Il Recovery plan e il Sud. Il capitale delle donne

da | Ott 11, 2021 | L'opinione

di Linda Laura Sabbadini *

Grandi opportunità potranno aprirsi per il Sud con il Pnrr, anche per le donne. Le risorse dovranno essere bene indirizzate e governate e le donne, punta avanzata del
capitale umano del Sud, potranno cogliere le nuove opportunità.
Negli ultimi anni, e non c'entra la pandemia, il tasso di transizione all'università per le giovani del Sud è molto diminuito. Nel 2008 era del 73,2% nel Sud e del 67,5% nelle Isole. Cioè la stragrande maggioranza delle donne del Mezzogiorno si iscriveva all'Università dopo il diploma superiore. Ora non è più così, sono diventate il 54,4% nel Sud e il 50,1% nelle Isole. Un tracollo. Solo poco più della metà di
quelle che hanno conseguito il diploma superiore si iscrivono all'Università. Le donne del Mezzogiorno,comunque, si laureano di più degli uomini meridionali. Ma i
livelli sono molto lontani dalle coetanee del Nord e soprattutto dell'Europa.
Dovevamo raggiungere nel 2020 il 40% di giovani tra 30 e 34 anni laureati, le donne del Sud sono al 27%, gli uomini peggio. Siamo molto lontani dall'obiettivo, 10 punti sotto il Nord e 26 punti sotto la Francia e 27 sotto il Regno Unito. A
ciò si aggiunga il numero di donne che non studiano e non lavorano che nel Mezzogiorno sono 896 mila, il 40% delle giovani. Sono tante, troppe.
La verità è che è cresciuta la sfiducia nella importanza del titolo di studio per trovare lavoro e nel riconoscimento del merito. Il contesto non aiuta e tanto meno le politiche inefficaci.
Eppure, c'è un dato che riguarda proprio le donne meridionali che dovrebbe incoraggiarle a investire su sé stesse, sul proprio capitale umano, sulla propria
formazione. Il tasso di occupazione delle laureate raggiunge nel Mezzogiorno il 64%. Tanto, se si considera che le donne meridionali con il diploma superiore lavorano solo nel 36,9% dei casi e quelle con la licenza media inferiore nel 18%.
Cioè, le opportunità per le donne meridionali si riducono drasticamente con il solo diploma superiore e ancora di più se non hanno neanche quello. Investire negli studi
universitari paga molto, per le donne del Sud, anche se con tempi più lunghi. Certo, la situazione è comunque difficile.
Pagano il prezzo di politiche che le hanno ignorate, lo scarso sviluppo dei servizi sociali, sanitari, educativi per la prima infanzia, del welfare locale. Pagano il prezzo di stereotipi di genere più sviluppati e di una divisione dei ruoli nella
coppia che le penalizza. Tutto ciò porta sfiducia.
I numeri, o meglio, le statistiche di qualità servono molto. A prendere decisioni, per i governi, il Parlamento, ma anche per i cittadini. A volte i nostri comportamenti sono indotti da convinzioni che si sono sedimentate nelle nostre teste, come verità assolute, senza elementi oggettivi che le comprovino completamente. E il caso della convinzione che il titolo di studio non serva a nulla per trovare lavoro.
Nelle ultime crisi la laurea ha protetto di più. Le donne meridionali hanno una grande possibilità di riscattarsi.
Certo non potranno farlo da sole. Al governo la capacità di indirizzare bene le risorse, di vincere la sfida di una istruzione veramente di qualità che elevi il livello di competenze di tutti i giovani, anche attraverso la costruzione di valide alternative con corsi di laurea breve professionalizzanti rivolti a chi aspira a titoli di studio di alto livello specialistico.
Alle donne e a tutti i giovani la sfida di sfruttare le nuove opportunità. Studiare, studiare, studiare. Non fermarsi mai.
Abbandonare la posizione di Neet. Investire su sé stesse per autodeterminarsi. Non mollare. Così la riscossa delle donne potrà essere di traino alla riscossa del Sud.

*Linda Laura Sabbadini è direttora centrale Istat.
Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità

La Repubblica, 11/10/2021