di Isa Maggi
La violenza di genere è un problema culturale e quindi deve trovare la propria soluzione nei processi di elaborazione culturale che da tempo stiamo attivando nelle scuole, nelle università, tra le associazioni, con le donne e con gli uomini.
I giornali hanno una responsabilità quotidiana nella narrazione della violenza maschile sulle donne, che radicando la propria origine nella cultura, si scontra con i pregiudizi e gli stereotipi che è indispensabile combattere per eliminarla.
Molte specialiste hanno analizzato il linguaggio che i quotidiani italiani scelgono di utilizzare nel riportare in cronaca i casi di violenza, di stupro e di femminicidio, ed emerge, ogni volta ce lo diciamo, una responsabilità da parte dei giornali nella narrazione della violenza maschile contro le donne.
La narrazione della violenza non è quasi mai coerente con gli obiettivi di prevenzione della violenza, cosi come sono ben raccomandato nella Convenzione di Istanbul e nel Piano strategico nazionale vs la violenza.
Il modo in cui si racconta la violenza non è neutro.
Il linguaggio di chi scrive rispecchia sempre la sua cultura e le sue idee su quel particolare argomento o contesto.
In molti casi, parlando con gli addetti ai lavori, emerge una retorica dell’emergenza e molto spesso la violenza non è contestualizzata all’interno di un fenomeno strutturale socio-culturale ma una delle tante modalità di espressione della devianza criminale.
Ho letto moltissimi post di donne e di gruppi femministi quando uno “sportivo” molestò in diretta una giornalista.
Annegammo tutti e tutte in fiumi di parole con richieste di provvedimenti esemplari.
Quando poco dopo è successo che un magistrato dall’alto della “sua moralità ed etica” ha compiuto lo stesso atto verso una collega è calato il silenzio.
Come se quel palpeggio, quella bocca premuta contro a forza non fosse altrettanto grave e condannabile.
È calato il silenzio quando il Csm ha chiuso il procedimento disciplinare a carico di Giuseppe Creazzo, capo della Procura fiorentina, accusato da Alessia Sinatra, giovane pm palermitana, di avere allungato pesantemente le mani su di lei, quando si trovarono da soli nell'ascensore di un hotel romano.
Il Csm apparentemente aveva due strade davanti a sé: o punirlo con una pena esemplare, dimostrando che la gravità di certi comportamenti è identica, e semmai più grave, se a metterli in atto è un magistrato.
Il Csm scelse la una punizione simbolica, pur ritenendo provate le accuse contro Creazzo, punendolo solo con due mesi di perdita di anzianità.
E poi è calato un silenzio vergognoso.
Lo stesso silenzio vergognoso che ci attanaglia e ci sconvolge dopo gli stupri di giovani donne durante il Capodanno di Roma del 2020 e quello di Milano del 2021.
Ipocrisia assoluta.
Solo se tutte/i daremo un contributo al progresso della società in cui viviamo, le nostre ragazze e i nostri ragazzi potranno avere un futuro migliore e libero da pregiudizi.
Il primo passo è raccontare la realtà con le parole giuste.