Dal materno al femminile. Questioni di identità femminili nel contesto della soggettività umana.

da | Gen 23, 2022 | Testimonianze e contributi

di Paola La Grotteria*

 

Il tema del femminile è vasto e il femminicidio è un’aberrazione. E’ forse necessario forse partire dal materno e la Psicoanalisi contemporanea a proposito delle donne nella loro scelta di struttura psicologica ci conduce a questa apertura. Per avviare una questione iniziale ma non necessariamente esaustiva sulla questione femminile imposto il mio studio su tutto il contesto che costruisce ciò che la psicologia e le scienze umane chiamano “materno”.
Volendo così dare un senso a questo che mi accingo ad esporre, cioè rendere e trasmettere il significato più profondo ma quasi letterale, cioè di immediata comprensione, del mio studio propongo la visione del desiderio materno affiancato da quello di donna, cioè quasi una caratteristica femminile che la modernità d'oggi sembra aver rimosso, quello che la donna ha in sé una funzione di dare la vita, al di là di questa esiste il contesto familiare, materno, di rapporto con la prole, ma anche con la sua vita, complessa ed immersa in un sistema valoriale che posiziona il suo non solo ruolo ma desiderio materno ormai poco da conto, come se la donna moderna dovesse competere con l'uomo in ogni dimensione, come se il lavoro fosse la principale discriminante per formare il contesto evolutivo femminile. Un articolo, questo, che sia rivalutativo rispetto alla questione dominante ma performante dell'adattamento della donna nella società che vede il suo desiderio cambiare a seconda non più di una morale patriarcale o matriarcale ma che in un sistema di valori che ha nel consumismo e nelle relazioni “liquide” per citare Sygmunt Bauman (Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002) una rete portante che ha nella produzione del lavoro non più un'alternativa all'alienazione come nell'ideologia marxiana asseriva nella sua critica al sistema valoriale capitalismo, ma l'alienazione stessa della qualità mentale, culturale e cognitiva femminile.
Questo avviene perché il lavoro alienato dal consumismo ha distrutto ciò che erano le strutture sociali, sia patriarcali che matriarcali e ciò che il machismo e il femminismo in modo estremo rivendicano è solo una struttura di una società priva di un rapporto con la questione che risponde alla domanda: Cosa voglio da me, per la mia vita? Conosco il mio desiderio di vita? Oppure semplicemente replico un clichè ereditato di produzione filiale meccanizzata che ha lo scopo anche qui di sottolineare la propria dimensione identitaria fallita nei rapporti sociali e nelle relazioni più importanti come quelle di coppia, ma supportata dal bisogno di riconoscimento sociale?
Cosa dire rispetto all’impostazione ideologica che poco qui sopra ho esposto? Che la società che si è costruita vede nel bisogno di vita, di procreare, di avere una famiglia come nucleo sociale di riferimento, fosse anche “lgbt”,( concetto da precisare) un falso bisogno che il lavoro alienato e foriero di disagio mentale ha creato, solo in alcuni casi per saturare un bisogno produttivo, come quello lavorativo oppure che determina la gratificazione di un bisogno evolutivo di adattamento sociale privo però di un desiderio autentico di filiazione, anzi carico di conflitti di legame che sminuiranno la responsabilità soggettiva all’interno della genitorialità e del desiderio di amare (Cfr. Cathy La Torre). Nella questione dell’amore nella dimensione dell’omosessualità, per esempio, si pensa fondamentalmente che la donna o l’uomo non ha una dimensione né coniugale né genitoriale riconosciuta dalla Chiesa Cattolica che rappresenta la falsa ideologia della famiglia tradizionale e “normale”, senza invece concepire l’amore come unico e importante collante anche in relazioni così diverse dal modello uomo-donna-figli, in cui la donna doveva avere il ruolo di educatrice, assecondante il pensiero del padre dei suoi figli se non della sua famiglia. Il primo figlio doveva avere il nome del padre che rappresentava il vero testimone di verità e valori e ideali etici e morali, stantii e fermi a delegare alla donna un compito di allevare senza personalità, ovvero senza autonomia e determinazione di sé la sua figliolanza, come a dimostrare che appartenesse all’uomo in tutto, anche nell’identificazione personale e materna, come se da quella scapola di Adamo, Eva fosse veramente nata ( Cfr. Bibbia, Genesi, 2, 18-25).
Ma se si vuole dire cosa si può fare come donna con una donna e diventare madre con una compagna, vedo giusto una procreazione consapevole scelta della coppia, che può aver sancito il loro legame con un matrimonio o una convivenza.
Mentre una coppia di uomini si deve sentire famiglia comunque con un legame riconosciuto, dei figli, ma evitando di usare l’”utero in affitto”, perché il corpo di una donna e il suo potenziale di vita non può essere mercificato e sostituito con una maternità surrogata e imprestata, chi procrea diventa madre, è una donna con un desiderio di vita, con un uomo che ha desiderato e ha visto in lei la madre dei suoi figli, l’uomo che vuole diventare genitore con un altro uomo può anzi dovrebbe avere la possibilità di avere un affido o un’adozione come le coppie eterosessuali. Si può leggere dall’ Audizione Commissione Giustizia 26 maggio 2020 dell’ Avv. Cathy La Torre, Avvocato del Foro di Bologna, in materia di:

Famiglia: (15% rispetto alla materia della giurisprudenza in essere):
• parità di diritti in materia di matrimonio
• Unione civile (diritti simili al matrimonio) – Legge: Unione Civile (Legge Cirinnà) Legge n. 76 del 20/05/2016
• Unione registrata (diritti limitati)
• Coabitazione • Nessuna limitazione costituzionale sul matrimonio
• Adozione congiunta • Adozione da parte di un secondo genitore
• Riconoscimento automatico dei co-genitori – Il 21 ottobre 2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile per difetto di motivazione il caso di due madri a Pisa, relativo alla registrazione dell’atto di nascita del loro bambino dove le stesse sarebbero figurate come due madri.
• Procreazione medicalmente assistita (coppie) – Il 18 giugno 2019 la Corte costituzionale (sentenza Amato) ha confermato la legittimità costituzionale del divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita per le coppie dello stesso sesso (legge 40/2004), sulla base del fatto che si tratta di una scelta politica demandata al legislatore.
• Inseminazione medicalmente assistita (single)
• Riconoscimento della paternità trans

Le nuove norme del femminile inviterebbero a cancellare ogni maternità dal corpo, al fine di rimanere per sempre quell’oggetto desiderabile all’occhio della civiltà. Nancy Huston ( Reflects dans un oeil d’homme, Paris, Actes Sud.pp. 152-153) cerca di situare la femminilità altrove che nella sottomissione alle norme dell’industria del bello. Ricusare la differenza tra i sessi equivale per lei un diniego, poiché sono le donne coloro per le quali l’essere si apparenta troppo spesso a u puro riflesso nell’occhio della civiltà [….] La sua dimostrazione permette di accorgersi che la critica della maternità come destino obbligatorio delle donne si è oggi invertita nell’ingiunzione a far sparire qualsiasi traccia di maternità dal corpo immaginario delle donne. […] In breve, la donna cosiddetta liberata dal dovere della maternità, sarebbe invitata a far sparire ogni traccia della maternità dal suo corpo. (Clotilde Leguil “L’essere e il genere -uomo/donna dopo Lacan”, Rosenberg & Sellier, Torino, pp.87-88). Questa e altre posizioni differenti testimoniano della difficoltà di trovare un criterio della femminilità che non sia né una norma (per esempio dover essere conforme all’immagine dell’industria di bellezza), né un fatto di natura (la fecondità).

Nell’ottica ideologica accennata appena più sopra si intravedono le difficoltà psico-sociali di porre le fondamenta psicologiche per un discorso di legame di coppia e con i figli autentico, in cui il desiderio di procreare genera uno svuotamento di senso sia nell’uomo che nella donna e genera nei rapporti con i figli delle vere e proprie nevrosi o psicosi, ovvero ansia o malinconia, angoscia, senso di smarrimento, autismi.
Tutto ciò ci fa domandare come la madre ha concepito e come vivrà il suo rapporto con il figlio, se i legami fondamentali sono inquinati dall’oggetto scarto, simbolo di un’identità mascherata dal lavoro remunerativo che appaga ma non ripaga, né ripara il vuoto interiore. Un’altra questione che è strutturata all’interno del discorso procreativo è quello del desiderio dell’uomo, che non vede gratificato il suo desiderio di rappresentazione materna nella donna fallicizzata dal discorso sia consumistico che meramente produttivo, ma privo ormai di senso profondo umano nelle relazioni che si creano per dare apparentemente la vita.
Per affrontare la questione del desiderio femminile si deve parlare e trattare il desiderio di uomo per la donna che diventerà madre dei figli di quell’uomo.
I due partner che si sono innamorati, prima conosciuti con un innamoramento magari fulmineo o passionale, scelgono a volte di diventare genitori perché rispondono alle domande, inconsce e a tratti consapevoli: “Vedo quell’uomo/ quella donna genitore dei miei figli?”, “Che cos’è una madre per me?” “Che madre/padre penso per avere il porto sicuro e amorevole di una famiglia, eredi che amerò e che ameranno me e la mia donna?” Che cosa sono stati i miei genitori, cosa ne “voglio fare”, ovvero ci assomiglio, me ne differenzio, diventerò qualcuno che sarà simbolicamente separato da loro?”
Secondo me, ed è il mio approccio di lettura della procreazione in generale, non è definito il desiderio materno, non è “istintivo”, ovvero legato alla dimensione della gestazione, alla capacità di generare figli della donna, non esiste un istinto materno, ma un figlio si concepisce anche simbolicamente con l’uomo che significantizzerà la sua donna concependo un figlio con lei, le darà senso di donna gravida proprio di lui in altri termini, con un senso diverso dal dare un figlio per generare e basta, ma gravido di femminilità accettata da parte del compagno, condivisa, resa donna con una gravidanza insieme a lui, pensata per sé e per lei, “grembo” di passione e capacità di filiazione, quindi capace, tramite una sessualità matura e volta al partner, di diventare con l’amore per lui/per lei, il mezzo di una vita di soddisfazione non solo psicologica, di permettere di aumentare la felicità nella coppia, di vivere i rapporti sessuali con un significato di unione e di vita veramente progettata insieme, intrecciata.
Il figlio che nascerà da due compagni uniti in un amore saldato da una sessualità di senso umano e profondo, per spiegare in modo pieno e umano, se non elevato e poco scontato, non solo idealizzato ma anche reale, in senso lacaniano, ovvero un figlio che porti la “cifra”, la traccia della donna e dell’uomo che lo hanno procreato, prima ancora della madre e del madre che sono diventati A questo punto della discussione è necessaria la citazione di Benedetto XVI, nella sua prima enciclica “Deus caritates est” (Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2006, p.20), in cui egli unisce strettamente eros e agape –amor ascendens atque amor descendens-non se simunt umquem inter se seiungi […] eros e agape – amore ascendente e amore discente – non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura dell’amore in genere”.

Ho in mente un caso (2012) di una mia paziente, Elena T., di 45 anni, insegnante di filosofia, che a fine analisi decise di separarsi perché il suo compagno Gianni, suo coetaneo, ingegnere meccanico anticipando il fenomeno di trasformazione che si può realizzare nell’apres-coup nel far determinare il suo desiderio deciso e autentico , si allontana dal marito sposato di allora, che le aveva dato da pensare rispetto proprio al loro unico figlio, adesso si vedrà perché… Elena sposa Gianni, dopo una convivenza di circa 7 anni, con un desiderio di coppia, ovvero di sintonia e affinità e vera ricerca di presenza reciproca, soddisfazione personale molto carenti e deficitarie di ammirazione profonda autentica. Gianni anteponeva l’amore e la dedizione per la sua famiglia d’origine, del Sud, che aveva un modo quasi incestuoso psicologico di stare insieme e i legami parentali fondati sulla possessione e sulla manipolazione emotiva e sentimentale. La madre di Gianni era la classica casalinga che otteneva soddisfazione dall’avere il fallo tramite i figli che teneva stretta a sé come in una simbiosi disperata, unica fonte di falsa gratificazione femminile. Quando Elena conobbe Gianni, la madre di quest’ultimo, al sapere che i due avrebbero convolato a nozze o avrebbero convissuto, la medusa-matrona esclamò: “Bisogna vedere se te lo do!”. Così anche Gianni era in una dimensione così poco libera di scegliere l’amore e desiderare Elena.
I due si sposano e dopo desideri molto contrastati sul concepire il loro primo figlio, nasce Gabriele, un cucciolo e un oggetto di desiderio materno ma con un desiderio paterno in contrasto con il suo desiderio per la madre di suo figlio. Infatti fin dall’inizio Gianni a livello simbolico non riconoscerà Elena, donna emancipata e libera, una docente di filosofia e appassionata di scienze umane, determinata e poco incline ai lavori domestici, così diversa dalla baby-sitter che aveva cercato e scelto, non senza perplessità per Gabriele, per ritornare al suo amato lavoro. Un giorno di inizio estate Elena e Gianni discutono proprio su come procedere nel far intraprendere il percorso di educazione in un asilo nido al che allora aveva 3 anni. La questione per Elena era di creare più risorse per il figlio, oltre a quelle della parentela e della baby-sitter, che sembravano saturare il desiderio di attorniare e far amare il figlio in modo esclusivo dai familiari e da una baby-sitter che era molto simile alla suocera di Elena, tutta per i figli, ma fragile e incattivita per gli altri, così poco incline a fare legame con loro e mischiarsi in senso comunitario, armonioso, con pochi scambi con il contesto esterno, normale, sociale. Insomma Gianni, dimostrando di non riconoscere la madre dei suo figlio come autorevole, affidabile e la migliore per decidere sulle questioni inerenti la sua educazione, sentenzia che avrebbe ascoltato Lucy, la baby-sitter nell’ascoltare il suo consiglio di non fargli frequentare l’asilo nido, ma di proseguire la sua assistenza, non permettendogli di fare un’esperienza varia e ricca sia a livello umano, cioè relazionale che di apprendimento cognitivo e mentale. Cosa ci dimostra questa discussione che sarà l’inizio dei loro attriti più accesi e violenti? Che Gianni non amava Elena per le sue caratteristiche di educatrice e genitore, capace e attenta conoscitrice di cosa era meglio per lo sviluppo di suo figlio ancora in tenera età, e che sceglieva una personalità come quella di Lucy, ostinata e simile a sua madre. Nel corso della separazione Gianni imporrà una separazione di carattere giudiziale, volta a far emergere caratteristiche false screditanti della figura materna di Elena, anzi mettendola in discussione con il desiderio perverso di distruggerla psicologicamente. Elena sapeva che il desiderio e la figura materna di Gianni era così lontana dalla sua personalità? Sapeva Gianni che non amava Elena ma Lucy, la loro baby-sitter, perché incarnava la figura di madre, poco aperta e soprattutto molto legata ad un contesto chiuso e foriero di diffidenza e incesto psicologico, ovvero mentale, che poco permetteva un vero incontro con l’Altro, ma che invece tutte le esperienze dovevano far capo alla famiglia di origine, ai legami originari, senza mischiarsi con l’ambiente esterno?

Ho in mente il caso di Valentina M. (2013).

Nell'ultima seduta Valentina sembra fredda nella relazione con me, non esprime emozioni nel raccontare, si allontana nel descrivere le varie feste che amici e parenti le hanno fatto in occasione del suo compleanno, che anche a me ha ricordato. Per questo, ha saltato la seduta scorsa… Valentina sovente accompagna la mamma da numerosi specialisti, le è stata diagnosticata una malattia degenerativa, perde equilibrio quando cammina,la memoria è incerta. Nell'ultima seduta mi dice che un professore, amico del padre avrebbe emesso un parere rispetto alla malattia, la mamma non ha una malattia di origine organica. Penso all'isteria e alla questione suggerita in supervisione sulla femminilità. Da quando V. ha saputo di questa malattia è in crisi, la figura femminile le fa questione, è ingombrante, come la figlia. Alice, la mamma, che si chiama come la figlia, è stata, al dire della paziente, “tutta per loro”, non aveva che la famiglia, altre risorse. Da anni segue una psicoterapia per problemi d'ansia e depressione. Valentina sembra voler differenziarsi da un modello così, prendere le distanze da una figura molto esigente con lei, la vuole sempre accanto a sè, la sommerge, è ansiogena per Valentina… Sembra la sua fotocopia… In maniera non diversa, Valentina è “tutta per la famiglia”.
Il problema che l'ha condotta da me era l'angoscia, l'ansia e la depressione causata, in quel periodo, che si protraeva da anni, dal tradimento prolungato e mai confidato a Valentina, del marito che l'ha accusata di non essere stata presente come donna, ma solo per i figli.
Da quando è in terapia, da circa un anno, faccio fatica a proporle sul suo reale desiderio, cosa vuole per sè, per la sua vita, creare una domanda che segua il proprio desiderio, non quello del marito. Così ha elaborato una riflessione che l'ha portata ad interrogarsi sulla sua posizione di moglie e di madre sempre dedita al dovere, severa. Così ha cercato un lavoro di contabile presso un ufficio di “amici di amici”, “così sono più tranquilla”.
Nel frattempo continua ad occuparsi della ditta del marito. Esce più spesso.
Riprendo la citazione da: “Dentro di sè prima ancora che fuori” di Angelo Villa…”Trovarsi nella selva oscura significa essersi scontrati con qualcosa che resiste a qualsiasi facile riadattamento”. Prendo in considerazione il testo francese di Houchang Guilyardi “L'Acte entre transfert et savoir” e cito la frase …Avant même de me dire bonjour, alors que je lui tends la main, Monsieur B. dit : «Vous savez, je suis très sceptique… je ne crois pas à tout cela !» […]. Trad. italiana: “Prima ancora di salutarmi, mentre gli tendo la mano, il signor B. dice: “Sai, sono molto scettico … non credo a tutto questo!” […].

In una seduta di qualche mese fa, prima di entrare nella stanza, prima di porgere la mano, Valentina mi dice: “Sa, sono molto scettica…non ci voglio credere a quella cosa” e mi viene in mente la citazione di Guilyardi, che si riferisce all'atto e al transfert, al sapere, simile alla mia esperienza e a ciò che anche Villa sembra evidenziare a proposito del cambiamento.
Così riassumo l'impasse della mia paziente, l'atto del dire che quando si avvicina alla verità, ad un dire più vero e profondo, lei resiste, non va avanti.
Nell'ultima seduta ripete che è stanca dell'analisi e forse mi chiede di rimpinguare il suo desiderio, sente la fretta di finire. “Dottoressa”, mi dice: “ho messo le cose a posto” . “E' stata tappata, è stato messo un tampone”, dico io.
Penso: “Ha messo la testa a posto?… mi suggerisce la situazione, “figlia” di un desiderio di donna castrato e isterico, nell’accezione psicoanalitica classica del termine, sola e disperata.

 * Dr.ssa Paola La Grotteria
   Psicologa Psicoterapeuta