di Elisabetta Righi Iwanejko
Premesso che la presenza di un dittatore è sempre un fattore negativo in quanto come affermava Churchill “la democrazia è la peggiore forma di governo, eccezione fatta per tutte quelle finora sperimentate”, si deve sempre contestualizzare.
La Libia è una forma statuale artificiale, pertanto non direttamente riconducibile a caratteristiche identitarie storiche, religiose, economiche, sociali, culturali, come ad esempio la Cecoslovacchia e la Iugoslavia, o lo stesso Belgio che è tuttoggi esistente.
Una nazione creata dalle matite dei diplomatici sulla cartina geografica. L'unione di due entità completamente diverse Tripolitania e Cirenaica che Gheddafi attraverso un feroce e capillare sistema di potere ha controllato dalla rivoluzione del 1 settembre 1969 che cacciò Re Idriss all'ottobre 2011. La sua scomparsa ha provocato la destabilizzazione del paese, con conseguente caos e disordine interno.
La preoccupazione della comunità internazionale non è l'instaurazione della democrazia, perfetta copertina fumogena molto utilizzata ad ogni latitudine del globo terracqueo, ma il controllo delle immense risorse energetiche che governi e multinazionali non possono permettersi di lasciare in mano a soggetti interni inaffidabili o di temporaneo passaggio ai vertici dello stato.
L'obiettivo primario dell'Italia deve essere mantenere le installazioni petrolifere dell'Eni in condizioni operative e di sicurezza per linee di produzione e relativo personale. Ma nulla di più perchè qualsiasi opzione prevederebbe un impegno militare totale che l'opinione pubblica avversa per molteplici ragioni. Malgrado da punto di vista geopolitico mantenere la nostra influenza nell'ex colonia sarebbe indifferibile, ci sarebbero enormi problemi legati ai costi materiali e umani di un'operazione su larga scala.
Pertanto la soluzione obbligata del problema è sostenere il nuovo forte il Generale Haftar e mollare l'ambiguo e indeciso premier Al Sarraj che è in realtà il Governatore di Tripoli. Haftar è l'uomo degli americani da oltre 30 anni. Comandante delle truppe libiche in Ciad venne catturato nel 1987 e rilasciato grazie alle pressioni di Washington. Ha vissuto per 20 anni negli Stati Uniti di cui è cittadino dal 1993. Si vocifera di presunti legami con la Cia che ha favorito il suo rientro in Libia nel 2011 per partecipare all'insurrezione nazionale.
Haftar, gradito anche all'Egitto e alla Russia, costituisce il braccio armato per arginare una possibile deriva fondamentalista che l'ex funzionario dell'establishment governativo di Gheddafi non è stato finora capace di arginare. Infatti Al Sarraj, nell'estremo sforzo di velocizzare la democratizzazione del paese, ha permesso alle forze islamiste di integrarsi nel processo istituzionale senza alcuna garanzia di coesistenza pacifica.
A margine di tutto ciò, resta il nodo focale della complessa e sanguinosa crisi libica. La battaglia infuria sull'asse Tripoli-Tobruk, coinvolgendo civili e stranieri. Tuttavia la rete del petrolio funziona grazie alla protezione di Haftar che ha lanciato i suoi carri armati sulla capitale allo scopo di mostrare la sua superiorità sul piano militare.
Per Trump e Putin rappresenta lo stabilizzatore tanto atteso che potrà salvaguardare gli interessi economici in gioco.