Ecco perché non si fanno figli

da | Gen 22, 2024 | L'opinione

Non siamo l’unico Paese a bassa fecondità. C’è chi sta peggio di noi, come la Corea del Sud, Taiwan, Singapore, ai più bassi livelli al mondo. Non saranno proclami contro l’individualismo, o appelli, anche
pop, alle donne a essere madri a cambiare la situazione. La bassa fecondità non può essere affrontata in modo ideologico. La bassa fecondità è l’effetto di politiche tardive e che non hanno puntato sulla centralità dei bisogni delle donne e sul desiderio dei giovani a una vera qualità della vita. E la conseguenza di uno sviluppo non centrato sulle persone.
Il problema si sta estendendo. Ormai circa i due terzi della popolazione mondiale vivono in Paesi al di sotto di 2,1 figli per donna. Non Africa sub-sahariana e Medio Oriente. Corea del Sud, Taiwan e Singapore
sono Paesi con un ritmo di crescita e sviluppo elevati ed in poco tempo hanno conosciuto un tracollo della fecondità, proprio a seguito dello sviluppo. Ciò ha comportato cambiamenti culturali profondi, specie
nel livello di istruzione, con una crescita della partecipazione femminile al mondo del lavoro, a cui non ha corrisposto un cambiamento della stessa intensità nei rapporti tra uomo e donna e nella cultura del lavoro, con orari di lavoro massacranti e spesso mal pagati. Con molte donne, altamente istruite, costrette a dover scegliere fra la realizzazione sul lavoro ed il fare figli.

Tanto è che la Corea si trova a guidare la classifica nel mondo per bassa fecondità con 0.78 figli per donna.
Anche Taiwan vive una situazione simile. Con la sua presidente donna ha investito su sviluppo dei servizi per la prima infanzia, congedi, assegni, ma con il risultato del raggiungimento di un più alto tasso di
occupazione femminile rispetto alla Corea del Sud (80% delle 20-30enni), pur restando ad un tasso basso di fecondità. Lo squilibrio tra l’affermazione delle donne nella sfera pubblica e l’arretratezza del ruolo
delle donne nella sfera privata è il nodo segnalato proprio dal dibattito scientifico nel Paese.
E non è esente da questa dinamica il Giappone che ha un numero di figli per donna pari a 1,24, vicino al nostro, ed ha raggiunto il numero più basso di nascite nel 2022 come noi, dopo 12 annidi continuo calo.
Anche lì la divisione dei ruoli in famiglia è rigida, come l’organizzazione del lavoro, ed i servizi scarsi.
La bassa fecondità riguarda anche la Cina, in tutt’altro contesto, dove lo Stato autoritario pretende di passare a suo piacimento dall’imporre prima un solo figlio per coppia e ora due o più, cercando di
programmare le donne come macchine da riproduzione. Ma con scarsissimi risultati.
Le nascite, infatti, diminuiscono da sette anni, e non c’è propaganda ad essere brave madri-modello che tenga, né incentivi a fare figli. Pensate, nel 2016 i nati erano 18 milioni, ora sono 9 milioni 600 mila, quasi la
metà, in seguito alla drastica diminuzione dei primi matrimoni. E la vecchia politica draconiana del figlio unico ha ristretto il numero di donne oggi in età riproduttiva, molto più basso del passato.
La bassa fecondità è arrivata persino in Iran, che ha conosciuto un crollo veloce, il più rapido di tutti: negli anni `50, 7 figli per donna. Trenta anni dopo, 6,5.

Vent’anni ancora dopo,1,8 figli per donna. Nel 2022 1,7. Ciò preoccupa non poco il regime iraniano, che lo imputa, non a torto, al forte incremento dell’istruzione femminile, e ad una nuova consapevolezza delle donne che attraversa il Paese, non solo nelle zone urbane. E che vede le giovani ragazze determinate a perseguire la propria libertà pure su questo piano.
Il fattore D della volontà delle donne di realizzarsi su tutti i piani, libere di scegliere come vivere, con o senza figli, è un nodo cruciale con cui i governi di tutto il mondo devono fare i conti, se vogliono rialzare
la bassa fecondità. Non serve una singola misura. Servono un cambiamento di modello di sviluppo e politiche stabili nel tempo. Serve un investimento finanziario serio sullo sviluppo dei servizi per la prima
infanzia e per l’assistenza di anziani e disabili, tempo pieno a scuola, congedi di paternità paritari, congedi parentali retribuiti adeguatamente, cambiamento dell’organizzazione del lavoro, investimenti
permanenti per combattere gli stereotipi di genere.
Serve sostegno economico e dare ai giovani una speranza di vita migliore, dignitosa e libera, senza che qualcuno prescriva quanti figli fare, e come vivere, ma creando le condizioni perché abbiano i figli e la
vita che desiderano. Più tardi i governi lo capiranno, più ne pagheranno le conseguenze.

la Repubblica, 22 gennaio 2023