Intervista a Elena Pulcini, docente di Filosofia Sociale all’Università di Firenze e coautrice di Felicità italiane (ed. Il Mulino)
Professoressa Pulcini, nel suo libro lei affronta il tema della felicità degli Italiani. Un tempo si diceva che per essere felici bastano le piccole cose, cosa è emerso dallo studio che avete condotto?
Il suo discorso appartiene ad un Pese dei vecchi tempi dove prevalevano i buoni sentimenti. Ora l'Italia, come del resto il mondo intero, è orientata ad una sorta di venerazione del denaro e di tutto ciò che è benessere materiale. La differenza tra felicità e benessere è un po' il filo rosso del libro, oggi quando si parla di felicità si intende possedere cose nel senso anche di qualcosa in grado di accrescere il nostro potere. La falsa riga del libro è anche fare confronti con un'immagine vecchia dell'Italia a cui lei accennava che peraltro permane in certi momenti e per certi aspetti. La prima cosa che possiamo notare è il distacco profondo da quel tipo di immagine.
Non voglio fare dietrologia, ma forse il passato ci può insegnare qualcosa, non crede? Direi che questa rincorsa agli oggetti ci porterà a sbattere contro un muro.
Assolutamente sì. Ciò a causa delle follie del mondo contemporaneo come la corsa al successo, un successo tutto e subito, la corsa al consumismo sfrenato nonostante la crisi, la competizione che si fa sempre più feroce che innesca passioni negative; tutto ciò caratterizza la nostra contemporaneità e il mondo globale.
In questo libro si sostiene di non voler dare ricette sulla felicità, ma qualche istruzione pratica la fornite al lettore? In particolare, lei cosa suggerisce?
La mia è stata una ricerca confortante perché tutto il quadro desolante di avidità, di ricorsa sfrenata al benessere mostra in realtà che permane la tendenza alla generosità che caratterizza gli italiani; mi sono resa conto che esiste un world happiness report, un report mondiale sulla felicità che inserisce la generosità fra i cinque fattori fondamentali. Le nazioni più felici sono quelle che hanno tra i vari fattori un alto tasso di generosità.
Quindi noi italiani siamo avvantaggiati nella ricerca della strada…?
Si può affermare ciò anche perché possiamo riscontrarlo in altre situazioni. Ci sono esempi concreti anche con fatti recenti come la risposta enorme ai bisogni dei terremotati, tenderei a non sottovalutare anche se questo aspetto non risolve il problema. Se ancora un Paese come L'Italia conserva nonostante tutto il suo DNA di un tempo, per cui riusciamo ad essere felici anche quando aiutiamo gli altri, quando ci buttiamo verso l'esterno e usciamo dal nostro maledetto individualismo, allora vi dico che una speranza c'è!
Secondo lei sono più generose le donne rispetto agli uomini?
Non ho fatto lo studio in questo specifico contesto, però tutta la mia riflessione sulla cura potrebbe testimoniare proprio questo aspetto. Le donne oggi tendono ad affermare, giustamente, la propria autonomia e il proprio successo, il proprio talento, ma permane l'idea di cura come stile di vita, come attenzione. L'attenzione è una parola che traggo da Simon Weil ed è la forma più pura di generosità. È il momento in cui faccio attenzione a quello che accade.
Sono completamente ed entusiasticamente d'accordo con lei! Quando ci occupiamo di qualcuno, siamo attenti, ovviamente se ci stiamo occupando realmente di quella persona.
Attenzione è un parola di grande importanza che prelude alla cura, non in modo buonista ma si riferisce alle capacità psicologiche, all'empatia, al rendersi conto di chi ci sta intorno. È il primo passo per trovare nuove passioni.
Nuove passioni per vivere, per andare avanti perché ci stiamo auto-distruggendo interiormente.
E allora dobbiamo cercare la passione per la felicità e non per il benessere materiale.
Questo è un bel messaggio.
La felicità richiede la dimensione relazionale. Il benessere è individualistico e chiuso nel successo, mentre quando parliamo di felicità, sempre, presupponiamo l'altro.
Aristotele ci ha insegnato che uno Stato buono e giusto ci garantisce la felicità, gli USA hanno il rimando alla felicità nella Costituzione… non sarebbe un diritto per tutti?
Direi di sì, poi tutto ciò che riesce a diventare addirittura Diritto trova il momento in cui si rafforza, gli Americani lo hanno capito. Diciamo sempre agli studenti che ci sono tre diritti naturali fondamentali: alla vita, all'uguaglianza, alla libertà. Aggiungerei anche quello alla felicità.
Maria Giovanna Farina ©Riproduzione riservata
Scheda del libro:
Due filosofi, Dimitri D’Andrea ed Enrico Donaggio, una filosofa Elena Pulcini e una sociologa Gabriella Turnaturi, sono gli autori di “Felicità italiane, un campionario filosofico”. (ed. Il Mulino)
Si potrebbe pensare che questo sia l’ennesimo libro sulla felicità, completo magari, come tanti altri che affollano gli scaffali delle librerie, di istruzioni per l’uso. In realtà, in questo volume, risultato di un lungo lavoro e di un’intensa discussione tra filosofi di diverse generazioni, non si danno consigli per essere felici, e non si cerca neppure di definire che cos’è la felicità, ma di chiedersi dove, in quali ambiti la cerchiamo. In particolare, in quali ambiti la cercano gli italiani. In 17 brevi saggi, scritti in uno stile chiaro e accattivante, si vuole fornire un campionario, non esaustivo ma accuratamente selezionato, di ciò che oggi rende felici gli italiani. Dall’amore alla religione, dalla moda alla politica, dal cibo allo smartphone, dalla casa agli psicofarmaci, per citare solo alcuni dei temi affrontati, il libro offre uno scenario prismatico delle nostre aspettative di felicità che, tra stereotipi e novità, si rivela non privo di sorprese.