di Augusta Amolini
Chi percorre l’antico tratto dell’Appia che da Roma porta verso Napoli può fare un'esperienza unica nel suo genere. Vicino a Latina è possibile visitare Piana delle Orme, un museo privato nato dalla passione di Mariano De Pasquale, il quale ha collezionato più di 50 mila oggetti d’epoca e ricostruito la dura condizione dei coloni dopo la bonifica dell’Agro pontino.
Sollecitata dalla visita richiamo fatti legati al Fascismo, consapevole che parlandone i verbi finiscono sempre per diventare «difettivi». Mi riferisco a quelle persone che abbandonarono le zone di origine dei loro avi per inseguire il sogno di una «terra promessa», strappata con sudore agli acquitrini. Fu la fame che spinse tante famiglie a chiudere l’uscio delle loro misere case. Partirono 35 mila anime fra Veneto, Friuli, Marche e ferrarese; arrivarono con poche masserizie in treno e sui camion per stabilirsi nei terreni lottizzati dall’Opera Nazionale Combattenti.
Dietro garanzia di cambiali agrarie vennero assegnati 3.050 poderi sui quali erano state costruite le case coloniche, uguali nella struttura e pertinenze (pozzo, forno, stalla, porcile, pollaio, abbeveratoio, concimaia e wc esterno). I casali, colorati di azzurro e numerati progressivamente, si susseguivano sui terreni dove erano stati piantati alberi di eucalipto, i quali essendo idrovore naturali assorbivano l’acqua dal terreno. La gente storpiandone il nome li chiamava «calips».
I contadini vessati dai debiti verso i Consorzi lavoravano i campi, le donne aiutavano come potevano, fuori e dentro casa, rimanendo il prezioso elemento di coesione fra i numerosi componenti delle famiglie patriarcali. La malaria imperversava, e poco potevano le zanzariere e l’accortezza di non lasciare liquidi all’aperto. I dispensari distribuivano chinino contro la febbre terzana ma molti morivano nell’ospedale di Velletri, allontanati dalla terra che l’Opera dichiarava «redenta».
La zanzara anofele fu debellata solo dalle irrorazioni di Ddt, l’insetticida sperimentale americano che si rivelò tossico e difficilmente biodegradabile. Oggi, nei borghi molti cognomi terminano ancora con la consonante «n». Essi sono il retaggio di un’emigrazione di Stato voluta come azione di propaganda del regime, indifferente al malcontento dei pastori locali esclusi dalle assegnazioni che si contrapposero ai «cispadani», reclamando la restituzione della terra.
Il visitatore di questo museo tematico non deve indossare gli occhiali nostalgici di un periodo politico che appartiene al passato. Egli deve osservare la ricostruzione per comprendere il segmento di Storia italiana che sostanzia il sacrificio e l’identità di uomini e donne dimenticati.
Pubblicato sul Giornale di Brescia, 26 luglio 2018