di Elisabetta Righi Iwanejko
La chiusura del Brennero per l'emergenza coronavirus ha indubbiamente colpito l'opinione pubblica italiana. Infatti nell'immaginario collettivo il Brennero è ancora il baluardo che divideva la civiltà romana dalle orde germaniche. Senza contare che nel settembre 1943 ha rappresentato la rampa di lancio delle divisione tedesche che sono scese ad invadere la penisola subito dopo l'annuncio dell'armistizio annunciato da Badoglio.
L'Austria rimanda la riapertura, tuttavia ha consentito da inizio giugno il transito agli automobilisti svizzeri e tedeschi per raggiungere il nostro paese. Unica condizione il divieto di sosta in territorio austriaco. Malgrado le proteste di Roma, anche il traffico merci ha subito un pesante contingentamento.
“A metà luglio forse potremo tornare alla normalità”. Le parole del Cancelliere Kurz raffigurano un'eventualità che sembra molto lontana. La preoccupazione aumenta in Alto Adige con attività commerciali e turismo precipitati in un limbo davvero pericoloso perchè il lockdown regionale, formalmente revocato, continua nell'attesa dello sblocco del Brennero. Ma Vienna non ha fretta e anzi pare non essere dispiaciuta della situazione. Infatti gli altoatesini sono i tirolesi del sud, ma hanno sempre preferito restare sotto il mantello del bilinguismo paritario sancito dall'accordo De Gasperi-Gruber del 1948 e dello statuto di autonomia previsto dagli incontri bilaterali Moro-Waldheim del 1969.
Durante la seconda guerra mondiale il nazismo perseguitò i dableiber, ossia i cittadini di lingua tedesca che non avevano voluto trasferirsi in Germania, che nel secondo dopoguerra si batterono per una pacifica integrazione, respingendo le spinte secessioniste dell'Svp, il partito di lingua tedesca.
Un'altra chiave di lettura è il contesto politico austriaco che molti osservatori hanno descritto in maniera approssimativa o peggio errata. La caduta del governo di centro- destra tra popolari e liberali è stato enfatizzato come fine dell'esperimento sovranista. Alle elezioni dell'ottobre 2017 l'ascesa del Fpo, partito liberale su posizioni nazionaliste, euroscettiche, populiste, aveva inserito l'Austria nel novero dei nascenti sovranisti. Le successive consultazioni del settembre 2019 hanno invece rinverdito il sovranismo cattolico degli anni trenta di Dolfuss. L'esecutivo presieduto per la seconda volta da Kurz è sostenuto da una coalizione tra popolari e verdi che si è rivelato una falsariga del gabinetto Dolfuss (1932-1934) tra i cristiano-sociali e gli agrari.
Un ritorno dopo quasi un secolo ad un'idea di un'Austria orfana della dimensione imperiale asburgica che vuole riconquistare almeno lo spazio della Mitteleuropa, rafforzando l'identità nazionalcattolica, con l'obiettivo di liberarsi dalla pressione delle nazioni confinanti Italia e Germania. Pertanto il Brennero è il nuovo spartiacque di una sfida che potrebbe complicare le dinamiche interne all'Ue.