Incidenti, anche per il figlio della vittima l’entità del danno morale dipende dalla convivenza in casa, 25 luglio 2012

da | Lug 27, 2012 | Anno 2012

Incidenti, anche per il figlio della vittima l’entità del danno morale dipende dalla convivenza in casa
Il risarcimento ai fratelli del de cuius scatta solo con prove rigorose dei rapporti affettivi, benché le rispettive famiglie vivano tutte in un piccolo centro

   
Nel caso in cui nell’incidente stradale muore il padre la prova specifica dell’esistenza del danno morale per uno dei figli risulta attenuata rispetto a quanto si impone, ad esempio, per i fratelli del de cuius e gli eredi di questi ultimi. Ma anche per il figlio vale il criterio dell’effettiva convivenza in casa con la vittima del sinistro mortale, che ben può condizionare l’entità del risarcimento nel danno non patrimoniale. A maggior ragione, per i fratelli dello scomparso e i loro eredi, deve essere fornita una rigorosa dimostrazione che tra i parenti superstiti e il congiunto scomparso esistessero realmente vincoli affettivi meritevoli di una compensazione in denaro. È quanto emerge dalla sentenza 12915/12, pubblicata il 24 luglio dalla terza sezione civile della Cassazione.

Rapporti da dimostrare
Accolto, contro le conclusioni del pm, il ricorso della società proprietaria del veicolo danneggiante. Troppo frettolosa la Corte d’appello, che liquida al figlio della vittima un risarcimento superiore a quello disposto in una causa precedente in favore delle altre due figlie del de cuius, senza che lo “spread” sia giustificato dal mero decorso del tempo. Soprattutto il giudice di secondo grado pare accontentarsi della mera esistenza del rapporto parentale fra la vittima del sinistro e chi chiede il risarcimento concedendolo quasi “in automatico” senza verificare se effettivamente il figlio fosse convivente del familiare scomparso, in modo da giustificare l’entità della somma attribuita. La convivenza, notano infatti i giudici con l’ermellino, costituisce «il connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate» al di fuori della tradizione famiglia nucleare. Insomma: solo le relazioni tra familiari che convivono si possono ritenere di per sé caratterizzate da autentici legami affettivi, improntati alla solidarietà e dal sostegno reciproci. Non basta, allora, che i fratelli vivessero – e oggi i loro eredi vivano – tutti nello stesso paesino per far scattare il risarcimento del danno morale: serve invece una prova rigorosa dell’esistenza di rapporti affettivi fra i richiedenti e il de cuius. La parola passa alla Corte d’appello, in diversa composizione.