L’unico figlio muore in un incidente, ma il danno esistenziale ai genitori non è affatto automatico
Non basta il “nido vuoto”: i familiari devono allegare che il decesso abbia sconvolto la loro vita
Il danno non patrimoniale? Non è mai in re ipsa, anche quando riguarda la lesione di valori della persona. Altrimenti il risarcimento non sarebbe tale, ma si risolverebbe in una sorta di pena privata per un comportamento lesivo. È escluso che facciano eccezione i casi più drammatici, come il dolore dei genitori per la perdita dell’unico giovanissimo figlio morto in un incidente stradale. Nulla è scontato o automatico: i congiunti devono comunque allegare l’alterazione prodotta dall’evento luttuoso nelle loro relazioni col mondo esterno. Solo così faranno scattare a carico del danneggiante, l’onere di fornire la prova contraria, superando la presunzione della sofferenza interiore determinata dalla perdita di un familiare. Lo precisa una sentenza pubblicata il 13 maggio 2011 dalla terza sezione civile della Cassazione.
Allegazione e iter
Respinto il ricorso dei genitori della vittima, terzo trasportato nell’incidente mortale (alla guida dell’auto schiantatasi contro il muro c’era un altro giovane). È vero, il giudice del merito confonde il danno biologico con quello cosiddetto “esistenziale”, eppure non basta per l’accoglimento del ricorso: è sufficiente correggere la motivazione della sentenza impugnata. Il punto è che la difesa dei genitori punta tutto sulla sindrome “da nido vuoto”, cioè sull’innegabile – e incolmabile – vuoto lasciato in casa dall’unico e giovanissimo figlio morto a bordo dell’auto. E ciò evidentemente non risulta sufficiente, per i giudici, a far scattare il risarcimento. Nel ricorso dei genitori colpiti dal grave lutto c’è un difetto di allegazione. Qual è allora l’iter corretto in questi casi? Chi ha perso un congiunto nel sinistro deve cominciare con l’allegare la pacifica convivenza del proprio nucleo familiare, che risulta sconvolta dall’evento lesivo: l’allegazione deve tendere a mostrare che la sofferenza interiore scaturita dal decesso abbia condizionato le successive scelte di vita dei congiunti sopravvissuti. Solo così si configura l’obbligo di prova contraria in capo al responsabile del sinistro. Non risulta invece sufficiente fare riferimento a un generico mutamento delle abitudini quotidiane.