Nel 2012 la CEC (Confédération Européenne des Cadres) ha condotto con successo un progetto finanziato dalla Commissione Europea sull’impatto che il cambiamento demografico avrà sulla disponibilità di futuri manager.Uno dei principali risultati indica che la crescente richiesta di manager non potrà essere soddisfatta se il numero delle donne, in queste posizioni, non aumenterà nel corso del prossimo decennio. Attualmente, nell’Europa a 28, solo il 30% dei manager è donna. Se questo tasso non cambia in maniera significativa, l’impatto negativo del cambiamento demografico si farà sentire in tutti i settori industriali.
Nel 2013 la CEC – insieme a Eurocadres, CFE-CGC e Ledarna – ha deciso di esaminare, nel quadro di un nuovo progetto finanziato dall’Unione Europea “Promuovere la leadership al femminile”, le principali cause che impediscono alle donne di accedere alle posizioni direttive. La finalità dello studio è quella di identificare le buone pratiche, già applicate in seno a molte imprese europee, e contribuire ad aumentare il numero delle donne manager.
Nello studio vengono affrontati gli stereotipi legati al genere sul luogo di lavoro, lo scarto salariale tra uomini e donne, la leadership al femminile, le disposizioni di legge finalizzate ad una partecipazione ugualitaria nei vari paesi Europei. Un primo workshop dedicato all’iniziativa, si è tenuto nell’ottobre 2013 a Madrid.
La Conferenza di presentazione del rapporto, invece, si terrà a Cannes dal 25 al 27 giugno 2014 (QUI IL PROGRAMMA).
Marisa Montegiove, che guiderà la delegazione della CIDA illustrerà la relazione intitolata: “Italia: tanti stereotipi da sfatare”.
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La maternità di una lavoratrice è in azienda un problema per tutti, per i diretti superiori (82,7%), per la direzione del personale e dell’impresa (76,3%), per i colleghi e il suo gruppo di lavoro (50,4%) e per la donna stessa (43,6%).
Questo secondo l’indagine fatta ad aprile 2014 da Manageritalia, in collaborazione con AstraRicerche e EDWI HR, su 636 dirigenti (VEDI LA SINTESI DELLA RICERCA).
Le cause? I costi, il fatto che la mamma lavoratrice lavori meno e/o sia più distratta ecc.? No! I manager lo dicono in modo esplicito: l’unico e vero problema è l’organizzazione del lavoro per i disagi che conseguono dall’assenza della donna (84,1%).
E, ad avvalorarlo, dicono anche che i guai nascono per colpa delle aziende che non fanno nulla per organizzare il lavoro in vista dell’assenza della donna (62,5%).
Tutti gli altri possibili motivi e/o stereotipi – le donne prima e dopo la maternità hanno la testa altrove (25%), la maternità crea problemi a chi resta (19%), la donna poi è meno partecipe (6,5%) e diventa inaffidabile (3,8%) – sono negati con percentuali bulgare (80-95%).
I rimedi i manager li hanno ben chiari:
organizzare l’attività per gestire l’assenza in modo efficiente (94,3%);evitare che in azienda prevalga un clima di tensione e/o di panico (88,8%);adottare una linea aziendale chiara e esplicita per gestire l’assenza (85,8%);effettuare un affiancamento prima per estendere le sue competenze ad altri (81,4%);organizzare il lavoro in sua assenza perché non gravi e comporti stress per i colleghi (80,7%).
Allora, perché non lo fanno o lo fanno poco? Perché l’organizzazione del lavoro in Italia è ancora troppo ingessata e arcaica, per leggi, normative, prassi, cultura e stili di management.
<<Pensare – dice Marisa Montegiove, coordinatrice Gruppo Donne Manager di Manageritalia – che la rottamazione dei vecchi modelli organizzativi e la diffusione di quelli nuovi è il solo modo per competere, per raggiugere produttività e benessere di persone e aziende. Si tratta di lavorare per obiettivi e premiare risultati e merito, di puntare su una flessibilità biunivoca (in termini di i tempi, spazi e modi di lavorare insieme, collavorare, che oggi serve sempre più alle aziende e a tutti i lavoratori), di motivare, coinvolgere e ingaggiare veramente i collaboratori>>.
Insomma, se vogliamo tirare le somme di un’indagine ricchissima di dati su tutti gli aspetti più importanti del binomio lavoro maternità, possiamo dire che: non ci sono stereotipi negativi su donna e lavoro (89,1%), c’è poca informazione su alcuni aspetti delle leggi e norme che regolano lavoro e maternità (40%), si chiedono allo Stato non più soldi, ma più servizi per la conciliazione (84,3%). Ma soprattutto i manager dicono a gran voce (84,1%) che il problema è tutto organizzativo, per l’incapacità delle aziende di far fronte in modo efficace ed efficiente al periodo di assenza della donna e, dopo il rientro, alla maggiore flessibilità che gestire una famiglia richiede.
Allora se miglioriamo l’organizzazione del lavoro, per competere e vivere meglio tutti, risolviamo prima il problema del Paese e di conseguenza anche quello delle donne che vogliono e devono lavorare. Perché le donne che lavorano sono troppo poche (46,5% 2013), le nascite sono in forte calo, come ha certificato pochi giorni fa l’Istat (nel 2013 sono nati 515mila bambini, mai così pochi negli ultimi 20 anni), e dalle elaborazioni di Manageritalia sui dati Inps emerge anche un calo nelle maternità obbligatorie delle lavoratrici (-5,8% dal 2010 al 2012). Ma soprattutto la nostra produttività è ferma da vent’anni (1992-2011 solo +0,5% Istat).
<<Insomma, il calo di maternità e competitività – chiude Montegiove – si risolve esclusivamente con un’organizzazione del lavoro più efficiente e efficace, più produttiva di valore aggiunto e benessere per tutti. In poche parole un’organizzazione del lavoro più moderna, che rottami l’inconciliabilità tra lavoro e persona coniugando le esigenze sempre più eterogenee e mutevoli delle aziende e delle persone. Solo da qui il Paese può ripartire in tutti i sensi e su tutti i fronti>>.