Pesano la durata delle nozze e l'accudimento di prole e suocero malato. Ma addio alla ex casa coniugale anche se ci vive la figlia rimpatriata dopo Brexit, che perde pure il contributo del padre – Sentenza, 28 marzo 2018
Nonostante la stretta della Cassazione sì all’assegno divorzile alla cinquantenne licenziata. E ciò perché ha fornito un apporto importante al ménage familiare accudendo prima le figlie, ormai maggiorenni, e poi il suocero malato: pesa la lunga durata delle nozze – ventidue anni – che sta diventando un parametro considerato dai giudici del merito verso il quale anche la Suprema corte mostra attenzione (cfr. “La Cassazione “apre” all’assegno dopo la fine dei matrimoni lunghi”, pubblicato il 23 marzo); si tratta peraltro di uno dei criteri indicati dalla pdl Ferranti per disciplinare la materia dopo la svolta di Piazza Cavour che con la sentenza 11504/17 ha mandato in soffitta il criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per stabilire se il coniuge richiedente ha diritto o meno all’assegno divorzile. Ma attenzione: la figlia rimpatriata dall’Inghilterra post-Brexit perde il mantenimento del padre perché ormai deve ritenersi indipendente economicamente, anche se è tornata a vivere nella ex casa familiare dopo aver perso il lavoro nel Regno Unito.
E la raggiunta autonomia fa scattare pure la revoca dell’assegnazione alla madre dell’appartamento in comproprietà, che ora deve essere venduto. È quanto emerge dalla sentenza 2337/18, pubblicata dalla prima sezione civile del tribunale di Roma (giudice Carmela Chiara Palermo).