Questo libro della scrittrice e maitre a penser italiana di sinistra, outsider e simbolo della filosofia della diversità e dell’inclusività, mi ha affascinato a dir poco. Inizia il libello, che si legge tutto d’un fiato, con la trattazione della “queerness”, con lei che si definisce madre queer .
Di cosa si tratta? Il mondo ha infinite sfaccettature, la mia prassi clinica lo mostra ogni giorno, specialmente con la vita affettiva. L’autrice più discussa dal mondo tradizionale italiano afferma come la famiglia tradizionale sia portatrice di germi di chiusura mentale e sociale, rigidità simili a quelli delle famiglie mafiose, ipocrite, incestuose e prive di scambi con l’esterno. Cita a proposito, Roberto Saviano, cultore e studioso dal di dentro del mondo mafioso, lui stesso perseguitato.
Cosa significa essere queer? Significa che si è profondamente liberi di accettare tutte le sfumature che la propria sensibilità ed emotività propongono da un punto di vista sessuale e di scelta affettiva. In più passi Michela Murgia riprende il termine “essere binari” per definirsi, a modo suo, anche se le definizioni secondo lei, ingabbiano la persona in meccanismi mentali di chiusura e arretratezza mentale. Non esiste, infatti, o forse non è mai esistito il genere maschile e femminile, omosessuale o eterosessuale, né il soggetto lambisce sempre una dimensione, una “sponda” mentale che lo faccia sentire in un’ unica prospettiva. Basti pensare al concetto di omossesualità latente, tanto ben descritta da Freud, oppure all’”amore impossibile”, tra l’uomo e la donna di Jacques Lacan.
I soggetti vivono e fanno fatica a delineare un loro preciso status, ruolo, se non per dimostrare alla società, ipocritamente, che si è “normali”, quando la normalità non esiste!
Così il testo di Murgia mi ha colpito, non solo nella sua franchezza, ma anche nella sua introspezione del mondo psichico, nella sua profondità. Infatti quante volte, dopo un discorso di una paziente, eh sì perché sono le donne a soffrire di più, mi sono ritrovata a stare in silenzio non solo per ascoltarla, ma per comprenderla con rispetto, senza sentenziare con frasi auliche e fascinose.
Così nell’incertezza, oltre che nella realtà delle cose, Michela Murgia onestamente in senso intellettuale e morale, etico, dice apertamente che la fedeltà e gli abbandoni, la fine dei legami, appartengono a chi responsabilmente sta con qualcuno, determinando in questa maniera un dialogo sincero e non ipocrita con le nostre scelte, tutte, comprese quelle che sorgono con il cambiamento presente costantemente in ciascuno di noi.
Nel libro, quasi a metà della lettura, si può leggere una frase di questo genere: “La gravidanza non è necessariamente una maternità”. Affermare questo significa che non esiste un istinto materno e che si sceglie fino in fondo, sempre, di voler essere madre.
“Scegliersi madri”, cito l’autrice a pag. 69, vuol dire, secondo me, questo: iniziare a pensarsi madri, ma da caratteristiche non biologiche, ma piuttosto materne, o simboliche.
Dare peso e senso, soprattutto, ai legami di “sangue”, è come segnare una vita all’anonimato, all’essere puramente un organismo biologico, ma senza un legame di scelta fatta di volontà, da parte
della madre, ma perché no, da parte anche del padre.
La prima persona a decidere sul portare a termine la gravidanza rimane la donna che si presta con la sua volontà alla gestazione, con l’intenzione superiore a quella degli altri che stanno condividendo la nascita. Nel caso di richiesta di aborto, infatti, da parte della coppia che ha chiesto questa nascita con i loro gameti, la madre biologica dovrebbe poter esprimere la sua piena volontà.
Un argomento che condivido appieno, che mi fa riflettere sulla questione delle classi sociali e del loro sfruttamento, è il pagamento della gravidanza della donna che dona la vita, ed è questa parola che più piace a Michela Murgia, “donare la sua vita”, ai genitori affidatari. Perché fare una questione economico-sociale, in una questione così delicata? Perché la GPA, ovvero la gravidanza per altri, è da sempre, ma non in Italia, remunerata. Perché in Italia non è consentita.
Così si fa, in una condizione di disagio economico-sociale, una questione di mercificazione?
E poi accanto a questo bello spunto etico, perché andare all’estero per avere la gioia di una famiglia, penso, e non solo, alle famiglie di coppie omosessuali?
Termino affermando, con simpatia, che Michela Murgia scrive e ha pubblicato idee e spunti etici e filosofie di vita contrastando una certa mentalità non tanto cattolica, ma apertamente di destra “puritana”!
Insomma, questo libro pubblicato postumo di Michela Murgia è un testo di etica ma non moraleggiante, con spunti di riflessione che aiutano, secondo me, tutti nel riconoscersi, confortandosi, in varie dimensioni affettive e di vita e, in generale, nel sentirsi “normali” ovvero accettati finalmente, al cospetto di una società italiana in parte ancora bigotta e giudicante, sprezzante e moralista.
“Dare la vita”, di Michela Murgia, Rizzoli editore, 2023