L’8 marzo delle bambine, di Manuela Ravasio

da | Mar 7, 2013 | L'opinione

Dedicato alle donne di domani che stanno imparando, giorno per giorno, a diventare adulte. Tra falsi miti e nuove sfide che cominciano fin dalla scuola elementare…

Da grande farò l’architetta. E poi la maestra, l’esploratrice, l’avvocata e la casalinga. A ben guardare, i sogni delle bambine ci dicono tutto sulle donne di oggi e di domani. Alessandra Ghimenti, una giovane documentarista toscana, ha trasformato questa intuizione in un lavoro itinerante e autofinanziato nelle scuole elementari italiane. Ha cominciato in una scuola di Altopascio, in provincia di Lucca, poi ha continuato con alunne, e alunni, del centro di Milano, e ora sta lavorando con una scuola in provincia di Brescia. «L’idea di Ma il cielo è sempre più blu… è nata dopo aver letto il libro di Loredana Lipperini Ancora dalla parte delle bambine. Giro classe per classe ponendo domande come: Chi si occuperà dei tuoi bambini? Che differenza c’è tra maschio e femmina? Maschi e femmine possono fare le stesse cose? Sono domande che restituiscono un quadro piuttosto preciso di come stanno crescendo i nostri figli, soprattutto femmine, ma che fotografano anche le forti differenze e resistenze culturali del nostro Paese. Le bambine della scuola milanese per esempio, sembrano essersi liberate dai vecchi stereotipi di donna debole o casalinga, mentre quelle di Altopascio riescono ancora a immaginarsi solo come maestre, parrucchiere, showgirl…». Gli stessi adulti, a onor di cronaca, hanno reagito in modo diverso: disinteressati ad Altopascio, tanto da non ritenere opportuna una proiezione collettiva, e costruttivi a Milano, dove hanno chiesto alla scuola di lavorare sull’educazione di genere. Perché, a 40 anni dal testo di Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, il loro futuro, di donne e persone, è ancora un tema che scotta e che ci può far capire che tipo di mondo stiamo costruendo per tutti, donne e uomini.

L’educazione delle bambine
Se lo dice lo psichiatra dedicato alle problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza Gustavo Pietropolli Charmet che far crescere una femmina è molto più divertente, bisognerà pur crederci. «Rispetto solo a pochi decenni fa, il rapporto tra genitori e figlie femmine è profondamente cambiato. Oggi alle bambine vengono offerte le stesse esperienze educative riservate un tempo esclusivamente ai maschi e sono sottoposte a una grande spinta in avanti: se per i loro coetanei non è cambiato quasi nulla, per loro, il mondo è tutto nuovo. Del vecchio stereotipo di femminilità rinunciataria e masochistica di fatto, è rimasto ben poco, siamo semmai passati a un “modello da combattimento” dove, non solo ci sono pari opportunità, ma forse anche qualche opportunità in più sul piano sportivo, sociale, sentimentale o sessuale. Questo si riscontra fin dalla quarta e quinta elementare quando non si parla già più di bambine, ma di giovani femmine. La precocità è un dato importante perché ci dice che, se si esercita meno pressione educativa, etica o valoriale, le ragazzine tendono a imporsi rispondendo con successo a modelli diversi: da quello dell’esaltazione della bellezza a quello da prime della classe, fino, fenomeno recente, a rivendicare il loro potere generativo e diventando madri adolescenti». Ammettiamolo, è difficile diventare donne in questo contesto: tra veline e corpi evanescenti, tra mamme wonder woman e madonne arrampicatrici. E ci piaccia o meno, gli stereotipi di genere, vecchi e nuovi, ma sempre mutuati dalla sottocultura dei media, condizionano ancora la loro crescita e non sempre positivamente. Eppure, aiutare le bambine, e i bambini, a uscire da questi stereotipi, si può. Educare alla differenza, al cambiamento, e perché no, alla felicità, è possibile. «Sono i bambini per primi a sentire il bisogno di capire meglio la loro diversità». A parlare è Barbara Mapelli, docente di Pedagogia delle differenze di genere all’Università degli Studi di Milano Bicocca. «Nel progetto ImPARIaSCUOLA è stato avviato un percorso di riflessione soprattutto con i genitori delle elementari. La scuola italiana, al contrario di Paesi come la Svezia dove la Pedagogia di genere è materia di studio obbligatoria per chi vuole diventare insegnante, non prevede nulla che educhi a diventare donne e uomini consapevoli. È invece diffusa una finta neutralità, una neutralità che in pratica legittima la persistenza di molti stereotipi per altro messi in ridicolo dai bambini stessi, se solo viene data loro la possibilità di farlo. Impariamo a guardare la televisione e la pubblicità con i nostri figli. Impariamo a usare, a casa come a scuola, la doppia desinenza: per loro è un gioco che per altro, si è scoperto, alza pure il livello di attenzione. Il rischio maggiore infatti è quello che le bambine facciano propri falsi modelli di emancipazione o una femminilità esasperata e ridicola». Il rischio è, in definitiva, quello di rinunciare a se stesse per rispondere a icone di eccellenza sotto le quali si rimane inevitabilmente schiacciate.

 

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