Si tratta di danno non patrimoniale. Ristoro anche per gli eredi, sentenza 16222/2015 – 3 agosto 2015
Principio analogo espresso da altre sentenze.
Va risarcito il figlio prima riconosciuto come legittimo e, dopo anni, ripudiato. Infatti l’identità, come tutti i diritti della personalità, si rafforza e si consolida con il passare del tempo. Pertanto, maggiore è il lasso di tempo intercorso tra il riconoscimento e l’impugnazione per difetto di veridicità, maggiore sarà la lesione che ne discende al diritto all’identità personale.
Lo ha sancito la ,della prima sezione civile di Cassazione che ha rigettato il ricorso di un uomo condannato in sede di merito al risarcimento di settantacinquemila euro nei confronti del figlio ripudiato e di venticinquemila euro nei confronti dei nipoti. Il riconoscimento risale al 1943, anno in cui il ricorrente sposò la madre del figlio acquisito. Dopo tale matrimonio, quello che all’epoca era un bambino di sei anni, fu riconosciuto come suo dal marito della madre e prese il suo cognome.
Nel 2011, dopo il divorzio, l’uomo ha chiesto la verificazione del rapporto di filiazione. A tale richiesta è seguita quella del risarcimento da parte dell’ex figlio per il riconoscimento del danno provocatogli dal padre legittimo a prescindere dall’esito del giudizio. Risarcimento chiesto anche dalle nipoti che solo nel 2006 hanno saputo che quello non era il vero nonno. Se in primo grado è stato dichiarato il difetto di veridicità del riconoscimento e con esso l’inammissibilità delle domande risarcitorie non altrettanto è accaduto in secondo grado. La Corte d’appello ha infatti ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità e altresì quella di prescrizione perché il termine di decorrenza, in relazione della natura del danno lamentato, non può decorrere che dal momento della proposizione dell’impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di paternità. Pertanto sono state accolte le domande risarcitorie ritenendo configurabile un danno non patrimoniale.
Bene ha fatto la Corte di merito, secondo il Collegio, a rifarsi a un percorso interpretativo innovativo che il legislatore ha successivamente recepito non solo con riferimento al riconoscimento di paternità ma anche alla procreazione medicalmente assistita che si fonda su un progetto di genitorialità che non può essere revocato quando è già stato messo in atto dai futuri genitori. Si tratta di un'applicazione del principio generale di responsabilità che appare tanto più necessaria nel caso in cui il lasso di tempo trascorso dal riconoscimento sia maggiore. Un'applicazione che risulta conforme al dettato costituzionale e che riserva il massimo livello di tutela ai diritti della persona in ossequio al principio fondamentale della loro centralità nell'ordinamento giuridico, introdotto dall'art. 2 della Carta costituzionale.
L’identità lesa è quella personale e sociale. Infatti il disconoscimento si ripercuote sull’interessato privandolo della coscienza di sé e recidendo i legami affettivi consolidati durante una vita senza la possibilità di recuperarne altri. Col disconoscimento si lede la dignità personale di un soggetto, un diritto della persona costituzionalmente garantito. La sua lesione quindi, ai sensi degli artt. 2043 e 2059 Cc è suscettibile del risarcimento del danno non patrimoniale. Il ricorso va quindi rigettato.