Il destino delle donne

da | Lug 2, 2020 | Editoriali

di Marta Ajò

La capacità delle donne a riprodursi sono infinite, quasi quante quelle di dividersi su tanti, troppi fronti.
Sembrerebbe la sintesi di un destino.

Non sappiamo bene come sia andata la faccenda per le prime donne sulla terra ma certo è che se siamo andati avanti fino a questo secolo, l’impegno a riprodurre il genere umano non è mancato.
La storia racconta di maternità annuali, come in una catena di montaggio, di dozzine e più figli per una sola donna, a cominciare dalla prima mestruazione fino alla morte che ovviamente avveniva prestissimo.
La maternità, la gestazione, l’allattamento, la vigilanza, l’insegnamento, l’accudimento, la cura sono alcuni dei molteplici campi in cui le donne si sono impegnate per mandare avanti il mondo.

Ed è forse l’unico ruolo che le è stato riconosciuto da tutti e che nessun’altro sarebbe a tutt’oggi in grado di svolgere con altrettanta dedizione. Neanche la società nel suo insieme si è mai sostituita ad esso, la comunità a volte, in alcune culture e religioni, ha garantito un sostegno di nucleo familiare, una volta assai più numeroso di oggi.

Insomma la maternità si è identificata come un atto di natura cui è impossibile sottrarsi e che l’uomo ha trasformato spesso in una gabbia, impedendo alla donna di coltivare interessi e intelligenza.

Divisa tra maternità e lavoro, tra la propria identità e quella imposta da culture diverse, tra la cura degli altri e le proprie sofferenze, tra i sentimenti e le imposizioni, tra le relazioni sane e quelle violente, navigando in un mare in tempesta le donne si sono dimostrate una delle assi portanti delle società e del mondo.
Esse hanno continuato a riprodursi, anche in momenti storici inimmaginabili, durante le guerre, le pandemie, le catastrofi naturali e le gravi crisi economiche.
Hanno svolto più ruoli contemporaneamente, si sono istruite, hanno raggiunto meriti e competenze.
Si può affermare che le donne siano energia e visione d’insieme.

Eppure, la forza racchiusa in loro, viene compromessa spesso dalla malattia della competizione che assale chi non ha ricevuto, chi poco o male ha raggiunto e chi ancora attende.

Una competizione dura, a volte inconsapevole, non malevola ma erroneamente ritenuta necessaria alla ricerca del consenso mancato e dell’altrui approvazione che avvengono, di solito, attraverso l’ubbidienza, il mutuo assenso, il compiacimento che danno origine a chiusure quasi “corporative” che impediscono di fare rete fra di loro.
O meglio, di organizzare una visione d’insieme.
Continuando così il loro ruolo di riproduzione non controllata anche nella sfera progettuale.
Senza generalizzare, bisogna pure ammettere che alcune caratteristiche negative sono presenti nei comportamenti femminili. E in una società che istiga alla competizione attraverso i peggiori stereotipi, una visione dettata da parametri culturali imposti che fanno inseguire canoni e obiettivi sbagliati o irreali, in tutti gli ambiti della vita, specialmente quello lavorativo, l’invidia e la competizione tra donne sono esaltate da sempre, dalla cultura, dalla società e dagli uomini.

Competitive più che mai nella sfera politica, si avverte l’incongruenza tra regole vigenti e il loro essere profondamente cambiate.
E se nel passato i modelli hanno portato le donne a competere per la conquista del “maschio”, in politica la conquista si afferma attraverso la dirigenza e la rappresentanza di partito.

Questa volontà di cambiamento espressa attraverso forme e modi di parte, riproduce dinamiche divisive anche fra esse.
Ed ognuna ricade nel conflitto fra simili, nel dimostrare chi è meglio di, nella rivendicazione di una primogenitura di ogni azione, di difesa del proprio spazio.
Infine le donne non fanno la politica diversamente dagli uomini e in più devono accettare, come unica forza attribuita e riconosciuta, quella che loro vorrebbero fosse considerata paritaria, la loro appartenenza A garanzia per la sopravvivenza imparare le regole, essere asservibili e manovrabili.

In questa “rachitica” riproduzione di sé stesse, diviene essenziale un’attenzione di “genere” vecchia maniera, quanto rassicurante.

Nella solitudine cui si sono abituate ad agire, nella dipendenza in cui sono state cresciute, nella paura che si conserva in retaggio di troppi torti ricevuti, nella rivalità che forse emerge nel femminile di ognuna e che si traduce, in politica, in rivalità di campo, divise quando dovrebbero essere tutte insieme, rivendicando ognuna un concetto unico di obiettivi universali, mettendo in campo un esercito troppo zavorrato per combattere sul campo, le donne rimarranno sole.

E’ cosi che la condizione di genere si perpetuerà ancora in questo secolo.
Forse è proprio vero che è difficile, se non impossibile, cambiare i destini delle donne.

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