Dal silenzio (eterno) di Sara ai festeggiamenti per la Repubblica

da | Ago 14, 2016 | Editoriali

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Potrebbe sembrare stonato questo accostamento ma perché?
Di questa giovane ragazza, ultima vittima di femminicidio, uccisa con malvagità inaudita “strangolata” dall’uomo che “l'avrebbe afferrata da dietro e avrebbe stretto l'avambraccio attorno al suo collo fino a quando la ragazza non è crollata. Dopodiché le ha buttato addosso la sigaretta (la ragazza era impregnata di alcol perché il suo ex glielo aveva gettato addosso quando era in auto) e le fiamme hanno poi avvolto il corpo senza vita della ragazza”, di questa giovane donna, della sua storia, della sua vita, non restano che immagini, parole e un’autopsia.
Oggi, 2 giugno 2016, è la festa della Repubblica Italiana, una giornata celebrativa che si rinnova dal 1946, ogni anno, per ricordare come ha detto il Presidente Mattarella che in quella data “con il referendum istituzionale, prima espressione di voto a suffragio universale di carattere nazionale, le italiane e gli italiani scelsero la Repubblica, eleggendo contemporaneamente l'Assemblea costituente, che, l'anno successivo, avrebbe approvato la carta costituzionale, ispirazione e guida lungimirante della rinascita e, da allora, fondamento della democrazia italiana”.
A distanza di 70 anni, speriamo sempre anche in futuro, questa festa unificante ci riempie di orgoglio!
Perché, ha avuto modo di sottolineare il Presidente Mattarella, “i valori di libertà, giustizia, uguaglianza fra gli uomini e rispetto dei diritti di ognuno e dei popoli sono, ancora oggi, il fondamento della coesione della nostra società ed i pilastri su cui poggia la costruzione dell'Europa”.
E’ su questi principi che è cresciuta Sara, per i quali è legittimo vivere l’oggi guardando ad un futuro di sogni, speranze, traguardi, ed è per questi principi che il fenomeno del femminicidio appare ancora più ingiusto, doloso e inaccettabile.
Perché la nostra Costituzione prevede la difesa del rispetto, del diritto alla libertà ed è inaccettabile che essi vengano usati in modo diverso per caste o per genere.
Senza fare uno strumentale uso di questi argomenti, viene da interrogarsi però come sia possibile che tante donne vengano uccise, a volte impunemente, da uomini che utilizzano la propria forza, prepotenza, violenza come un diritto.
Purtroppo la storia in marcia ha seminato grandi tragedie, guerre, persecuzioni, esodi di massa. Il progresso è portatore di altre, grandi quanto difficili, trasformazioni, come quello dell’integrazione fra popolazioni diverse.
Per quanto ci riguarda e per tornare all’argomento, sentendoci obbligati ad avere e conservare la memoria storica del Paese, non può sfuggire quanto questo fenomeno (perché di questo si tratta il femminicidio), annebbi la grandezza della Nazione. Che non avrebbe dovuto attendere il 1981, per abrogare dal nostro Codice, le voci che regolavano il diritto d’onore-matrimonio riparatore (due facce della stessa medaglia) e che oggi rientra per vie traverse nelle motivazioni di questi efferati crimini.
Perché questo, come molti altri omicidi contro donne, hanno tutt motivazioni-giustificazioni di tipo passionale, di un bisogno di punizione, di riscatto per chi commette. “Sei mia”, oggetto-giocattolo, che non si può rompere.

Non bastano dunque le leggi vigenti a trasformare la pelle di una cultura; perché anche le leggi sono spesso frutto di compromessi, di convinzioni personali,, di egoismi di ordini professionali, d’incapacità politica. Se non si modifica la cultura non si può rigenerare il pensiero e la differenza di genere si crea, si alimenta e si conserva in essa.
Insufficiente la vigilanza sui canali d’informazione, dove la donna è rappresentata come vittima finale che attira una pietosa quanto morbosa curiosità. Fuori controllo gli stereotipi trasmessi che spesso mettono in risalto, senza condanna, simboli comportamentali legati al potere e alla prepotenza verso il debole, di solito di genere femminile. Inadeguata, ancora, la formazione scolastica, che si rimpalla da un ministro all’altro senza approfondire in modo radicale la questione dell’uguaglianza di genere anziché mostrarsi come un obbligo e una necessità per poter competere in un modello economico che stritola l’individualità e la creazione.
Un giorno ambivalente, questo due giugno.
Dove ci si sente contemporaneamente tristi ed orgogliosi. Al premier Renzi, che ha ci ha inviato un twitt “Buona Festa della Repubblica a tutti. Viva l'Italia @70esimo”, vanno inostri ringraziamenti ma nel ricambiare gli auguri, vogliamo dire che se anche in giornate così solenni si potessero ricordare vittime come Sara, sarebbe un segnale forte e chiaro, anche per le sue dipendenti ministre.