di Elisabetta Righi Iwanejko
Nella democrazia odierna si evoca spesso la piazza virtuale perchè la dialettica politica scorre inesorabile sul web attraverso continue polemiche e infiniti botta e risposta sui social network. Esiste tuttavia ancora una nazione, la Francia, dove la vera piazza influenza da sempre il corso della storia. L'unica vera nazione europea dall'Alsazia, al Mare Atlantico, alle Alpi, alla Costa Azzurra che ha non ha mai nascosto le ambizioni di leadership continentale.
Dai Galli, a Carlo Magno, a Napoleone, a De Gaulle. “Basta un semplice gesto di libertà per muovere il vento del cambiamento”. La celebre frase di Papa Giovanni Paolo II, si adatta perfettamente all'attuale scenario transalpino. Una protesta che, pur partendo da un contesto preciso, ha l'obiettivo di imprimere una radicale svolta che modifichi gli assetti scaturiti dopo le elezioni presidenziali del maggio 2017.
L'ascesa di Macron è stata fulminea parimenti alla discesa. Una discesa che potrebbe preludere ad una rapida caduta in quanto la storia francese si caratterizza con una metamorfosi di regimi istituzionali imposti e rovesciati dalla piazza. L'Ancien Regime, due Imperi, Cinque Repubbliche e altre autorità transitorie (Direttorio, Consolato, Repubblica di Vichy) sono l'esempio di un flusso continuo e inesorabile di ribaltoni e colpi di stato determinati anche dalle sconfitte nei conflitti (Guerra Franco-Prussiana, Seconda Guerra Mondiale, Guerra d'Indocina, Guerra d'Algeria).
La stessa Quinta Repubblica dopo il decennio del suo padre fondatore, Charles De Gaulle, e i due settennati di Francois Mitterand, è alla perenne ricerca di un attore politico che possa diventare il continuatore di due personaggi così diversi, ma accomunati dall'idea della grandeur francaise. Emmanuel Macron ha cercato invano di formulare un riformismo progressista. La cosiddetta “terza via” fallita ad altre latitudini da Clinton, Blair, Schroeder, Prodi, Lula è franata pure a Parigi.
“En Marche”, il raggruppamento partitico fondato da Macron, si è rivelato un contenitore vuoto. Non esiste e non può esistere un terreno intermedio tra le destre moderate e nazionaliste e le sinistre di derivazione socialista alla Zapatero e popolare alla Tsipras. Una sinistra snaturata a livello planetario dal mortale abbraccio con il liberismo economico osteggiato per decenni. Macron ha riesumato la peggiore sinistra, una sinistra piegata o contigua all'establishment economico- finanziario, molto lontana dall'abituale clichè francese dell'alleanza tra socialisti e comunisti, ogni volta disintegratesi per l'eterno dilemma del partito comunista tra essere partito di governo e partito di lotta.
Proprio la decisione di adottare provvedimenti ultraliberisti in materia di gestione del settore idrocarburi ha scatenato una reazione inaspettata e dalle conseguenze imprevedibili. La nascita dei gilet gialli è la risposta diretta all'aumento dei prezzi del carburante che è ricaduto sui ceti e sulle zone suburbane. Pertanto dalle periferie si è diffuso un movimento di contestazione, prima sui social nel maggio scorso, poi da novembre sulle strade con blocchi e azioni vandaliche.
Come ai tempi della Rivoluzione Francese, quando le madri si spinsero sotto i balconi di Maria Antonietta per reclamare pane per i figli, le donne sono state le prime a manifestare poichè sono le principali vittime del clima di precarietà lavorativa e sociale. Una situazione ribadita nel primo sabato di protesta del 2019 con le donne di nuovo in Place de la Republique a Parigi a fare sentire la propria voce.
La giornata del sabato è diventata il momento del ricorso alla piazza, purtroppo degenerata in alcune occasioni in episodi di guerriglia e scontri con la polizia sugli Champs Elysees che sono lo storico palcoscenico di tutte le sollevazioni dai moti del 1848, alla Comune del 1870, ai tafferugli del 1934 dopo lo scandalo Stavisky, alla rivolta dell'agosto 1944 contro l'occupazione nazista, all'epilogo della Quarta Repubblica nella primavera del 1958, al maggio francese del 1968.
La strisciante globalizzazione e la deriva dell'economia di mercato in esasperato e cinico mercantilismo coniugata con l'insensibile e apatica capacità delle classi dirigenti di comprendere i reali bisogni dei popoli ha partorito i gilet gialli che, nel solco dei no-global degli anni novanta, cercano di salvaguardare le conquiste sociali e la pari dignità di lavoratori e lavoratrici, lasciati al loro destino dai sindacati e dai partiti di sinistra tradizionali basati su schemi anacronistici e avulsi dalla realtà.
Elisabetta Righi Iwanejko