di Lucrezia Mozzanica
Mentre Mimma Caligaris descrive la sua quotidiana battaglia contro gli stereotipi femminili e la violenza di genere si ha quasi l’impressione che stia raccontando una favola. La sua pacatezza e la sua eleganza espressiva contrastano fortemente con i contenuti delle sue affermazioni, da cui scaturisce un mondo ancora pregno di preconcetti e disuguaglianza.
Mimma Caligaris è una giornalista sportiva, a capo della sezione sportiva de Il Piccolo Giornale di Alessandria. Una donna che, nel tempo, ha dovuto farsi strada all’interno di un mondo storicamente raccontato e fruito da uomini. In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, abbiamo voluto farle alcune domande in merito alla disparità di genere.
Nel mondo del giornalismo è ancora presente la disparità di genere e le donne faticano ad emergere. Come mai non siamo ancora arrivati ad avere una direttrice a capo di un grande giornale?
La presenza di donne nel mondo giornalistico diminuisce man mano che si sale di livello. Fino alla posizione di redattore ordinario c’è un discreto equilibrio, ma man mano che saliamo questa piramide troviamo sempre meno donne, e il gap aumenta. Alla punta di questa piramide (direzioni, vicedirezioni, caporedattori) abbiamo numeri ancora oggi molto bassi.
Il gender gap a livello economico è invece di un certo rilievo: una ricerca recente mostra che le donne guadagnano complessivamente il corrispettivo di due mesi in meno rispetto agli uomini, come se non percepissero stipendio per novembre e dicembre. Questo perché alcune carriere sono ancora di difficile accesso per le donne, oltre che per la disparità economica.
Nel settore sportivo sono tante le colleghe presenti rispetto agli inizi, quando venivano trattate come mosche bianche, soprattutto nel calcio.
Molto spesso le donne dirigono periodici femminili, come se potessero dirigere solo questo. Ma bisogna ricordare che le donne hanno competenze e professionalità – non è corretto dire superiori agli uomini, ma è corretto dire che le hanno. A queste donne occorre dar voce.
Il suo ambito lavorativo è lo sport, in particolare il calcio. Come è cambiato il ruolo di una giornalista sportiva in un ambito che ancora è storicamente maschile?
Quando ho iniziato in un campo di provincia, intervistando un allenatore mi sono sentita dire: per essere una donna ne capisci di calcio! Lui era convinto di farmi un complimento: questo era l’emblema del modo di ragionare degli uomini del calcio.
Quello che conta non è il genere, ma lo studio, la professionalità che ci sta dietro. Molto spesso la mia categoria viene sovrapposta a quella della valletta sportiva.
Per queste ragioni insieme ad altre colleghe abbiamo dato vita a Donna media e sport: portale dedicato a convergere l’attenzione verso il mondo dello sport femminile, spesso relegato in sezioni minori, e al contempo a far sentire le voci femminili che raccontano lo sport.
Il calcio in particolare è lo sport di rottura, in tutti i sensi. Pensiamo all’ascesa della squadra femminile, formata da donne di talento che stanno finalmente beneficiando di un’attenzione diversa. La serie A femminile sarà la prima ad ottenere il professionismo. Finalmente questa disciplina porta numeri importanti di lettori e telespettatori, questo può essere una opportunità per dar voce alle donne.
Un passo enorme che è ancora da compiere riguarda la rappresentatività dell’universo giornalistico femminile. Nell’USSI (Unione stampa sportiva italiana), sono stata la prima consigliera nazionale, il mio nome era nella lista da votare, e il giorno dopo è sparito. Di 21 consiglieri nazionali, presidente compreso, ci sono solo 2 donne. Non c’è un presidente di gruppo regionale donna. Eppure, il mondo del giornalismo sportivo è fatto per il 40% e più da colleghe! C’è un deficit enorme di rappresentatività.
Vorremmo spostare il focus sulla giornata contro la violenza sulle donne, partendo da alcuni titoli di giornale in cui si raccontava di femminicidi attraverso l’aggiunta di informazioni ininfluenti ma che in un certo senso dividono la colpa fra l’uomo e la donna vittima. Lei rede che sia una pratica in uso nel giornalismo? Quanto di questo è inconsapevole o inconsciamente radicato?
Proprio il 25 novembre ci sono stati due femminicidi a distanza di poche ore. Su molti titoli ho trovato scritto “Movente passionale”: cosa ha, la passione di uccidere?
Esiste un documento fondamentale per chi si occupa di giornalismo. È il Manifesto di Venezia, firmato il 25 novembre di 3 anni fa. Questo contiene un decalogo per un’informazione responsabile, attenta e consapevole dell’uso delle parole. I giornalisti hanno una responsabilità sociale enorme, perché quando scrivono non possono mai prendere una parte. Molto spesso ci si concentra su chi ha compiuto l’atto violento, che sia stalking, revenge porn o omicidio. Quando si entrano nei dettagli la spettacolarizzazione della violenza per qualche lettore in più è sbagliato.
Insieme ad altre colleghe ho scritto una lettera aperta per ricordare dell’esistenza del Manifesto di Venezia; abbiamo fortemente voluto che non fosse una carta deontologica del giornalismo ma un documento di cultura per un cambiamento culturale o sociale.
Nella ricerca dei particolari spesso ci si dimentica una serie di regole deontologiche della professione, i giornalisti si dimenticano che sono i portatori della notizia alla gente, e che questa notizia entra nelle case delle persone. I giornalisti hanno anche funzione educativa, e le parziali giustificazioni influenzano l’opinione entrando silentemente nella mentalità delle persone.
C’è un diritto di cronaca ma c’è anche un diritto di rispettare le persone. Le parole hanno un peso enorme, e una donna uccisa non avrà mai più voce.
Nonostante ciò ci teniamo al fatto che il Manifesto di Venezia sia una scelta culturale, continueremo a distribuirlo alle associazioni di stampa regionale, alle redazioni, e ricordando quanto il lavoro del giornalista sia una scelta di responsabilità.
Chiudiamo l’intervista con un breve ma intenso pensiero che riassume il cammino verso la parità di genere, a livello sociale, culturale, economico e di cronaca.
“Noi possiamo batterci, essere tante, ma il punto è che la parità non è sovrapposizione. Io non voglio essere come un uomo, ma dovrei avere le sue stesse opportunità. Ma il cammino lo si deve fare insieme”.
fonte: https://www.media2000.it/ne-capisci-per-esser-donna-intervista-a-mimma-caligaris-giornalista-sportiva-il-piccolo/
Mimma Caligaris