di Ester Rizzo
Dopo ben 45 anni desideriamo ricordare ciò che avvenne quel giorno in Islanda. In quell’isola europea, lontana e dai paesaggi spettacolari, il 24 ottobre 1975 le islandesi decisero di indire uno sciopero che paralizzò tutte le attività della nazione. Tutto era già stato programmato da mesi e concordato con il supporto delle cinque maggiori organizzazioni femminili del Paese. Nella capitale Reykjavik furono in trentamila a scendere in piazza per rivendicare parità di trattamento e uguaglianza economica, appoggiate dalle donne di ogni schieramento politico. In realtà non lo chiamarono sciopero ma “giorno libero delle donne”. Alle 14,38, il 90% delle islandesi, dalle più anziane alle giovanissime, comprese le donne delle comunità rurali, incrociarono le braccia, andarono via dai posti di lavoro, abbandonarono pentole e ferri da stiro e non svolsero alcuna attività.
Ma perché proprio alle 14,38? Le islandesi avevano fatto bene i calcoli e si erano accorte che da quell’orario in poi lavoravano gratuitamente, mentre i colleghi continuavano a percepire una retribuzione. Quindi c’era un gender pay gap, un divario retributivo di genere, una differenza salariale originata da una evidente discriminazione. Svolgevano le stesse professioni, avevano le stesse responsabilità, ma i loro stipendi erano inferiori, di circa il 60%, rispetto a quelli degli uomini. Quando le donne si fermarono, la piccola nazione si paralizzò, piombando nel caos. I giornali non poterono essere stampati per mancanza di tipografe, gli aerei non poterono decollare per mancanza di hostess, gli spettacoli teatrali non andarono in scena per mancanza di attrici. Molti uffici pubblici e privati dovettero chiudere, chiuse anche scuole, fabbriche e tanti negozi. Le cronache di quel periodo riportano che i supermercati che vendevano cibo d’asporto, furono presi d’assalto dagli uomini. Tutti i padri furono costretti precipitosamente a riprendersi i figli e ad accudirli.
Finalmente si ebbe così contezza del valore del lavoro svolto dalle donne. Erano bastate un po’ di “ore libere” per far scricchiolare un’intera nazione. L’anno dopo, nel 1976, il Parlamento approvò una legge che garantiva la parità di retribuzione. Cinque anni dopo quel fatidico giorno fu eletta Prima Ministra Vigdis Finnbogattotir, prima donna al mondo eletta democraticamente. Restò in carica fino al 1996 dichiarando sempre che nella sua elezione aveva influito molto la protesta femminile del 1975. Vigdis vanta anche un altro primato: è stata la prima donna in Islanda a cui è stata accordata l’adozione di una figlia da single. Oggi l’Islanda è uno dei Paesi in cui vige una quasi parità di genere sostanziale oltre che formale, ma quel “quasi” ci induce a riflettere.
Quel lontano giorno, l’ultima oratrice a parlare fu Adalheidur Jarnfredsdottir che disse: «Gli uomini hanno governato il mondo per tempo immemore, e come è stato il mondo fino ad ora? Pieno di sangue, inquinato e sfruttato fino allo stremo». E queste parole oltre a farci riflettere forse meriterebbero “una giornata libera” di tutte le donne del mondo.