IL PARERE DELL’ESPERTO
Dalla scuola allo sport fino allo svago: esborsi abituali e straordinari nella ripartizione dei giudici
di: Marino Maglietta
La sentenza della Corte di cassazione numero 4543, depositata il 24 febbraio 2011, pur essendo centrata su aspetti procedurali (la possibilità di ricorrere a una procedura monitoria anche se in possesso di un atto esecutivo) va a toccare di passaggio un assai interessante aspetto di diritto sostanziale: la definizione di ciò che può costituire spesa straordinaria, ovvero la possibilità di adottare altri criteri di definizione, come distinguere le uscite in eccezionali e abituali.
Nel caso in esame, infatti, nel lungo procedimento che ha portato alla pronuncia della Suprema corte sono state avanzate richieste da parte della madre di una bimba minore (con affidamento esclusivo antecedente al 2006) relative sia a voci di spesa ben determinate, esplicitamente citate nell’ordinanza emessa al termine dell’udienza presidenziale, come l’assegno per il contributo al mantenimento della figlia fissato in 800 euro, sia ad oneri aggiuntivi, come l’aggiornamento Istat, soggetti al controllo del giudice. Per giunta, è stato fatto riferimento anche ad altri esborsi particolari, come la frequentazione da parte della figlia di un corso di nuoto e di sperimentazioni teatrali, che non erano state concordate, decise in sede di udienza presidenziale. Relativamente a queste la Corte territoriale ha affermato trattarsi di spese «inerenti ad attività abituali, quasi necessarie per il benessere psicofisico della piccola, e pertanto, anche se non concordate» tali da non poter «essere sottratte all’obbligo della ripartizione» ovvero della divisione al 50 per cento. «La Corte territoriale ha palesemente modificato il titolo fondante l’obbligo in discussione, avendolo riferito alle spese abituali, non coincidenti con la nozione di spese straordinarie concordate in sede di separazione considerate nel provvedimento presidenziale, posto a base dell’ingiunzione e dibattuto nel merito. La censura in esame non è pertinente a questa ratio decidendi; non ne coglie, infatti, il nucleo consistente nell’alterazione della ragione sottostante il credito controverso, contro cui non muove critica alcuna».
In merito a questa vicenda, salta subito agli occhi la “stranezza” delle posizioni e dei ruoli dell’obbligato e della Corte territoriale. Se è comprensibile che l’obbligato si sforzi di sostenere per il passato che si tratta di spese straordinarie non concordate e quindi non soggette a recupero una volta fatte, è evidente che allo stesso tempo avrebbe avuto tutta la convenienza, per il futuro, ad accogliere la tesi della Corte d’appello la quale, sostenendo l’ordinarietà delle spese contestate, in sostanza porta acqua al mulino della tesi che si tratta di oneri da comprendere tra quelli normali e prevedibili, e quindi non soggetti ad alcun rimborso.
Tutto ciò rende opportuno un riesame degli aspetti più generali della questione, alla luce anche delle varie posizioni espresse dalle corti di merito. Volendo seguire tali contraddittorie interpretazioni è d’obbligo ricordare una pronuncia del tribunale di Catania (prima sezione, 4 dicembre 2008) che, ricordati i generali principi di imprevedibilità e aleatorietà delle cosiddette spese straordinarie, ha inteso impegnarsi in un elenco dettagliato di quelle da considerare ordinarie, includendovi «quelle alimentari, di igiene personale, vestiario, ricreative, nonché quelle per regali, spostamenti urbani ed acquisto di libri. Con particolare riguardo a quelle sanitarie, sono da ritenersi ordinarie quelle relative ad una normale visita pediatrica di controllo o all’acquisto di medicinali da banco, mentre straordinarie quelle connesse a visite specialistiche». Una lista esaminando la quale è facile riscontrare quanto spesso, invece, si decida in modo diverso, ad esempio inserendo le spese destinate allo svago tra quelle straordinarie. La pronuncia della Suprema corte in esame, tuttavia, sembra dare ragione al tribunale di Catania, conferendo carattere di necessità alle spese per attività abituali, anche se queste, come nel caso della sperimentazione teatrale, hanno una natura ricreativa abbastanza evidente, pur essendo innegabile la contemporanea valenza educativa (che tuttavia in quest’ottica potrebbe attribuirsi a pressoché tutte le attività di un fanciullo).
L’esemplificazione potrebbe continuare, ma è abbastanza chiaro che il ricorso a parametri e liste tutte più o meno soggettive e discutibili non avvicina per nulla ad una soluzione, per individuare la quale appare necessario affrontare coraggiosamente il problema di fondo, che è quello della modalità da scegliere per la contribuzione al mantenimento dei figli, diretta o indiretta.
Soccorre, a questo proposito, anche per ben comprendere la relazione tra la copertura delle spese straordinarie e la modalità del mantenimento, nonché l’origine della preferenza giurisprudenziale per l’assegno, una recente pronuncia del tribunale di Siena, che così giustifica il sistema indiretto: «Poiché è impossibile dosare con il bilancino gli impegni economici di ciascun genitore nei confronti della figlia in relazione alle molteplici esigenze ordinarie e straordinarie che possono presentarsi nel corso di un anno, le quali risultano del tutto indipendenti rispetto alla durata e ai periodi di affidamento all’uno o all’altro genitore, appare del tutto congruo conservare un contributo di mantenimento a carico del padre per il mantenimento ordinario (vitto, alloggio, vestiario, ricreazione, sport) senza che ciò costituisca un attentato alla condivisione e all’apprestamento da parte del padre di un ambiente adeguato e pronto ad accogliere la figlia quando questa si trovi con il padre, rappresentando al contrario criterio di riferimento per misurare l’onere a carico di entrambi i genitori verso i figli e per responsabilizzare ciascuno di essi all’adempimento, e sotto diverso profilo detto contributo è del tutto compatibile anche con un affidamento condiviso (Cassazione, sezione prima, 18.8.2006, n. 18187)». Dove, tra le varie osservazioni, salta agli occhi la preoccupazione per la possibilità di critiche rispetto ai principi e alle prescrizioni dell’affidamento condiviso. La classica excusatio non petita che segnala i dubbi di legittimità che ha l’estensore per primo (dubbi fondatissimi, al solo considerare l’impropria citazione, come sotto mostrato). E prosegue: «f) il padre corrisponderà alla madre un assegno perequativo di concorso al mantenimento della figlia di 550,00 euro mensili … ; f) (sic) le spese mediche non coperte dal servizio sanitario nazionale o da altre forme di previdenza e le spese scolastiche (come ad esempio il materiale didattico, il trasporto, i corsi di recupero comprese le gite), saranno sostenute dai genitori a metà così come a metà saranno sostenute le altre spese straordinarie (sport, ricreazione, vacanze) che siano state preventivamente concordate tra le parti o che, in caso di mancato accordo, siano state ritenute tali dal giudice;». Dove si nota anzitutto (sorvolando sull’errore nella numerazione, c’è “f)” due volte, che tuttavia pare indicativo di una frettolosa e poco meditata redazione del testo) che l’affermazione finale non significa «che siano state ritenute indispensabili dal giudice», come avrebbe dovuto essere, visto che si sta parlando di spese non concordate, ma «che il giudice abbia incluso tra quelle straordinarie», per cui sembra che per il magistrato l’unico problema e la ragione del disaccordo sia da vedere in chi paga tali spese e non se effettuare o meno una determinata scelta; cosa che invece, sotto il profilo sostanziale, rappresenta l’aspetto principale del decidere. Tornando alla questione principale, è drammatica la contradditorietà di una sentenza dove in sede di narrativa si includono le spese per le attività ricreative e sportive tra quelle ordinarie e poi, nella decisione, tra quelle straordinarie: a dimostrazione di una estrema confusione che colpisce anzitutto proprio gli organi giudicanti. È vero, per altro, che tutta l’argomentazione dimostra uno scarso approfondimento della materia. La citazione di legittimità è errata, perché in Cassazione 18187/06 non si dice nulla di più di quanto è già nella legge 54, ossia che l’istituto dell’affidamento condiviso non prevede la automatica scomparsa dell’assegno, visto che «ove necessario… al fine di rispettare la proporzione» tra oneri e risorse, il giudice può disporlo. E si chiama «assegno perequativo». E qui si viene al secondo errore del tribunale di Siena: l’assegno da esso disposto non è affatto perequativo. Quando lo è, infatti, si procede all’inverso. Prima si attribuiscono dei capitoli di spesa a ciascun genitore per intero, ponendo i più pesanti in capo al più abbiente. Se poi, alla fine di questa assegnazione, la proporzione non è ancora rispettata si bilancia con l’assegno, che ovviamente a quel punto di regola ha dimensioni minime. Il tribunale di Siena non fa nulla di tutto questo. Ma quello che rende più evidente la distanza culturale tra la legge e la sua applicazione nel caso di specie è il ragionamento sul “bilancino”, che la dice lunga anche sul genere di diffidenze e preoccupazioni del soggetto decidente. È verissimo che attribuendo dei capitoli di spesa è praticamente impossibile essere aderenti al centesimo alla situazione specifica, ma forse con l’assegno lo si è? I 550,00 euro stabiliti da quel giudice rispondono perfettamente alla situazione reale senza bisogno del bilancino? Anzi. Di solito si tratta di cifre stabilite “a occhio”, sulla base di impressioni (o di maldicenze della controparte). Nulla di più ascientifico, nulla di più metagiuridico. Al contrario, a vantaggio del mantenimento diretto esistono fogli di calcolo, come Chicos, che forniscono proprio i dati che servono: quanto costa mediamente (sulla base di dati Istat) un figlio di quella età, con padre e madre di quelle risorse, che vive in quella zona geografica. E il costo totale è fornito come somma di contributi che vengono dalle varie voci, dai vari capitoli di spesa. Tutto ciò in modo oggettivo, a priori, in modo da togliere alle parti ogni dubbio sul modo in cui sono state “trattate” nel giudizio. Allora il rimedio al caos delle spese “straordinarie” esiste. Assegnare per intero a ciascun genitore ambiti di intervento ben precisi – abbigliamento, istruzione, sport, eccetera – che ciascuno gestirà in modo autonomo rispetto a tutti gli oneri di quella categoria (senza distinzioni bizantine tra libri “normali” e libri “costosi”, medicinali da banco e da ricetta e simili, e senza scontrini da conservare per future restituzioni), ovviamente concordando quella parte che possa avere ricadute di lungo termine (l’indirizzo scolastico, lo sport da praticare e simili). Gli eventi realmente eccezionali e imprevedibili, come l’incidente o la malattia grave, saranno considerati al momento e affrontati nell’ambito del generale criterio della proporzionalità. La prassi del 50 per cento non ha senso, e infatti il quarto comma dell’articolo 155 Cc si guarda bene dal considerarla.
Questo è ciò che si dovrebbe fare, perché lo dice la legge, ma non solo. Perché è più corretto, più razionale, più utile al figlio. Vogliamo dire anche più “giusto”?