di Marta Ajò
Preambolo
Come tutti i cittadini del mondo, ma parliamo del nostro Paese, ciascuno di noi si augura che la politica, quella che guida lo Stato, legifera e detta regole, sia “buona”, ovvero efficiente e giusta.
Per questo ci attendiamo di conoscerne i programmi, nel quotidiano come nell’emergenza, le linee guida da seguire e ad essi ci atteniamo altresì desiderosi di collaborare con chi deve rappresentarci nel governare.
Da tempo però, e non solo a causa della pandemia, avvertiamo un distacco tra questi due soggetti: noi e i politici.
Ma non c’è la presunzione di analizzare-criticare quanto l’intenzione di andare oltre, da subito, alla ricerca del “tempo perduto”.
Il malessere che scuote la cittadinanza ha certamente ricevuto il colpo finale in questi ultimi mesi di lock down e di post ld, da una sua possibile rimonta.
Rimessa la fiducia in chi ne sa di più, scienza e medicina, in chi doveva gestire le risorse da mettere in atto, regioni, comuni, governo centrale, si è superato uno dei momenti più difficili della storia di questi ultimi decenni con senso di responsabilità ancora più che per paura, dimostrando che quando gli input o le leggi esprimono necessità reali gli attori sanno recitare la loro parte.
E, con la consapevolezza che i sacrifici richiesti fossero molto pesanti e per alcune fasce sociali più di altre (donne, bambini, anziani), ha prevalso il senso di cittadinanza, di condivisione, di ubbidienza allo Stato.
Quello che è accaduto dopo, lo si conosce molto bene e, al di là di ogni interpretazione-difesa di appartenenza, l’unica certezza emersa è stata l’insufficienza della politica.
Eppure, nonostante il grande sacrificio di molti e che qualcuno abbia tentato di approfittarsi del momento a scapito della comunità, la speranza, la positività, la forza e la buona volontà hanno prevalso. Ma il buon vivere, sempre, è collegato alla buona politica.
Se lo stato dell’economia, i servizi, la salute, il lavoro, le famiglie vengono messi a rischio è impensabile che la fiducia della gente non venga meno.
Con orgoglio di Patria, il nostro Paese uscì da due grandi guerre e si risollevò con programmi di reinvestimenti strutturali, di formazione scolastica e professionale, di programmi culturali di recupero, di adeguamento alle trasformazioni provenienti da altri paesi, tutto tendente al sostegno alle famiglie e ai lavoratori.
Programmi che, per un certo periodo, sembrarono coprire i bisogni di una società depressa dal conflitto bellico ma che, nel tempo, la politica non è riuscita sempre a realizzare e ad adeguare. Certo è che la storia degli ultimi 70 anni non è concentrabile in due righe di ragionamento e l’autrice si scusa.
Quello che però si respirava allora, il motore avviato nelle coscienze anche giovanili (che si esprimeva anche nelle contestazioni), lo scardinamento di ruoli tra generi (di cui le lotte femministe sono state l’apice), ovvero il desiderio di partecipazione e di cambiamento non si avverte da molto tempo.
Il vivere è diventato vivacchiare in un limbo in cui, senza originalità di pensiero, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, le donne godono di libertà apparenti ma sono ancora discriminate, lavorare diventa sempre più una meta difficilmente raggiungibile o adeguata alla propria formazione, dove la donna deve ancora scegliere se occuparsi della famiglia o lavorare, dove i bambini sono a rischio di vecchie e nuove scempi sulla loro pelle e la violenza non conosce leggi. Insomma un millennio, questo, di cui molti di noi non conosceranno gli sviluppi ma che sappiamo riguardare le nuove e prossime generazioni, dove non ci appare “il sole dell’avvenire”.
Chissà, forse la politica sarà computerizzata, chissà.
Eppure crediamo che il nostro Paese, con una buona gestione della politica, abbia ancora molte risorse da utilizzare e molte buone idee da ascoltare.
I fatti
I bisogni trasferiti alla politica dovrebbero ricevere risposte adeguate e compatibili con ogni fascia sociale.
Ma la conoscenza dei bisogni da dove nasce e chi li rappresenta?
I sindacati hanno perso la loro identità di cinghia di trasmissione fra le classi lavoratrici, le aziende e lo Stato; le associazioni si sono moltiplicate rincorrendosi e dividendosi sugli stessi temi; il volontariato si è collocato in una nicchia autogestita; gruppi e movimenti spontanei navigano a briglie sciolte in cerca di collocazione. Tra l’indefinito e il pasticciato.
Ciononostante il territorio italiano resta un albero di frutti sani. Lo sono i piccoli comuni operosi, i piccoli artigiani che mantengono qualità e tradizione, i giovani che reinvestono il capitale di conoscenza ereditato, gli imprenditori illuminati, le forze sane che rappresentano ancora la base per sostenere anche la debolezza di una politica maldestra.
Una realtà che non può essere descritta in poche righe e che non può essere sommariamente elencata.
Eppure, nel considerare questa resistenza, è giusto e doveroso considerare che fra le forze che sono scese con più veemenza in campo, c’ è una parte sociale composta prevalentemente da donne.
Una forza ed una capacità che, se si fosse mostrata in gruppi di uomini avrebbe sicuramente riempito le prime pagine dei giornali.
Invece tutte le azioni messe in campo da gruppi e movimenti prevalentemente femminili viene puntualmente, se non ignorata, scarsamente considerata.
E’ fastidioso, per chi scrive, dovere ogni volta ricorrere allo specifico aggettivo “femminile” , come a sottolineare la straordinarietà di questi “agenti”. A dovere rafforzare il concetto d’impegno, di professionalità, di progettazione per il solo fatto di appartenere ad un genere come se fosse avulso da un mondo che non appartiene anche a loro.
Le soluzioni possibili
Ma andiamo al nocciolo della questione politica.
Nel prossimo mese di settembre si affronterà un’importante tornata elettorale. L’attenzione politica si sta concentrando sul dopo, ovvero chi avrà più voti per la gestione della cosa pubblica, facendo una campagna elettorale confusa e strumentale. La sceneggiatura non è delle più esaltanti.
In questo quadro le donne, addestrate da un loro sfortunato destino a cimentarsi con la sottovalutazione, lo sfruttamento e l’inganno, hanno studiato, provato e messo in moto nel tempo una serie di percorsi difensivi e alternativi finalizzati a proporre ed attivare buone prassi di politica.
Alle regionali del 2020 esse porteranno dunque non solo una richiesta rinnovata per un riequilibrio di genere nelle nomine e nelle designazioni pubbliche, come chiede specificamente il gruppo di Noi Rete Donne, ma soprattutto una serie di proposte, studiate da Gli Stati Generali delle Donne, un ormai consolidato gruppo nazionale di eccellenze femminili.
Queste proposte sono state redatte in appositi documenti, ciascuno dei quali considera le peculiarità territoriali e le soluzioni praticabili, inviati ai Candidati Presidenti, ai candidati e alle candidate alle prossime Elezioni Regionali. Una richiesta di impegno a concretizzare un Patto per le Donne, discutendo anche eventuali modifiche, migliori soluzioni e quanto altro dovesse rendersi necessario.
Un Patto per le Donne per discutere come si debba investire nei diritti delle donne e nei settori economici connessi a quei valori di cui sono tradizionalmente portatrici, come la sostenibilità e la salvaguardia dell'ambiente, il mantenimento della biodiversità, la cura dei beni
comuni, insieme alle istanze egualitarie e democratiche.
Questi documenti sono altresì un’ importante base di riflessione fornita agli eletti per stabile un reale legame e conoscenza territoriale con i gruppi già presenti sui territori.
Perché questi documenti si basano e sintetizzano anni di politica, di dibattito e confronto con le realtà locali finalizzati ad elaborare proposte e progetti da realizzare con il sostegno della politica tutta.
I documenti partono dalla contestualizzazione territoriale, specificano le finalità e gli obiettivi, suggeriscono azioni rivolte alla promozione di tutte le politiche e tutti i settori.
In questi documenti non c’è niente di velleitario. Ogni singola parola è dettata dall’esperienza maturata nel territorio, nel confronto con la società e le istituzioni presenti. Offrono un modo di lavorare nuovo e diverso sul quale i futuri candidati dovrebbero porre l’attenzione per non rimanere distaccati dal territorio che dovranno rappresentare e dal quale la politica elettiva si è sempre più distanziata. Gli Stati Generali delle Donne rendono in questo modo un servizio concreto offrendo una scorciatoia ad una obsoleta ma necessaria prassi politica da tempo dimenticata.
Che questa attività venga da un movimento composto principalmente da donne, non deve quindi creare snobismi di genere ma al contrario essere considerato una ricchezza delle differenze che, a parole, tutti esaltano.
Chiamati tutti a fare tutti la propria parte, le donne, che in questo buio e difficile periodo sono state il timone stabile dei nuclei sociali, stanno dando un ulteriore contributo al cambiamento necessario.
Purché la politica sappia intendere!
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I documenti:
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