Le persone con disabilità possono attendere. Ma non solo loro. Anche quelle non autosufficienti. Tagli e ancora tagli, come per la sanità e la povertà. E non è un caso che Eurostat documenti che il 63% delle famiglie arriva a fine mese con difficoltà, contro il 45% a livello europeo. Una situazione grave diffusa, che rende tutti più fragili ma che attanaglia i più vulnerabili.
Nel Decreto Anticipi del 18 ottobre si prevede una riduzione di 350 milioni di euro del Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità. Ma non basta, nella manovra di Bilancio sembrano non essere previsti stanziamenti per un’altra importante legge, quella sulla non autosufficienza, varata in maggio dal Parlamento dopo l’introduzione di qualche modifica rispetto a quella presentata dal governo Draghi. In questo caso la carenza è ancora più grave: il fabbisogno stimato era di 7 miliardi.
I fondi per i disabili verranno rimandati al 2025, dice la ministra per le Disabilità, in attesa del varo, mai avvenuto, dei decreti di attuazione della legge sulla disabilità. E quelli per le persone non autosufficienti a chissà quando.
E così, dopo i colpi che abbiamo subito con la pandemia che hanno ferito gravemente i più vulnerabili, trascuriamo proprio loro, invece di puntare alla loro valorizzazione piena e autodeterminazione. Prima ci mettiamo a posto la coscienza, o facciamo un po’ di propaganda, varando leggi, poi non andiamo avanti con i decreti e non le finanziamo, come già successo per la legge sull’assistenza del 2000, che per anni è rimasta inattuata perché i livelli essenziali delle prestazioni non sono stati definiti.
E pensare che se solo ci impegnassimo a rendere la qualità della vita delle persone anziane migliore, con un’assistenza domiciliare adeguata e multidimensionale, potremmo anche risparmiare, rispetto all’estensione delle strutture residenziali che, tra l’altro, hanno evidenziato non pochi problemi di qualità dei servizi durante la pandemia.
Allora ci appassionavamo a parlare di welfare di prossimità, elemento chiave per lo sviluppo di indipendenza e inclusione delle persone vulnerabili, di centralità del valore della cura e della necessità di dotarci di una strategia adeguata. E invece la strategia adottata dal governo è quella dei proclami e dei rimandi. E il succo è che i fondi non vengono stanziati.
Ma i disabili e le persone non autosufficienti non possono e non devono aspettare. I loro bisogni sono multidimensionali, di cura ma anche di relazioni, contro l’isolamento e la solitudine. I loro bisogni presuppongono il coinvolgimento di personale specializzato, non solo medici e infermieri, ma anche personale domestico, psicologi e assistenti sociali. In un’ottica di welfare di comunità.
Non si deve più considerare normale il ricorso alle strutture residenziali come risposta ordinaria alla non autosufficienza. Gli anziani devono poter vivere dignitosamente con cure adeguate, relazioni sociali, nella loro casa o no, a seconda di quello che preferiscono. E devono poter scegliere tra diversi tipi di servizi. La legge prevede un forte potenziamento dell’assistenza domiciliare, che spesso non viene scelta perché garantisce poche ore a settimana e fornisce scarse tipologie di servizi.
Ma se queste leggi non vengono finanziate la carenza di assistenza rimarrà cronica e disarticolata sul territorio. Con una situazione peggiore al Sud. E tutto si continuerà a scaricare sulle spalle delle donne e dei familiari che non possono sostenere da soli il carico.
I diritti delle persone disabili e non autosufficienti non possono rimanere solo sulla carta, sulle leggi inapplicate, sulla Costituzione. Devono essere esigibili. L’accesso ai servizi deve essere semplice, senza burocrazie e ostacoli inutili. Il governo dovrebbe garantire a tutti, specialmente alle persone che non hanno forza contrattuale e sono svantaggiate, la tutela dei loro diritti e la dignità di cittadini. Ci vuole coraggio politico per difendere i più fragili, invece dei soliti noti. Ma se uno non ce l’ha, mica se lo può dare.
La Repubblica
Editoriale 22.10.2023