Quando, intorno al 1780, Olympe de Gouges abbandonò la sua Linguadoca per trasferirsi a Parigi, la capitale brulicava di mille mestieri femminili. Sulle rive della Senna e della Bievre, si accalcavano le lavandaie, le operaie delle concerie, le pescivendole, le marinaie; mentre, ai mercati, le portatrici d’acqua, le ventagliaie, le venditrici di tisane, mescolavano le loro voci ai mille suoni ed odori – non sempre gradevoli di una città nella quale, di li a qualche anno, sarebbe esplosa la scintilla della rivoluzione.
Più vulnerabile dell’uomo a causa della sua funzione materna e domestica, la popolana parigina del XVIII secolo era parte integrante del tessuto urbano; la sua sottomissione – come hanno dimostrato studi recenti – non dipendeva dall’esistenza di un ruolo pubblico, ma dal modo in cui, all’interno della struttura familiare, si configurava il suo rapporto con l’uomo.
Di queste donne del popolo, partecipi attive dei primi moti rivoluzionari, avrebbe scritto molti anni più tardi, nel 1847, J. Michelet, esaltandone la pietà che, generalmente "inerte e passiva negli uomini" fu in loro un sentimento "molto attivo e violento". Imbevuto dell’ ideologia romantica e misogina propria del XIX secolo, egli avrebbe pero giustificato la generosa partecipazione delle donne alla rivoluzione in quanta spose, in quanta madri, in quanta "esseri relativi che non possono vivere se non in coppia".
Ma, accanto alle popolane, altre donne, di altri ceti, con esigenze e valori diversificati – ma in ogni caso altri da quelli della pura sopravvivenza – riempivano le strade e i salotti di quella Parigi che la provinciale Olympe andava esplorando: donne, che la storiografia successiva avrebbe accumulato nella indistinta categoria delle "femmes celebres", di cui la scienza medica positivista del XX secolo avrebbe scritto: "Numerose donne, soprattutto quelle che hanno preso parte alla rivoluzione e vi hanno giocato un ruolo sanguinario, furono squilibrate". In particolare, Olympe de Gouges fu affetta da "paranoia da idee riformatrici isteria rivoluzionaria" (Guillois, Studio medico-psichico su Olympe de Gouges, 1904).
Le "femmes celebres": donne con variegate esperienze e storie, che spesso – come Olympe – non sapevano scrivere, ma che, grazie alla pratica diffusa della letture ad alta voce, conoscevano i classici della letteratura e i pamphlets politici e filosofici che inondavano, in quegli anni,
Fedele realista fino al 1791, diffidente nei confronti del movimento popolare agitato della propaganda giacobina, ella pubblicava, all’indomani della promulgazione della nuova Costituzione, la sua Dichiarazione dei diritti dell’uomo -, dedicata alla regina, nei quali affermava, senza alcuna compiacenza nei riguardi della "altra metà del cielo", l’uguaglianza totale dei diritti dell’uomo e della donna in ogni campo. L’articolo X, al quale la morte di Olympe avrebbe conferito una grandezza tragica, proclamava che la donna ha il diritto di salire al patibolo come alla tribuna.
Negli anni 1791-92 – gli anni della massima espansione dell’ideologia femminista ugualitaria che videro la fondazione di alcuni clubs esclusivamente femminili – Olympe de Gouges, affiancata da un ristretto cenacolo di donne, prosegui la sua battaglia. "Apriteci le barriere dell’onore – dichiarò all’ Assemblea legislativa nel ’92 – e noi vi mostreremo il cammino di tutte le virtù". Poi, nel
Commento di Marta Ajò
In questo breve ma significativo articolo dedicato alla francese e rivoluzionaria Olympe de Gouges, Sara Cabibbo, docente di Storia della società e della cultura barocca presso l’Università di Roma Tre, all’epoca dell’articolo alla facoltà di lettere di Catania, mette in rilievo la marginalizzazione delle donne anche nella “pretesa” politica rivoluzionaria e il generoso contributo che invece esse diedero per affermare i diritti e i principi di parità e di libertà.