CHI INVESTE NELLA CULTURA INVESTE NEL FUTURO

da | Feb 6, 2022 | L'opinione

di Elisabetta Righi Iwanejko

«La cultura non è il superfluo: è un elemento costitutivo dell’identità italiana. Facciamo in modo che questo patrimonio di ingegno e di realizzazioni – da preservare e sostenere – divenga ancor più una risorsa capace di generare conoscenza, accrescimento morale e un fattore di sviluppo economico. Risorsa importante particolarmente per quei giovani che vedono nelle università, nell’editoria, nelle arti, nel teatro, nella musica, nel cinema un approdo professionale in linea con le proprie aspirazioni.»
Se dovessi scegliere un solo passaggio del discorso del Presidente Sergio Mattarella al Parlamento sarebbe questo.

È sulla formazione e la cultura, come partenza e approdo dei giovani, che dobbiamo lavorare ogni giorno.
Credo che si debba e si possa esprimere un grosso impegno in questo settore strategico della vita sociale , valorizzando le energie disponibili, mobilitandone di nuove, per cominciare finalmente a discutere, sia sul piano progettuale che a livello operativo, a riguardo delle possibilità di orientare la produzione di cultura nel nostro Paese verso obiettivi che, pur favorendo l’arricchimento individuale e la promozione sociale, siano contemporaneamente capaci di tradursi in occasioni di “utilità anche economica.”

Questo obiettivo è complesso, presenta dimensioni diverse e pretende il coinvolgimento di una pluralità di competenze, anche di quelle pensate estranee al classico profilo dell’operatore culturale, spesso considerato a torto solo esperto di vaghezze e di idee e ritenuto ingiustamente sprovveduto sul piano della programmazione dei costi (ed eventualmente anche dei ricavi) delle iniziative che elabora.
L’obiettivo indica soprattutto il bersaglio su cui mirare la nostra attenzione critica: si tratta di quel modello passivo che identifica la cultura come attività “disinteressata”, esterna o magari altolocata rispetto alle pratiche ordinarie e più “prosaiche” del sociale, bisognosa dell’assistenza e del mecenatismo del politico che potrà eventualmente esibire le sue “premure culturali” come un fiore all’occhiello. Contro questo modello passivo bisogna combattere e ripensare ad un più attuale significato della “funzione” della cultura, cercando di misurare il suo grado effettivo di sopravvivenza, tenendo conto che ancora questo modello agisce pur senza manifestarsi pubblicamente, come un pregiudizio tacito e scontato, soprattutto tra il ceto politico e imprenditoriale.

Credo che sia necessario riaffrontare, nei suoi termini generali la questione, mettere a confronto le rispettive versioni, i criteri che informano le strategie di programmazione. Il confronto e la discussione su un argomento che potrebbe sembrare facilmente rinviabile rispetto all’emergenza degli ordinari problemi di economia e di amministrazione, ritengo sia invece un argomento rilevante per la ripresa e lo sviluppo complessivo della nostra realtà.

Ma l’assunzione di queste responsabilità da parte della volontà politica potrebbe anche tramutarsi in un impegno in perdita se verrà a mancare la capacità di imprimere alle nostre iniziative per la cultura quell’intelligenza e quelle garanzie che devono essere necessariamente sostenute dalla chiarezza e dalla plausibilità dell’obiettivo. E l’obiettivo in questo senso dev’essere ben chiaro: la produzione di cultura deve comportare produzione di nuove idee, occasione di incontro per le persone, deve generare stimoli di conoscenza e di ricerca, deve alimentare la passione civile e la disposizione al cambiamento, scuotere l’immaginazione politica e del politico, aggiungere motivazioni ulteriori alle funzioni ordinarie della nostra vita quotidiana, arricchendola di senso d’identità, di scopo e di un ritorno reale ai valori veri. La produzione di cultura deve essere anche in grado di aprire sbocchi occupazionali, spazi per attività non convenzionali, individuare funzioni socialmente utili e promuovere l’emergenza di nuove figure professionali specializzate, in grado di assolvere alle nuove funzioni “con competenza e senso di responsabilità”.