Ordinanza del 21 maggio 2014
Principio analogo espresso da altre sentenze Consulta massima e sentenza relative all'articolo Il minore deve poter crescere presso un’altra famiglia se la sua permanenza presso un congiunto può costituire un ostacolo allo sviluppo della sua personalità, ad esempio perché la zia non risulta in grado di opporsi all’influenza negativa che hanno sul bambino i genitori che l’hanno abbandonato. E ciò a maggior ragione quando il vero interesse che spinge la zia a chiedere di allevare il piccolo è di tenerlo presso di sé in modo provvisorio per poi ricollocarlo presso la madre, laddove invece l’abbandono del genitore è irreversibile. È quanto emerge dall’ordinanza 11284/14, pubblicata il 21 maggio dalla sesta sezione civile della Cassazione.
Fattore ostativo Bocciati i ricorsi.
È vero: in base alla legge 184/83 il minore ha diritto a vivere e crescere nella sua famiglia ma ciò finché la permanenza in seno al nucleo non finisce per impedire una sua crescita armonica e compiuta. Ai fini del superamento della situazione di abbandono la posizione dei parenti può diventare rilevante soltanto se già sussistono rapporti anteriori con il minore: non basta che lo stretto congiunto del bambino manifesti la volontà di occuparsi di allevare il minore ma serve anche l’ulteriore prova che egli sia adeguato ad assolvere il relativo compito. E l’idoneità, ad esempio, della zia del bambino si misura anche nella sua capacità di opporsi alle pretese nei confronti del piccolo e di impedire determinati atteggiamenti in modo da evitare che permanga la loro influenza negativa sul minore. Nella specie la zia non vuole veramente crescere il bambino in un diverso contesto familiare ma si candida soltanto per fare in modo che un domani il piccolo possa tornare dalla madre, che pure mostra di non volerne sapere. Infine: il comportamento degli affidatari non rileva ai fini della valutazione sulla sussistenza di uno stato di abbandono. Spese di giudizio compensate.