, denunciano che non esistono più soggetti ca- paci di produrre cambiamenti, esaltando al massimo l'individuali-
smo e l'auto-realizzazione e come attraverso il consumo puoi rea- lizzare una vita “da Mulino bianco”. Tutte queste teorie postmoder- ne hanno narrato che tutto potesse essere messo in discussione,
tranne il capitalismo, che veniva accettato come qualcosa di già dato. Il femminismo neo liberale è stato usato dal sistema stesso per legittimarsi.

Quello che nella seconda ondata del movimento femminista, alla fine degli anni 60 e all'inizio degli anni 70, era stato un movimento con forti elementi antisistemici, antistatali, con metodi radicali, è stato trasformato in un “senso comune allargato” e accettato, ma perdendo tutti i suoi elementi critici.
E in questo contesto che le teorie post femministe hanno messo in discussione la naturalizzazione dell'eterosessualità normativa, ma nello stesso tempo, hanno naturalizzato il dominio del capitale.
E se in questa società non era più possibile cambiare tutto, l'unica via che rimaneva era quella della micro-resistenza individuale nel modo di cercare di espandere un po' le democrazie liberali.
Questo era ciò che è noto come la svolta culturale nel postmoder- nismo.
E con essa il femminismo si è spostato verso una critica piuttosto
culturale o discorsiva, che ha perso materialità, quindi funzionale al sistema stesso.

Pensiamo a NUDM che, nonostante la denuncia delle responsabili- tà del capitale, si pone su una linea riformista ed anche per quanto riguarda la denuncia del patriarcato con la sua carica di violenza e sessista si pone in un’ottica di educazione, di evoluzione culturale, senza comprendere che di fronte al potere non c’è educazione o rieducazione che tenga.

Da parte sua l'estrema destra basa i suoi ragionamenti su un forte discorso antigenere e coglie ogni occasione per infierire contro i diritti delle donne. Ma perché si stanno affermando questi fenome- ni di estrema destra? Questi fenomeni possiamo dire che si affer- mano con un certo vigore dopo la crisi capitalistica iniziata nel 2008 dove c’è stata la disfatta dei partiti conservatori democratici che avevano governato l'Europa negli ultimi decenni. E in questo conte- sto di crisi di rappresentanza delle grandi polarizzazioni politiche, si sono presentati ai governi con programmi riformisti e con l'idea di una gestione sociale più umana del capitalismo.
Dall'altro lato sono emersi i populismi di destra che hanno svilup- pato discorsi molto aggressivi contro le donne, i migranti, il tutto finalizzato a farsi spazio nel sistema dei partiti, per cercare di capi- talizzare il più possibile tutti i disordini generati dalle conseguenze della crisi.
E’ in questo contesto e, anche come risposta al diffuso movimento delle donne promosso in tutto il mondo, da NUDM in Argentina,
agli scioperi delle donne nello stato spagnolo, o alla lotta delle
donne in Polonia e negli Stati Uniti, in Italia, che queste formazioni
di destra hanno coniato e consolidato il concetto di “ideologia gen- der”, o di genere.
Questa “ideologia gender” è un concetto creato dal Vaticano per
demonizzare le teorie femministe ed è un dispositivo retorico che cerca di opporsi alla rottura del presunto ordine naturale tra i sessi. Così l’ideologia di genere diventa il nuovo nemico da sconfiggere
per queste forze reazionarie.

Da Trump a Salvini passando per Orban in Ungheria, includendo Bolsonaro, o Vox in Spagna, sono tutti agguerriti nell’attaccare i diritti conquistati dalle donne negli ultimi decenni e promuovono l'idea di un ritorno ad un certo tipo di famiglia tradizionale con po- sizioni apertamente misogine, omofobe e xenofobe.
Ci sono poi altri, come Le Pen in Francia, che cercano di strumen-

talizzare una presunta difesa delle donne, francesi, bianche e occi- dentali per legittimare le loro politiche razziste e islamofoiche.
È chiaro che con l'aggravarsi della crisi economica del covid que- ste correnti di estrema destra, ancora una volta cercano di capita- lizzare il malcontento verso i governi, verso la miseria sociale, ma
anche il malcontento per misure di confinamento sociale.

C'è ancora oggi chi sostiene che possibile ricostruire un nuovo Stato Sociale, un nuovo patto sociale, un New Deal verde e femminista, dove lo Stato è quello che controlla un pò di più i capitalisti, con più misure di maggiore interventismo sociale per controllare l'eco- nomia e diminuire l'impatto della crisi.
Noi pensiamo che ciò è davvero illusorio, perché questa crisi la sta già pagando, di nuovo, la classe operaia, i migranti, le donne, i gio-
vani, e che invece, dobbiamo puntare su una prospettiva completa- mente diversa.

Dobbiamo avere il coraggio di fare “saltare” questo sistema. Dobbiamo stare attente a contrastare le visioni ingenue che ci di- cono che solo rendendo visibili le contraddizioni il sistema capita- lista, col suo carico di patriarcalismo, cadrà da solo. Assolutamente non possiamo credere a una cosa così. Non possia- mo evitare la necessità di sviluppare la lotta di classe, non possia- mo evitare di dotarci di una strategia politica per articolare e svi- luppare la lotta rivoluzionaria contro ogni sfruttamento e oppres- sione.

Per le donne proletarie la lotta diventa più difficile e complessa, perché la prima lotta di classe l’affronta in casa, poi con la sua stes- sa classe; ma quando le donne fanno un passo avanti anche tutta la classe operaia, nel suo insieme, cambia in modo profondo.

E in questa lunga e complessa battaglia la formazione è proprio necessaria come una spada.

Appendice

Femminismo pro-anti Marx
commento critico ad alcune posizioni di S. Federici

di Carla Filosa – filosofa marxista Napoli

E’ ormai consuetudine autodefinirsi marxisti per poi negare, ignorare o voler superare Marx, in nome dell’avanzamento dei tempi o di altri problemi at- tuali che Marx “non aveva previsto”, ma di cui bisogna parlare per inficiare i cardini della sua analisi. Questo ormai il ruolo che il capitale ha assegnato alla “sinistra” – ignara di sé stessa – per opporre uno stuolo di “progressisti conservatori”, intellettuali e/o politici, ai lavoratori da suddividere con ogni mezzo materiale, legge e sperpero di ideologia come falsa coscienza. E’ questo il caso anche di Silvia Federici, accademica (insegna filosofia politica all’Hofstra college di Long Island, NY), femminista illuminata e riconosciuta da un sistema grato del servizio antimarxista e anticomunista reso con fervi- da convinzione, e capace di costruire un plotone di followers con rivendica- zioni anche condivisibili, ma poste su categorie e piani sociali purtroppo inoffensivi. Più precisamente si intende qui commentare e/o “rispondere” – non ad una richiesta mai attivata dall’interessata – ma ad alcuni articoli, in particolare quello del 16.04.2021 su Internazionale 1405 dal titolo “Ve l’avevo detto”, e all’intervista rilasciata al Manifesto (30.01.2020) intitolata “Quello che Marx non ha visto” a proposito di “Genere e Capitale. Per una lettura fem- minista di Marx”, ultimo suo libro per DeriveApprodi.

Basarsi sull’“esperienza delle lotte”, come Federici afferma di partire nella sua disamina, se può appagare una certa rappresentazione soggettiva del fenomeno “femminile”, non va oltre una conoscenza irrazionale del razionale (come Hegel ha insegnato a riconoscere), che non consente cioè l’accesso alla concettualizzazione necessaria della conoscenza, che deve invece indi- viduare le differenze interne specifiche del problema da analizzare. Innanzi tutto l’autrice inspiegabilmente rimprovera a Marx di non aver considerato a sufficienza la “distruzione” nella sua analisi, da cui invece emerge che la bor- ghesia la porta al suo interno già dal suo nascere, nella funzione rivoluziona- ria contro tutte le condizioni di vita feudali per cui “non ha lasciato tra uomo e uomo (nel senso di essere umano generico!) altro vincolo che il nudo inte- resse, lo spietato «pagamento in contanti»…Ha fatto della dignità personale

un semplice valore di scambio”1 . Nel continuo, necessario, inarrestabile rivoluzionamento delle forze produttive borghesi l’analisi marx-engelsiana non fa mistero della ineluttabile distruttività del rapporto di produzione a cominciare dal prodursi dell’“epidemia delle crisi” da sovrapproduzione, “distruggendo forzatamente una grande quantità di forze produttive, conqui- stando nuovi mercati e sfruttando più intensamente i mercati già esistenti”2. Ed ancora, “Quanto meno il lavoro manuale esige abilità e forza, vale a dire quanto più l’industria moderna si sviluppa, tanto più il lavoro degli uomini viene soppiantato da quello delle donne e dei fanciulli. Le differenze di sesso e di età non hanno più nessun valore sociale per la classe operaia. Non ci sono più che strumenti di lavoro, il cui costo varia secondo l’età e il sesso”.3 Dunque le donne, equiparate a uomini e fanciulli in quanto solo portatrici di forza-lavoro, sono anch’esse “strumento di lavoro” di valore diverso entro una stessa classe produttrice di plusvalore e della riproduzione del sistema di sfruttamento.

Da queste prime affermazioni del Manifesto (1847-’48) risulta chiaro che la distruttività costituisce il DNA del modo di produzione capitalistico – di cui Federici non fa mai menzione – quale cardine specifico di questo superabile sistema storico, in cui i generi di uomo e donna si qualificano come soggetti storici in quanto appartenenti alla classe dominante o subalterna, e questa distinzione attraversa con diverse prossimità tutte le classi sociali di ogni Paese. E’ questo il concetto chiave che si perde in questo femminismo irrelato, avulso dal contesto storico in cui le donne, liberate solo perché servono al capitale come forza-lavoro necessariamente aggiunta, diventano fonte di lavoro salariato da pagare meno e contemporaneamente gratuito nel loro tradizionale lavoro casalingo e di cura, relegato come individuale e non sociale per quello che invece è sempre stato, cioè come invisibile lavoro per altri.
Il concetto di distruttività, inoltre, Marx-Engels lo individuano proprio all’in- terno della progressività dialettica del processo di valorizzazione capitalisti- ca, in cui la costrizione a rinnovare continuamente i mezzi produzione con- temporaneamente comporta l’aumento del degrado umano e naturale. En- gels poi arrivò a definire questa realtà “omicidio sociale”, in “La situazione della classe operaia in Inghilterra” (1845), corroborato come conferma da molte denunce effettuate dagli ispettori di fabbrica riportate nel Capitale, relativamente al lavoro in condizioni mefitiche di uomini, donne e fanciulli. Oggi l’inquinamento planetario sotto gli occhi di tutti mostra con ripetuta evidenza l’incompatibilità di questo sistema con la stessa vita delle popola- zioni assoggettate e del pianeta stesso, per effetto del rapporto predatorio dovuto all’accumulazione in crisi apparentemente irrisolvibile, da cui il capi- tale mondiale non riesce più a uscire. Nell’ambito di una metodologia dialettica volta a cogliere la totalità del siste-

ma di capitale, l’analisi marx-engelsiana prosegue continuamente nell’indivi- duare tutte le specifiche articolazioni di questo sistema produttivo e ripro- duttivo di sé stesso, entro cui siamo tutti condizionati, senza che questo fem- minismo si avveda della differenza tra riproduzione del sistema e subordina- ta riproduzione sociale, dipendente dalla prima. L’occupazione femminile come pure la sua espulsione dal mercato del lavoro sono alla mercé delle scelte proprietarie borghesi esattamente come conviene a questa classe do- minante, e pertanto le leggi relative alle famiglie sono varate da uno Stato al servizio di quest’ultima. Le donne proletarizzate – a differenza di quelle ap- partenenti alla upper-class – sono così, anche contemporaneamente, giuridi- camente un jolly, ora lavoratrici per il ribasso del valore della forza-lavoro (non a caso ancor oggi ricevono un salario inferiore a quello maschile a parità di mansioni, in totale spregio anche della Costituzione italiana!) ora erogatrici di lavoro sociale invisibile in quanto non salariato, ovvero non dipendente direttamente da capitale ma sostenuto da un qualsivoglia reddi- to, ora riproduttrici di esseri umani, cioè di potenziale forza-lavoro quale unica merce non capitalistica, precisamente in tale contesto. Se dunque il lavoro femminile, quale forza sociale monopolizzabile (al pari di quello di ogni altro genere e marginalizzazione) non può trasformarsi in capitale, non viene riconosciuta neppure più la persona umana che ne è portatrice, con tutte le sue attività conservative e riproduttive e i suoi pluriaffermati “diritti alla vita, in particolare alla propria”. Le esigenze femminili funzionali all’ap- partenenza sociale attiva, quali asili nido, ausili per la cura di anziani, disabili, ecc. poiché costituiscono un costo sociale da contenere, sono scarsissimi e si è spesso preferito risparmiare con il “lavoro dell’amore” i necessari am- mortizzatori sociali.

Ancora Marx –Engels, come comunisti, si propongono di “abolire la posi- zione delle donne come semplici strumenti di produzione”4. Come non rico- noscere in tale frase la sintesi della totale condizione femminile, non delineata dettagliatamente, ma onnicomprensiva del rapporto di subalternità sociale e personale? E’ solo in un’ottica di classe – che Federici ignora – che l’eman- cipazione femminile, e di tutte le altre marginalizzazioni razzizzate o meno, può effettuarsi. A partire dall’abbattimento della fissità dei ruoli, per finire all’unità delle lotte universali per superare questo sistema, è necessaria una visione totalizzante in cui risulti evidente il criterio scientifico di collegamento imperniato sulla centralità del modo di produzione, fondato sullo sfruttamen- to o privatizzazione del lavoro sociale erogato gratuitamente nelle forme isti- tuzionali normalizzate. La violenza strutturale, interna alla divisione del lavo- ro finalizzata alla produzione di plusvalore appropriabile, diventa manifesta solo entro una totalità socio-economica, i cui singoli episodi costituiscono una quota di visibilità che non risale mai, per limitatezza intrinseca, alle sue cause reali. Dalle mancate tutele della maternità ai femminicidi oggi quasi quotidiani, tali casi non debbono rimanere interni alla ghettizzazione del fem-

minile separatista che protesta, si lamenta o rivendica più o meno con indi- gnazioni moralistiche, ma vanno considerati all’interno delle matrici utili di questo sistema.
La donna è sempre stata usata, in questo sistema, come vantaggiosa di- sgregazione da portare all’interno della classe da sfruttare, ottenendone così un facile consenso, da contabilizzare in termini di voti. La divaricazione tra lavoro salariato, come dumping interno alla classe, e lavoro cosiddetto familiare ha reso due volte la donna schiava salariata e schiava delle pastoie storiche di un patriarcato ottimamente modernizzato capitalisticamente, per sostituire con energie vive inferiorizzate gli ammortizzatori sociali inesistenti o carenti a livello istituzionale, e così coprire i risparmi occulti del capitale. Il salario alle casalinghe infatti – di cui si parla dagli anni ’70 e si fa paladina anche Federici – costituirebbe una giusta conquista se solo si avesse la forza di imporla al pagamento dei profitti dei capitali operanti a livello nazionale, ma che molto spesso neppure pagano le tasse risparmiando anche quelle nei paradisi fiscali, o comunque dove vengono loro offerti vantaggi legali, buro- cratici, infrastrutturali e salariali. Il salario alle casalinghe diventa altrimenti la solita richiesta orante allo Stato nell’illusione della sua neutralità – che Marx- Engels avevano definito addirittura “superstiziosa” -, quando invece, nel mi- gliore dei casi, non potrebbe che risolversi nella usuale ripartizione del sala- rio indiretto attraverso la fiscalità generale. Cioè di nuovo a carico dei lavo- ratori occupati, senza più considerare la classe composta da occupati e non nella stratificazione di un esercito di riserva, ormai estremamente frantumato nelle forme crescenti di precarizzazione, quale risparmio costante dei costi di riproduzione del capitale. La riserva femminile da questo punto di vista è preziosa perché è stata costituita come un vivaio di valore d’uso senza valo- re – come l’aria, l’acqua, ottenute senza lavoro – e a cui quindi si attinge gratuitamente nella normalità delle cose.
Il valore della forza-lavoro mercificata è dato unicamente dal suo essere venduta, diversamente non è nulla per il capitale. Anche per il concetto di valore non è mai troppo precisare che va identificato nella sua scientificità come tempo di lavoro socialmente necessario, da non confondere con il termine che indica una pluralità generica di significati. In questo caso infatti ci si riferisce alla capacità, propria della forza-lavoro, di creare valore maggio- re del semplice trasferimento di valore dalle materie prime al nuovo prodot- to, questo valore aggiunto (plusvalore) va poi a costituire buona parte del profitto – nel processo di autovalorizzazione del capitale entro il processo lavorativo, storicamente coincidenti solo nel modo di produzione capitalisti- co. Purtroppo anche questo concetto è sfuggito a Federici che mostra di non conoscere la distinzione del processo lavorativo, comune a tutti i modi di produzione precapitalistici, e del processo di valorizzazione specifico di questo sistema, che avviene mediante lo sfruttamento di tutta la forza-lavoro venduta, svalorizzata per definizione e costantemente divisa per indebolirne la potenziale forza di emancipazione e/o rivoluzionaria.

In tal modo il sistema si avvale anche della popolazione femminile, anch’essa povera o impoverita, sottomessa dalla necessità e dalle tradizioni, identifica- ta per natura come tutte le altre diversità costruibili rispetto al maschio per lo più bianco come altro stereotipo contrapposto, ma dominante, in cui è più facile nascondere la brama di ricchezza e il conseguente comando sul lavoro degli agenti di questo sistema. Il concetto di povero qui espresso, sia chiaro, non va opposto a ricco – come Federici sembra religiosamente riferirsi – ma è il secondo requisito perché il lavoro sia libero (da vincoli giuridici per po- tersi vendere autonomamente) e preordinato per la salarizzazione, per la dipendenza cioè dall’acquirente della forza-lavoro a cui necessariamente si rivolgerà in quanto povero. Non a caso sin dal 1800 venivano definiti labou- rers, o working poors, quelli sottopagati provenienti dai vagabonds,o beg- gars (vagabondi erano chiamati gli espropriati dalle terre e/o ridotti a mendi- canti, costretti a trovare un altro lavoro per non essere ridotti in schiavitù o uccisi). Più recentemente le varie soglie di povertà contabilizzate fino ai nostri giorni hanno incluso nei poors anche gli inoccupati, i parzialmente occupati volon- tari e non, gli scoraggiati, ecc. senza distinzione di sesso, razza, religione, etnia, appartenenza politica o provenienza da qualsivoglia migrazione. L’egua- litarismo sventolato sulle bandiere della borghesia alla sua ascesa si è spo- stato poi facilmente sul solo mercato del lavoro, se si fa attenzione a intrav- vedere la classe atomizzata degli sfruttati nel variegato underground della mercificazione della forza-lavoro, mentre se si guarda a questi individui sin- goli si vede una infinità di differenziazioni che ne impediscono il reciproco riconoscimento e sostanziale unità.

Nel caso del femminile, il più vasto bacino di differenziazione che pesca dal naturale per riversare sul sociale una creazione ex-post appositamente infe- riorizzata, si nota così una maggioranza numerica fatta funzionare da mino- ranza che non conta, e sulla quale è stata ingaggiata un’offensiva ideologica che renda ogni donna proletarizzata colpevole di qualsiasi anelito di egua- glianza o libertà personale, non prevista dalla mentalità e dalle normative vigenti. Il lavoro di riproduzione sociale, dalla maternità alle infinite incom- benze di manutenzione casalinga e cura familiare, ultima aggiunta anche la pandemia attuale (13 milioni di donne nel ‘21 hanno perso il lavoro, mentre gli uomini son risultati non molto diversificati dal ’19. In Europa eAsia l’oc- cupazione femminile è calata del 2,5% rispetto all’1,9% maschile) costitui- sce motivo di allontanamento o espulsione dal mercato del lavoro. In que- sto, peraltro, se si torna – ma già sembra chiaro che le perdite persisteranno
– si scendono livelli di mansionario e remunerazione, senza contare l’ogget- tivo impedimento, tradizionalmente appesantito dall’ideologia dominante, volto alla limitazione delle scelte culturali e di vita fin dalla più tenera età delle bambine. Ciò indica che la “questione femminile” non è solo a carico di chi è

portatrice di ovaie, ma è un vulnus sociale che dovrebbe coinvolgere la co- scienza collettiva soprattutto di chi subisce lo sfruttamento fatto apparire come normalità lavorativa eternizzabile.

A proposito del “processo di concentrazione” – cui Federici si avvicina sen- za arrivare a completare questo sviluppo storico con il processo di “centra- lizzazione” del capitale nella sua consolidata fase imperialistica, non si trova mai nemmeno nominata questa fase si superamento del capitale concorren- ziale nella progressività contraddittoria del sistema. Marx dimostra che pro- prio lo sviluppo anarchico, incontrollato delle forze produttive del capitale determina il proliferare di “gerarchie” tra capitali e Stati, nella divisione inter- nazionale del lavoro sempre in evoluzione. Le differenze e ineguaglianze so- ciali e politiche, quindi culturali, in costante aumento soprattutto oggi, sono proprio la conseguenza della centralizzazione crescente dei capitali più forti in grado di raschiare il barile di tutta la ricchezza già prodotta, e soprattutto quella futura, sottraendola alla popolazione mondiale ridotta nella dipenden- za, anch’essa pesantemente gerarchizzata. Omettere di indicare la prove- nienza dell’arbitrio e del comando sul mercato mondiale, dopo l’analisi marxiana mai confutata ma evitata per i suoi cosiddetti “silenzi”, significa allora colludere con l’obliterazione delle cause che hanno determinato im- poverimento sociale al di sotto della sopravvivenza in molte parti del mon- do, anche a noi molto vicine, disastri ambientali d’ogni tipo, di cui forse alcuni già irreversibili, e prospettive di conflitti bellici ulteriormente amplifica- ti rispetto a quelli già da sempre esistenti.

A proposito di guerre, appare utile menzionare un articolo di Sara Valentina Di Palma (Università di Siena) su Storicamente, 14.06.2014: “Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i problemi del dopo- guerra”. Se la guerra è da sempre il luogo e il tempo degli orrori, quest’au- trice ne ha individuato uno più specifico che arricchisce ulteriormente l’im- portanza di focalizzare l’uso delle donne sia in tempi di pace che di guerra, e cioè: “La strumentalizzazione del corpo femminile allo scopo di annientare il nemico, in una competizione politica di movimenti nazionalisti i quali prendo- no piede attraverso la sessualizzazione dei cittadini: uomini combattenti per la patria versus donne silenziose, complici o nemiche da annientare”. L’im- perialismo occidentale che ha fatto definire “conflitti etnici” questi scontri apparentemente solo indigeni, ha innovato l’uso dello stupro di guerra nel finalizzarlo a rendere impossibile anche il recupero postbellico, unitamente al nuovo uso del corpo femminile – come simbolo della nazione – in questa strategia di annientamento. Si compromette così “il futuro del gruppo nemi- co nel dopoguerra”. I “sopravvissuti alla violenza sessuale furono margina- lizzati, stigmatizzati e messi a tacere… fu limitato loro l’accesso alle cure mediche e psicologiche, mentre vecchi e nuovi perpetratori li sottoposero a

ulteriori vessazioni”. “Questo lavoro fa propria la messa in discussione del- l’attenzione di una parte del post-femminismo alla sola interiorità femmini- le… e sposa invece la tesi femminista che vede la violenza sessuale come un fenomeno in cui la donna non è soltanto una vittima passiva” ma ha anche una potenzialità di reazione “contro l’imposizione al silenzio o contro la ma- nipolazione della memoria femminile al fine di revittimizzare le donne o per sfruttarne la vicenda nel nuovo nazionalismo del dopoguerra”. “La violazio- ne di un popolo passa attraverso la violazione delle proprie donne… come mezzo di genocidio contro minoranze, di snazionalizzazione, di estirpazione di popoli e di deportazione (armeni)”. L’obiettivo di “disumanizzare e quindi sterminare il nemico” quale passaggio alla decolonizzazione inAfrica o alla destrutturazione di Stati, unisce quindi lo stupro al genocidio, riconosciuti solo recentemente come crimini di guerra e contro l’umanità.
Questa citazione permette di spostare l’attenzione sull’uso perverso del- l’eredità patriarcale ai fini profittevoli dell’imperialismo moderno, per osser- varne tutte le implicazioni nell’alternanza pace/guerra in cui sofferenza e morte di intere popolazioni, le cui principali protagoniste sono donne, sono solo i numeri del calcolo per l’accaparramento di materie prime, di passaggio con- trollato di pipelines, di controllo territoriale strategico, ecc.

I “silenzi” di cui Marx è accusato da Federici, allora, evidenziano il modo in cui non si critica un autore per ciò che ha detto ma per ciò che si ritiene non abbia detto. Più facile. Marx non ha taciuto infatti sull’anarchia dei capitali che conducono alle crisi da sovrapproduzione e da queste alla necessaria distruzione di capitali, di ricchezza accumulata, di esseri umani. Le due ulti- me guerre mondiali e tutte quelle a bassa intensità attuali ne sono l’espres- sione più evidente, ancorché dissimulata. Per una formazione culturale come quella marxiana dobbiamo ritenere che lo sforzo analitico prioritario sia sta- to quello di mettere a fuoco le categorie fondanti il modo di produzione capitalistico, da cui discendono tutte le relazioni sociali dominanti e determi- nanti, le contraddizioni, la progressività storica bifronte, come già detto, com- presa la superabilità del sistema di capitale. Tutte le implicazioni, le articola- zioni, i dettagli e le modernizzazioni dell’esportazione di merci e riproduzio- ne del sistema, sarà il percorso della coscienza storica che tutti siamo chia- mati a corroborare.

Lavorare oltre su siffatti pilastri è ciò per cui l’immenso lavoro di questi padri teorici è stato intrapreso in mezzo a mille difficoltà epocali e personali. Per- tanto lo sviluppo delle modalità con cui la forza-lavoro è stata suddivisa, usata e abusata (si pensi solo agli omicidi costanti sul lavoro chiamati una volta “omicidi bianchi”, cioè senza responsabili!) costituisce l’impegno di tutti i posteri che possano infatti documentare il procedere di questo sistema capace di calpestare ogni forma di vita che non si riconosca come profitte- vole.

Si dà atto comunque a Federici di aver meritoriamente sostenuto e portato avanti la problematica sociale dell’emancipazione femminile, tragicamente arretrata se non addirittura inesistente nei paesi più dipendenti e saccheggiati dalla gerarchia imperialista. Ci si distanzia invece dal condividere la sua lettura su Marx, da cui il femmi- nismo separatista è sempre rimasto molto lontano se non apertamente ostile. Forse un punto di convergenza comune è possibile coglierlo se pensiamo alla prospettiva già in atto nei paesi più sviluppati di emancipazione sociale femminile, quale condizione di sviluppo competitivo del sistema.

Unitamente a tanti altri, e altre, le donne avranno pertanto un ruolo attivo determinante nell’emancipazione sociale dallo sfruttamento se non addirittu- ra di guida razionale e spinta emotiva trainante, dettate proprio dalla neces- sità materiale e morale del rovesciamento di tutte le ingiustizie, vessazioni, violenze, preclusioni, limitazioni subite sulla propria pelle per secoli, nell’af- fermazione della loro presenza sociale da conquistare a tutela effettiva della propria e altrui natura, per instaurare una vita non più mercificabile.

Bibliografia

Per la critica dell’economia politica, secondo Marx. A cura di Gianfranco Pala. Napoli, La città del Sole.
Il Capitale, vol.I. K. Marx, ER. Roma, 1970.
Il Manifesto. F.Engels – K. Marx. 1847-48. E.R. Roma.
La situazione della classe operaia in Inghilterra. F. Engels, 1845.
Ve l’avevo detto, Silvia Federici su Internazionale 1405, 16.04.2021.
Quello che Marx non ha visto. Silvia Federici. Una intervista di Paola Rudan
a proposito di “Genere e Capitale” di imminente pubblicazione per Derive
Approdi. Il manifesto, 30.01.2020.
Femminismo e movimenti: un rapporto ancora irrisolto. Silvia Federici. Su
Pulp libri a cura di Elisabetta Michelin, 11.04.2020.
Corpi di donne in guerra. La violenza sessuale in Bosnia e Ruanda e i pro-
blemi del dopoguerra. Sara Valentina Di Palma (Università di Siena) su Sto-
ricamente, 14.06.2014:”
Autrici di civiltà. Un sito di donne, del passato presente, futuro che ridefini-
scono la civiltà. Una lettura di Daniela Degan su “Genere e Capitale” di
Silvia Fedderici. 17.07.2021
La crisi di lavoro e il suo doppio. Carla Filosa, su La Contraddizione, n. 39,
novembre/dicembre 1993.

Frasi di Marx:

“…si visto che l’operaio è spesso costretto a far del proprio consumo individuale un puro e semplice
incidente del processo di produzione. In questo caso egli si dà mezzi di sussistenza per tenere in moto la
propria forza-lavoro, come alla macchina a vapore vengono dati acqua e carbone, come alla ruota dell’olio. E allora i mezzi di consumo dell’operaio sono puri e semplici mezzi di
consumo di un mezzo di produzione e di consumo individuale dell’operaio e consumo direttamente produttivo. Eppure questo fatto appare come un abuso, non essenziale per il
processo di produzione capitalistico…”

“…il consumo individuale della classe operaia è riconversione dei mezzi di sussistenza, alienati dal capitale in cambio di forza-lavoro, in forza-lavoro di nuovo sfruttabile dal capitale. Esso è produzione e riproduzione del mezzo di produzione più indispensabile per il capitalista, cioè dell’operaio stesso. Il consumo individuale dell’operaio continua dunque ad essere sempre un momento della produzione e della riproduzione del capitale, tanto che avvenga dentro o fuori dell’officina, fabbrica, ecc., dentro o fuori del processo lavorativo, proprio come la pulizia della macchina, tanto che avvenga durante il processo lavorativo o durante determinate pause di questo…”

“…nulla cambia il fatto che l’operaio compia il proprio consumo individuale per amore di sè stesso e non per amore del capitalista. Neppure il consumo delle bestie da soma cessa di essere un momento del processo di produzione per il fatto che il bestiame stesso gusta quello che mangia. La conservazione e la riproduzione costante della classe operaia rimane condizione costante della riproduzione del capitale. Il capitalista può tranquillamente affidare all’istinto di conservazione e di procreazione degli operai il
soddisfacimento di questa condizione. Egli provvede soltanto a limitare il più possibile al puro necessario il loro consumo individuale, ed è lontanissimo da quella rozzezza
sudamericana che costringe l’operaio a nutrirsi di cibi più sostanziosi invece che di cibi meno sostanziosi…”

Formazione rivoluzionaria delle donne

Sull'origine della condizione di oppressione delle donne dall'incontro donne/lavoratrici del 13 maggio 2021

uno studio/riflessione su:

“L'origine dello famiglia, dello proprietà privato e dello Stato” di Engels

Conferenze di Alexandro Kollontoj “Sulla liberazione della
donna”

Concezioni e posizioni del femminismo oggi

Richiedere a mfpcnaz@gmail.com