ISRAELE E PALESTINA LA GUERRA INFINITA

da | Mag 17, 2021 | Fatti dal mondo

di Elisabetta Righi Iwanejko

“…Secondo l’art. 3 della Convenzione di Montevideo del 26 dicembre 1933 uno stato si definisce sovrano ed indipendente in base a tre parametri: un popolo, un territorio, un governo. Sono tre requisiti che stabiliscono che uno stato è un soggetto di diritto internazionale a prescindere dal riconoscimento a livello diplomatico. Pertanto è auspicabile che l'Italia così come la Repubblica di San Marino riconoscano la Palestina come i 138 dei 193 stati aderenti all’ONU, molti dei quali hanno normali relazioni con lo Stato d’Israele e sono computabili come alleati degli Stati Uniti…”

I bombardamenti tra Israele e Striscia di Gaza che proseguono da lunedì 10 maggio e che hanno già provocato troppe vittime innocenti, fanno temere una possibile escalation di violenze tra i gruppi armati palestinesi e l'esercito israeliano. E questa situazione potrebbe peggiorare fino al punto di scatenare, ancora una volta, una vera e propria guerra nonostante la Lega Araba abbia chiesto l'intervento dell'ONU. Sono decenni che israeliani e palestinesi si contendono il diritto di determinare il proprio destino nello stesso lembo di terra. La loro disputa ha diviso milioni di individui. E se il Medio Oriente è “il ring del mondo”, come l'ha definito lo storico Yuval Noah Harari, è anche a causa di questo lungo e irrisolto conflitto. Cos'è accaduto? E perché?

La diplomazia internazionale lavora da anni con l’obiettivo di raggiungere un accordo di pace che metta fine al conflitto israelo-palestinese con la creazione di due stati che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza, corrispondenti in linea di massima all’attuale stato d’Israele da una parte e a Cisgiordania e Striscia di Gaza dall’altra. L’ultimo tentativo di negoziato, su iniziativa americana, è cominciato nel luglio 2013 e si è concluso senza risultati nell’aprile dell’anno successivo. A complicare un possibile accordo vi è la questione di Gerusalemme, città sacra per ebrei, cristiani e musulmani, che Israele considera propria capitale, malgrado ciò non sia riconosciuto a livello internazionale. Sulla collinetta dove oggi sorge la Moschea di Al Aqsa, terzo luogo santo per i musulmani, si ergeva il tempio biblico degli ebrei di cui rimane soltanto, alla base dell’altura, il muro del pianto sacro agli ebrei. Altra questione chiave da annoverare tra le cause del conflitto israelo-palestinese è la presenza di ampi insediamenti ebraici in Cisgiordania. La terra contesa fra israeliani e palestinesi è stata teatro di tensioni e violenze fra arabi ed ebrei fin dai tempi del mandato britannico, che nel 1917 mise fine a 400 anni di dominio ottomano. Con la dichiarazione di Balfour il governo di Londra dichiarò allora di appoggiare una “patria nazionale ebraica in Palestina”, sostenendo gli ideali sionisti di Theodor Herzl.

La dichiarazione diede un’ulteriore spinta ad un movimento di immigrazione in Palestina già in atto fra gli ebrei della diaspora, frutto della dispersione del popolo ebraico avvenuta durante i regni di Babilonia e sotto l'impero romano. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, e lo stermino di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti, l’Assemblea generale dell’Onu approvò un piano di partizione della Palestina, con la costituzione di uno stato ebraico e un altro arabo. Da qui prese vita quello che oggi conosciamo come conflitto israelo-palestinese.

Lo Stato d’Israele fu proclamato il 14 maggio 1948 allo scadere del mandato britannico. I paesi arabi si opponevano al piano e le forze militari di Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq attaccarono subito Israele. La prima guerra del conflitto israelo-palestinese si risolse a favore d’Israele nel 1949, così come la guerra con l’Egitto (1956), la guerra dei sei giorni (1967) e quella del Kippur (1973). Nel 1979 Israele ed Egitto firmarono la pace. Nel 1982 Israele condusse un’operazione militare in Libano contro le basi dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) nei campi profughi libanesi.
Nel 1987 inizia la prima Intifada, ondata di violente proteste palestinesi nei territori amministrati da Israele. Nel 1993 gli accordi di Oslo, con la stretta di mano fra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader dell’Olp Yasser Arafat, segnano l’inizio di un vero e proprio processo di pace fra palestinesi e israeliani e la creazione di un’Autorità Nazionale Palestinese a Gaza e in Cisgiordania. Nel 1994 viene firmata la pace fra Giordania e Israele. Rabin verrà poi ucciso da un estremista ebraico il novembre 1995.
Il processo di pace del conflitto tra Israele e Palestina, avviato con gli accordi di Oslo, non si è mai concluso. La storia recente è stata segnata da scontri e violenze, alternati da tentativi di negoziato. A partire dal 2000, la seconda Intifada portò ad uno scoppio di violenza senza precedenti con un’ondata di attentati suicidi in Israele e interventi militari israeliani nei Territori. Nel 2005 il primo ministro israeliano Ariel Sharon decise il ritiro unilaterale della Striscia di Gaza. Due anni dopo il movimento islamico palestinese Hamas cacciò l’Olp dalla Striscia e ne assunse il controllo. Israele impose allora un blocco terrestre e navale a Gaza. Da allora l’esercito israeliano ha invaso brevemente per tre volte la Striscia di Gaza: nel giugno 2006 dopo il rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit, a cavallo fra il 2008 e il 2009 e nel luglio 2014 in risposta a lanci di missili contro Israele.

Il nodo di Israele resta sullo sfondo, un vessillo che tutti sbandierano con alterna convinzione. La regione si anima soprattutto per la costante ricerca di un punto di equilibrio politico fra le sue componenti interne, trasversali ai vari Paesi e sensibili a fattori come il terrorismo, la questione economico-sociale e quella nucleare. L'instabilità di Paesi come Iraq e Libia, la crisi siriana, le “primavere arabe” e le inquietudini iraniane, confermano la tipicità di un'area i cui sistemi politici continuano a reggersi solo sulla concentrazione del potere politico-militare in poche mani. Con gli Stati Uniti meno interessati all'area e l'Unione Europea debole e divisa, sulla scena del Medio Oriente si sono affacciati altri attori: la Turchia di Erdogan e la Russia di Putin.
Solo pochi giorni fa, Papa Francesco ha infranto un altro muro diplomatico, una specie di tabù, accelerando il percorso di riconoscimento dello Stato Palestinese.

Al termine di una riunione tra le delegazioni palestinese e vaticana, è stata raggiunta l’Intesa di un testo di prossima firma riguardante un accorgo globale tra le parti. Al centro il riconoscimento dello Stato di Palestina. “Le parti hanno concordato che il lavoro della commissione sul testo dell'accordo è stato concluso”, si legge in un comunicato congiunto, “e che l'accordo sarà sottoposto alle rispettive autorità per l'approvazione prima di fissare una data nel prossimo futuro per la firma”. Anche se in modo indiretto per il Vaticano, è chiaro che l'accordo raggiunto aiuterà i palestinesi nel vedere stabilito e riconosciuto uno “Stato della Palestina indipendente, sovrano e democratico che viva in pace e sicurezza con Israele e i suoi vicini, nello stesso tempo incoraggiando in qualche modo la comunità internazionale, in particolare le parti più direttamente interessate, a intraprendere un'azione più incisiva per contribuire al raggiungimento di una pace duratura e all'auspicata soluzione dei due Stati”.
Ciò che sta accadendo non può lasciarci indifferenti.
Tutto questo nel silenzio della comunità internazionale, mentre si sarebbe già dovuto intervenire almeno a tutela e a salvaguardia dei civili.