Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile scientifica di SOS Disturbi Alimentari 800 – Intervista di Tiziana Bartolini

da | Mag 26, 2015 | Interviste/Video

La malattia dell' anima che consuma il corpo.
Anoressia e bulimia sono patologie psichiatriche gravissime da cui si può guarire. Bisogna riconoscere i primi sintomi e curarle bene. La battaglia è anche culturale contro il modello dominante e innaturale della magrezza.

Sono chiamati disturbi del comportamento alimentare, colpiscono oltre tre milioni di persone in Italia e i decessi sono circa 300mila. “Il livello è quello di una vera e propria epidemia sociale, una patologia che in dieci anni è aumentata del 300% e che continua ad espandersi a ritmi assai sostenuti”. Ad illustrare entità, cause e trattamenti di una malattia gravissima, e ancora sottovalutata, è la dr.ssa Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile scientifica di SOS Disturbi Alimentari 800-180969800, numero verde istituito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’Istituto Superire di Sanità. La competenza della dr.ssa Dalla Ragione nel trattamento e cura delle persone affette da disturbi alimentari si è costruita nel lungo periodo e nel 2003 ha fondato la residenza di Palazzo Francisci nella Usl Umbria 1 a Todi, prima struttura residenziale extraopedaliera attivata in Italia per questo tipo di patologie. Questa intervista è occasione preziosa per conoscere più da vicino una malattia tanto pericolosa quanto subdola. Prima di tutto ci spieghi che cosa sono i disturbi del comportamento alimentare.. Sono disturbi psichiatrici che riguardano un alterato rapporto con l’alimentazione e hanno natura psicogena. Attenzione, sono disturbi del comportamento alimentare e non disturbi dell’alimentazione. Stiamo parlando quindi di malattie psichiatriche severe dove l’alterato rapporto con il cibo è legato ad un alterato rapporto con le forme corporee. Sono disturbi che riguardano l’anima, il corpo è l’aspetto più visibile. Sono disturbi collegati ad un disagio profondo, ad una difficoltà a trovare un’armonia interiore mente/corpo e ad un grande deficit dell’autostima. Le ragazze affette da questi disturbi hanno sempre una grande paura di non essere adeguate: alla vita, allo studio, agli affetti. È una patologia che riguarda soprattutto le donne (90%) ma riscontriamo una tendenza all’aumento nei maschi. I disturbi del comportamento alimentare sono di 3 tipi.

L’anoressia nervosa (rifiuto del cibo, vomito indotto, iperattività fisica) ha un’incidenza del 30%. Nel 70% dei casi c’è la bulimia e il bi nge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata). Con la bulimia si riscontrano abbuffate patologiche compulsive con metodi di compenso (vomito indotto anche 10 volte al giorno, iperattività fisica, lassativi, diuretici) invece nel binge eating disorder ci sono le grandi abbuffate senza metodi di compenso. Solo in quel caso le persone diventano obese, mentre con anoressia e bulimia c’è la magrezza. Che differenza c’è tra una persona obesa rispetto a una che è affetta un disturbo di alimentazione incontrollata? L’obesità è un aumento di peso derivante da uno stile di vita, mentre nell’altro caso c’è un’ingestione di cibo fuori da ogni controllo. Parliamo di una persona che ingoia tra le 3.000 alle 30mila calorie in pochi minuti; c’è una perdita di controllo e viene descritta come cadere quasi in uno stato di trance impulsivo. Mangia senza neppure accorgersene.

Perché, secondo lei, sono di più le donne ad ammalarsi?

Sicuramente l’enfatizzazione del modello della magrezza agisce maggiormente sul corpo della donna. Anche l’uomo comincia ad avere molta preoccupazione della forma fisica, ma la pressione sociale sul corpo delle donne è molto più forte. I disturbi del comportamento alimentare sono il modo in cui in questo momento si esprime un disagio nel genere femminile. Infatti nell’adolescenza sono diminuite le depressioni e sono aumentati i disturbi alimentari perché questi ultimi interpretano con più efficacia il disagio contemporaneo delle ragazze. Il punto è che è la prima malattia mentale che si diffonde con questa rapidità. Negli anni ‘70 la depressione ha avuto una diffusione, ma non con questa incidenza, e poi si è stabilizzata. Invece il numero delle persone che si ammalano di disturbi del comportamento alimentare non accenna a diminuire perché i fattori di rischio sono ancora in azione, per cui le proiezioni dell’Organizzazione mondiale della sanità per i prossimi cinque anni dicono che, purtroppo, questi disturbi aumenteranno. Si può guarire? Va detto che stiamo parlando di patologie profonde e molto gravi che sono la prima causa di morte psichiatrica per le donne tra i 12 e i 25 anni; decessi maggiori – in proporzione – di quelli causati dalla depressione. Però le terapie per i disturbi alimentari sono molto specializzate e il trattamento di elezione è di tipo integrato (psicologico e psicoterapeutico, nutrizionale e familiare). In particolare sono tre le terapie che devono essere effettuate contemporaneamente: il trattamento psicologico individuale, le terapie della famiglia e il trattamento nutrizionale. Le terapie psicofarmacologiche non hanno una grande efficacia nei disturbi alimentari, anche se a volte sono utilizzate, ma generalmente non vanno bene vista anche la giovane età dei pazienti. Le probabilità di guarire in questo momento sono buone, soprattutto se le cure iniziano molto presto. Un fatto nuovo che riscontriamo è che si è abbassata moltissimo l’età di insorgenza del disturbo: da noi arrivano anche bambine e bambini tra gli 8 e i 10 anni inviati dagli ospedali pediatrici.

Quanto tempo occorre per guarire?

Va curato il corpo e la mente: per il corpo bastano alcuni mesi, per la mente occorrono almeno due anni. Il problema è curare l’ossessione e il tempo della terapia è lungo per scongiurare le ricadute. Però, una volta guarite con una terapia ben fatta, queste persone hanno una vita normale: studiano, si laureano, fanno figli. Molte ragazze che abbiamo trattato, oggi adulte, ci scrivono. Stanno bene e la loro vita è tornata quella di sempre. In questi anni l’atteggiamento delle famiglie è cambiato? Sì, soprattutto per l’anoressia, che è il disturbo più conosciuto. C’è una maggiore attenzione dei genitori verso alcuni comportamenti che prima erano confusi con un semplice voler rimanere a dieta. Anche i medici di base e i pediatri sono più allertati a riconoscere i primi sintomi.

Quali sono i primi sintomi?

Ci sono alterazioni dei comportamenti: mangiare poco, fare molta attività fisica, mangiare e subito dopo andare in bagno. Ma si osservano anche cambiamenti di carattere: ragazze brillanti e socievole diventano tristi, irritabili, scontrose. Non hanno più vita sociale. Si tratta di segnali che vengono riconosciuti sia dai familiari che dai medici di base. Dieci anni fa non era così. Qual è la genesi e la progressione dei disturbi? Sono disturbi multifattoriali, cioè che emergono quando sono presenti più fattori: psicologici, genetici, traumatici, abitudini alimentari e anche fattori familiari. Ma la famiglia non è più – come si pensava in passato, erroneamente – responsabile in modo diretto. Le famiglie hanno un ruolo importante, invece, quando i figli si ammalano perché se collaborano e sono protagoniste della terapia, se sono attente e partecipative portano un contributo fondamentale alla guarigione.

Come reagisce il contesto sociale a questa patologia?

Inizialmente si sviluppa una sorta di complicità sociale, perché la magrezza è un valore per tutti. Quindi quando la ragazza comincia a perdere peso viene premiata sul piano sociale, tutti le dicono che sta bene, che è carina così magra… questo aggrava la situazione perché rafforza la tendenza in atto. È una fase che chiamiamo ‘luna di miele’ con la malattia: la ragazza ha tutti i vantaggi. È in questa fase che cominciano i guai perché si hanno tutti gli effetti negativi sul fisico. Poi arrivano i cambiamenti di carattere e gli effetti collaterali negativi. A quel punto il contesto comincia ad avere un atteggiamento negativo. Ma ormai il danno è profondo. In più di dieci anni nella residenza di Palazzo Francisci quali evoluzioni ha potuto osservare? Palazzo Francisci è stata la prima struttura pubblica italiana di questo tipo e da subito ci siamo trovati di fronte ad un problema enorme che neppure noi pensavamo avesse questo impatto. Era la fase in cui stava esplodendo l’epidemia iniziata in Italia alla fine degli anni ’90. In questi dieci anni le terapie si sono molto specializzate e otteniamo risultati confortanti. Oggi si può tranquillamente guarire, l’importante è iniziare le cure prima possibile. Se si interviene nel primo anno le possibilità di guarigione sono del 99%. Dopo i tre anni di malattia è un poco più complicato guarire perché le ossessioni si sono radicate. Considerate le cause, che sono i modelli dominanti, è proprio sul piano culturale e della prevenzione che occorre agire. Cosa si sta facendo? C’è un piano nazionale e molte regioni sono impegnate in un lavoro di contrasto che si sviluppa: nella scuola, nel mondo dei mass media, nel mondo dello sport e nella Diet Industry. Su queste grandi aree si stanno realizzando progetti di prevenzione perché, se è vero che abbiamo fatto passi in avanti nelle terapie ottenendo alte probabilità di guarigione, rimane il problema della presenza e dell’impatto dei fattori di rischio. E l’epidemia non si riesce a fermare. Noi continuiamo a lavorare su alcuni fattori protettivi e sulle diagnosi precoci, ma per rallentare o fermare l’epidemia occorre intervenire sui modelli culturali.

Nel sito www.disturbialimentarionline.it il Ministero della Salute pubblica una mappa dei punti di riferimento regione per regione. La situazione si presenta molto differenziata… Ci sono centri un po’ in tutta Italia, ma ci sono molte differenze tra regione e regione con carenze al sud, ma non solo. A Roma, per esempio, non ci sono strutture riabilitative come la nostra, i centri sono prevalentemente ambulatoriali o ospedalieri . Questo determina una certa migrazione di chi non trova nella sua regione livelli di cura adeguati; le famiglie devono sostenere, quindi, anche costi di carattere economico perché le cure sono lunghe. Da noi, a Todi, vengono pazienti dal sud ma anche dal nord.

In questa poca omogeneità territoriale come maturano le competenze professionali?

Purtroppo non ci sono professionisti in numero adeguato. L’obiettivo del Ministero della Salute è stimolare l’istituzione di strutture dedicate e la formazione di personale specializzato nel trattamento di queste patologie. Bisognerebbe pensare ad una particolare formazione per gli psichiatri, per i nutrizionisti e per gli psicologi. Ci sono classi sociali o gruppi colpiti in modo particolare? Anni fa era un po’ la malattia delle principesse: la prevalenza si riscontrava nelle classi sociali più elevate, una distinzione quasi scomparsa. Oggi è una patologia trasversale, globalizzata, che riguarda tutte le classi sociali senza distinzione. Non ci sono differenze da regione a regione o tra il nord e il sud. Il terreno di coltura è il modello culturale, che è globalizzato, e la magrezza è un valore imperante. Le ragazze desiderano uniformarsi. Tutto il mondo occidentale è colpito con la stessa incidenza e si sta diffondendo rapidamente nei paesi in via di sviluppo. Non sono più esenti, ad esempio, tutti paesi dell’Est dopo la caduta del muro di Berlino; è in aumento in Giappone e negli Emirati Arabi. Dove cambiano gli stili di vita si diffonde la malattia.

Cosa potrebbe far cambiare la situazione?

Se potessimo ridurre alcuni fattori di rischio si limiterebbe la rapidità di diffusione del fenomeno, non certo la causa. Le indossatrici filiformi sono sicuramente un riferimento negativo, ma pensiamo alla potenza del photoshop che propone forme irraggiungibili perché non reali. Aver cambiato le regole per accedere a Miss Italia è stato un fatto positivo: da quest’anno sono ammesse ragazze sopra della taglia 44. Comunque è sempre troppo poco rispetto al modello unico dominante della magrezza. Soprattutto i/le giovani sembrano incapaci di reagire a questa dittatura dell’immagine unica… Ha centrato il problema. Sicuramente uno dei fattori che hanno favorito la diffusione del disturbo è questo processo di omologazione, anche estetica. È un’ossessione che impedisce di cogliere il valore della differenziazione per cui ogni persona è un essere unico e irripetibile, speciale. Nelle campagne di sensibilizzazione cerchiamo di stimolare fattori protettivi quali la capacità critica, di pensare con la propria testa, di non appiattirsi sugli altri. Ritengo che tutte le dipendenze – oltre al cibo, pensiamo alle droghe, a internet e anche al bullismo – abbiano la stessa matrice, che va ricercata nella dimensione culturale e nelle fragilità del singolo.

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

I disturbi del comportamento alimentare in Italia colpiscono oltre tre milioni di persone (il 90% sono donne). I decessi sono circa 300mila. Sono di 3 tipi. L’anoressia nervosa (rifiuto del cibo, vomito indotto, iperattività fisica. Incidenza del 30%). La bulimia e il binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata) nel 70% dei casi. Con la bulimia si riscontrano abbuffate patologiche compulsive con metodi di compenso (vomito indotto anche 10 volte al giorno, iperattività fisica, lassativi, diuretici). Nel binge eating disorder ci sono le grandi abbuffate senza metodi di compenso. 800-180969800 NUMERO VERDE

PERCHÉ LE BAMBINE NON MANGIANO

Edito da Il Pensiero Scientifico, il volume di Laura Dalla Ragione ‘La casa delle bambine che non mangiano. Identità e nuovi disturbi del comportamento alimentare’ è uno dei libri scritti dalla psichiatra e psicoterapeuta. Per milioni di giovani il cibo si è trasformato in un nemico. Come è potuto accadere? Come è avvenuta la saldatura tra modelli culturali di vita e forme patologiche? C’è un rapporto fra il nostro attuale modo di considerare il cibo e di vivere il nutrimento e la strada che quei giovani hanno iniziato a percorrere? Perché quella strada è oggi così affollata? Il libro di Laura Dalla Ragione si apre su questi temi e sul carattere di epidemia sociale che i disturbi del comportamento alimentare hanno assunto negli ultimi decenni. Un volume principalmente rivolto alle persone che si trovano a dover affrontare un’imprevista, drammatica esperienza che sconvolge la loro vita, e anche a quanti (medici, infermieri, psicologi, ecc.) operano nei servizi.

I NUOVI DISTURBI:

ORTORESSIA

È una forma di attenzione abnorme alle regole alimentari, alla scelta del cibo e alle sue caratteristiche. È un disturbo riconosciuto dal mondo psichiatrico e il manuale diagnostico americano DSM V lo definisce Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo. La paura maniacale di ingrassare ha conseguenze negative sul sistema nervoso, avvertite con difficoltà dal soggetto colpito e in modo evidente da chi lo circonda. L'ortoressia è un problema sociale e diventa un pericolo ancor più grave laddove venga applicata come regola alimentare e stile di vita per i bambini, causando loro malnutrizione, fiacchezza, frustrazione, impedendo di vivere serenamente il rapporto col cibo e col gusto e con una sana e gioiosa condivisione di momenti comunitari in cui sono presenti cibi non contemplati dall'ortoressico.

BIGORESSIA

In campo medico, per anoressia riversa, vigoressia o bigoressia (in inglese: muscle dysmorphia o bigorexia, da cui l'italianizzazione bigoressia), si intende un disturbo dell'alimentazione differente dall'anoressia nervosa. L'immagine finale della persona disfunzionale è opposta a quella del soggetto affetto da anoressia. Caratteristica peculiare di tale disturbo è la continua e ossessiva preoccupazione della propria massa muscolare, anche a discapito della salute. Il soggetto dedica la maggior parte del tempo a soddisfare questo suo desiderio, non dando importanza al resto della propria vita; può arrivare a fare uso di farmaci che aumentano la tonicità muscolare, che possono rivelarsi tossici per l'organismo con rischi di complicanze fisiche.

 

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