Intervista di Marta Ajò
“Le dee del miele”
di Emma Fenu,
Milena Edizioni, aprile 2016
Nel nuovo libro di Emma Fenu, “Le dee del miele”, le parole si svolgono a ritmo serrato tenute da un filo conduttore che a mano a mano si riavvolge a formare il gomitolo della vita. Attraverso il vissuto femminile. Un aspetto di genere che l’autrice coglie in un misto di romanzo e di vissuto che si mischiano e lo caratterizzano. Magia, realtà, tradizione orale, religione e passione rendono questa lettura straordinariamente avvincente.
Fin dalle prime righe si recepisce una sorta di malinconia per terre lontane, nostalgia per qualcosa della propria appartenenza che sopravvive al tempo e alla distanza mentre parte di essa pare estinguersi. La memoria che vive nelle protagoniste sopravvive nel racconto, è forse un libro di memoria? e se lo è perché è così importante trasmetterla?
Grazie della calorosa accoglienza.
Ho scritto “Le dee del miele” osservando l’acqua blu intenso del mar Baltico, percependo i fiocchi di ghiaccio che il vento ribelle fa diventare aghi sulla pelle, sorseggiando bollente latte alla cannella.
Inchiostro di sangue e ricordo di carta di una espatriata, in questi anni a Copenhagen, in precedenza in Medio Oriente. Ho voluto narrare, in umile omaggio ad un’arte senza tempo che ci denota umani, l’identità di me e della mia Isola, la Sardegna, così simili nell’essere terra e mare, durezza e accoglienza. La memoria, infatti, ci ricorda chi siamo e diventa, paradossalmente, apertura all’altro, al diverso che arricchisce.
Oggi, anche la testimonianza, il racconto di un lungo percorso, sono affidati al linguaggio virtuale, ai “cinguettii”, a frasi rapide e alla leggerezza del pensiero. Esiste ancora, e non solo per le donne, lo spazio per un contenitore, un alveare da cui attingere?
Il mondo virtuale è una grande opportunità, che cresce figli gloriosi o mostruosi. Tutto sta nel servirsene in modo consono, per esaltare la comunicazione, la condivisione, il confronto, senza dimenticare che nelle nostre realtà, intorno a madie intarsiate o a tavoli manageriali, si intrecciano fili di storia e si dispensa miele metaforico secondo antichi riti.
Esistono le donne, tutte dee del miele, basta gustare il sapore delle loro parole e il profumo dei loro gesti, per riconoscersi.
In un’altra intervista lei ha detto che questo romanzo è ispirato alle donne della sua famiglia e che nella memoria ogni storia diventa leggenda. Come pensa che le giovani, più attirate da stereotipi e false immagini mediatiche possano essere attratte, salvate dal racconto?
Il racconto salva tutti.
Un giorno, durante una lezione di Letteratura Inglese, il mio docente ci intrattenne per un’ora narrandoci la fiaba di Cappuccetto Rosso. Avevamo vent’anni, notti insonni a ritmo di musica e ore in biblioteca a decifrare antichi codici, jeans strappati e gioielli ispirati al costume sardo, computer nello zaino e bicicletta impolverata. Eppure ascoltammo, rapiti.
Perché basta che qualcuno inizi: il mondo non vuole davvero stereotipi, vuole il mito, il perché, il come, il da dove e, infine, in verso quale meta.
In questo senso i social, nuovi protagonisti della nostra epoca e sicuramente dominatori del futuro, potrebbero, dovrebbero, diventare veicolatori di storia, essere una spinta alla conoscenza. In questo contesto ritiene giusto, utile, che gli scrittori, si servano, si appoggino a questi strumenti? Anche le parole diventeranno virtuali? Quanto tutto ciò può trasformare la scrittura?
L’uomo è in evoluzione, paradossalmente sempre uguale in continuo cambiamento. Gli utenti dei social siamo noi, anche se non li frequentiamo, perché ne respiriamo l’aroma. Io posso non amare il caffè, ma se passo davanti ad un bar, avrò percezione della bevanda servita e consumata, anche inconsapevolmente.
È bene che gli scrittori si propongano nei social, come è bene lo faccia chiunque ha qualcosa di dire o da sentirsi dire, evitando, guidati dal buon senso, gruppi e siti poco encomiabili. Del resto, tornando all’esempio del bar, bisogna evitare di diventare dipendenti delle slot machine o ubriacarsi fino allo stordimento.
Le pongo queste domande proprio perché la lettura del suo libro rimanda al rapporto con la memoria storica-culturale del secolo passato. In esso immagini e testimonianze che potrebbero apparire antiche; il racconto obsoleto e tutto “rottamabile”. Ma per l’universo donna, di cui “Le dee del miele” parla, che ha ancora tante questioni aperte, come la violenza di genere, la non ancora raggiunta parità salariale, i diritti sociali, la storia non si è ancora conclusa. Ritiene che il lungo filo che unisce tutte le donne del suo racconto, possa legarsi anche a quelle dell’ oggi?
Il mio romanzo esordisce nel 1900 esatto e termina nel 1992. Anni non poi così lontani, anni ancora nostri, anche di chi è nato dopo. Anni in cui le donne avevano problematiche diverse, ma erano molto più simili alle contemporanee di quanto si possa credere e, anche coloro che non hanno bruciato reggiseni in piazza, hanno cresciuto figlie in nome della libertà e della parità, assicurando, come nel caso del mio libro, il loro diritto allo studio e all’affermazione professionale.
C’è un lungo filo ombelicale che ci unisce: parte da Eva, la progenitrice che morse la mela e ci donò il mondo, nel bene e nel male. Non a caso la mia ultima protagonista porta questo nome.
Le donne sono ancora quelle dee del miele oppure continuano semplicemente a produrlo mentre altri lo sottraggono loro?
Le donne sono dee del miele da sempre, ma quasi sempre lo ignorano: api dalle ali strappate, cresciute in celle prive di fiori, nutrite di ideali maschilisti, violate e divorate da stupri di corpo e anima. Siamo ancora Dee, non ci resta che produrre e elargire.
Il mito, così presente nelle sue pagine, la magia e la passione che avvolgono il racconto potrebbero essere diversamente reinterpretati?
Il mito non ha mai un’esegesi univoca: il mio romanzo ha mille sfumature e simbologie (che si estendono fino alla cabala. Sta al lettore non solo coglierle, ma dar vita a nuovo miele.
La magia non è solo riti e formule, è la forza che ci spinge verso l’infinito, superando, se pur per poco, i nostri contingenti limiti umani.
La Sardegna, il luogo a cui lei s’ispira e alla cui cultura fa riferimento, stride in modo irriverente con le immagini patinate acchiappa turisti, in questa Sardegna che fine ha fatto l’alveare di quelle donne?
Io sono nata e cresciuta in una città di mare e turistica, Alghero. Ho vissuto estati fra mari cristallini; spiagge nivee; rocce a picco su torri catalane; negozi e pub aperti per tutta la notte, in un centro storico all’insegna della “movida”.
Eppure, io sono questo e oltre.
Sono i nuraghi impregnati di mistero; le erbe magiche raccolte a San Giovanni; il piatto a tavola riservato per i morti il 2 Novembre; le leggende dei vecchi seduti vicino al camino; le mani delle donne impastate di farina e miele; la forza impietosa del maestrale; la sabbia rovente portata dallo scirocco, le vesti in orbace dei pastori; le lane di pecora tinte per i tappeti; gli scialli ricamati delle spose. È una sardegna che non muore perché suo non è il tempo della storia, ma del mito: Grazia Deledda lo sapeva bene, noi sardi siamo memoria, non importa quanto il mondo ci cambi, quanto il progresso sia un bene. Noi serbiamo il miele dell’identità nei nostri occhi.
Grazie per le domande di grande profondità: domande di sangue, di miele, di donne. È stato un onore essere vostra ospite.
Emma Fenu | Milena Edizioni | Narrativa, Non fiction
ISBN 978-8898377565
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