Sofia è una giovanissima studentessa di 13 anni, che ha frequentato la “primina”, e che da poco ha terminato gli esami di terza media. Sofia per me è un bel nome perchè mi ricorda l’etimologia greca, ovvero, che significa: “la conoscenza, il sapere”e la filosofia è il suo amore. Questa fanciullina ha rischiato di diventare un “drop-out”, in altri termini di abbandonare la scuola. Soffriva di ansia con momenti depressivi, enuresi e, non da ultima, di paranoia scolastica.
Ho incontrato insegnanti unici, splendidi nella mia vita, e ancora li incontro, che mi hanno fatto amare e innanzitutto apprezzare il sapere. Questo caso mette in luce che ci si imbatte nel disagio del formarsi un sapere, a livello relazionale e non solo. Qualche giorno fa Sofia ha terminato gli studi delle medie inferiori, vedremo come…
Ho incontrato Sofia per la prima volta nell’ottobre 2020, in piena pandemia, e talvolta, perciò, svolgevamo anche le sedute con Skype. All’epoca Sofia aveva 11 anni e 9 mesi, non era ancora così alta e slanciata, portava magliette e felpe con stupendi orsacchiotti, capelli mossi corti, non come ora, che veste di un colore, il nero, molto metropolitano, ed è quasi 170 cm., e porta una folta chioma lunga di capelli ribelli .
Ha scoperto prima di me delle sue difficoltà di DSA, ovvero di avere difficoltà di apprendimento specialmente nella matematica, discalculiche, tuttavia con le lezioni con il nonno le ha migliorate. Presso lo Uonpia di Milano di zona, le avevano fatto questa diagnosi, ma senza quasi risolvere soprattutto il suo benessere scolastico generale, infatti Sofia a scuola viveva male. Gli insegnamenti matematici fin dalle elementari erano svolti in modo discontinuo, con supplenti privi di competenze per insegnare, svogliati e conflittuali, rabbiosi. Insegnamenti fondati su una matematica improvvisata come forma di trasmissione di sapere, in un contesto di meritocrazia di gentiliana memoria, per cui se un discente mostra delle difficoltà di apprendimento, o psicologiche, o evince risultati insufficienti, viene definito “scemo”, “non ce la fa perchè debole”, non mettendo in evidenza invece solo certe caratteristiche della personalità di apprendimento, con un’intelligenza relativa ad un settore, e comunque prendendosi cura della relazione che intercorre tra docente e studente. Nel caso di Sofia, il professore di matematica degli ultimi 2 anni scolastici, di solo 23 anni, appena laureato, sembrava comunicare senza ritegno l’idea che aveva degli studenti, suoi “disgraziati”, i quali venivano umiliati e ripresi come i soldati della Legione straniera, in questi termini peggiorativi, sottolineando la loro identità scolastica svilita, ma anche di soggetti senza la loro dignità.
La domanda sorge spontanea già fin da subito: “perchè la scuola, un’istituzione italiana, viene meno al suo compito educativo, istruttivo e pedagogico?
L’idea che il docente dava ai suoi studenti, magari rumorosi e poco inclini alla matematica, a dire di Sofia, infatti era espressa così: “Ho dovuto lasciare la mia terra natia per voi, che non valete niente! Non capite niente e mi fate deprimere così!” Mentre apostrofava con simili invettive, il professore di matematica alzava la voce, fissava gli studenti, compresa la mia paziente, scatenandosi in discorsi contro di loro.
Il suo metodo di insegnamento era quasi amorfo, privo di competenza. Infatti egli stesso ripeteva che nessuno gli aveva insegnato a insegnare. Ma allora a chi dare la colpa, a chi la responsabilità di un fallimento del genere? Perchè se una persona vuole lavorare nella scuola come insegnante e questa stessa istituzione gli da la possibilità, senza avere gli strumenti per farlo, chi colpevolizzare? Quale responsabilità dobbiamo indicare e prima ancora studiare per chiarire le cause di questo mal di scuola? Oppure non interessa a chi dovrebbe sapere darci nel cammino dell’istruzione, un valido corpo docente?
In seduta, Sofia mi parlava del terrore che questo docente trasmetteva a lei, come ai suoi compagni di classe. Lei faceva circa 1 km. per recarsi instazione per ritornare a casa, percorso in cui si guardava sempre indietro, come se fosse perseguitata, in modo angosciato, per il grande timore di trovarselo vicino o, peggio ancora, come quando che le chiedeva cose vacue e strane come:”Allora Sofia, come se qui, ma perchè?”, usando un atteggiamento autoritario e prepotente, mettendola almeno in forte imbarazzo.
In questo caso, le questioni sull’incapacità ad insegnare, non sono solo legate alla mancanza da parte dello Stato di fornire una preparazione adeguata per il mestiere più difficile al mondo, insegnare, ma anche una mancanza di autocritica o consapevolezza sulla proprie caratteristiche relazionali ed educative, in una parola “pedagogiche”, che fanno del maestro, dell’insegnante di ogni ordine di scuola, un vero professionista in grado di sapere come e quanto trasmette anche ad un livello psicologico.
Per un periodo in Italia, circa 10-15 anni fa, sono stati attivati i corsi SILSIS per arruolarsi nella scuola, che prospettavano una certa preparazione mirata ad una formazione sia didattica che relazionale, con laboratori esperienziali e corsi propedeutici. Adesso ci sono i concorsi senza grandi pretese, zeppi di nozioni di ogni genere che scavallano il livello della qualità dell’insegnamento, così complesso e vario.
Nel caso di Sofia, il professore di matematica, che chiamerò Alfio B., nome d’invenzione, da poco “salito” dal “Sud” al “Nord”, poco incline ad accettare la sua realtà di emigrante novello, anzi rabbioso di ciò, frustrato per non stare con la sua famiglia d’origine, era un supplente che sicuramente non faceva altro che far evincere una sua mancanza di desiderio e di passione nello stare con gli studenti, usando un linguaggio didattico e una prassi docimologica rigidi, seguiva malamente ill libro di testo, ma così in modo così fragile e insicuro che, se interrotto, si irritava e non sapeva spiegarlo!
Vista la situazione di disagio scolastico di Sofia, la mia solerte paziente incominciò a porsi in modo empatico, a superare l’affronto personale e la sua posizione frontale che il docente stesso poneva, così da sciogliere il conflitto, insieme al dialogo intervenuto dei suoi genitori con il professore. Così Sofia si mise ad interpretare le difficoltà del suo giovane insegnante di matematica, a voler comprendere il suo contesto psicologico e il suo contesto sociale di provenienza, alle prime esperienze lavorative, forse vissute in modo traumatico, a dire di Sofia! Che dire, avevo in seduta una novella Freud, una paziente che mostrava sensibilità clinica e intuito per la fragilità…!
Dal mio lato e ruolo, ascoltavo Sofia e le rimandavo il mio senso umano volto a umanizzare il professore, e il suo dramma interiore, cosa che l’ha aiutata ad abbassare la dose del suo terrore.
In questo modo, così, umanizzando questa figura per Sofia inquietante, il caso si è risolto, a tal punto che Sofia fece dei grandi miglioramenti, ponendo un ambiente di valorizzazzione dell’apprendimento della matematica di Sofia, con anche complimenti, da parte del professor Alfio B., magari a tratti eccessivi e lievemente adulatori, ma volti a premiare l’intelligenza della fanciullina.
Per quanto riguarda il mio lavoro, ho cercato di “aprire” al dialogo Sofia, indicando il senso profondo nell’esprimere ogni disagio psicologico e di apprendimento gravi che sorgevano tra lei e il professore.
Questi sono i messaggi con Whatsapp che Sofia ha scambiato con me, a esame di terza media concluso…
Mio messaggio: “ciao cara Sofia, come è andato l’orale del tuo esame di stato? Sei soddisfatta del risultato? Grazie per la tua risposta! A presto e buon pomeriggio. Dr.ssa Paola La Grotteria.
Suo messaggio: “ciao! Ero visibilmente in ansia, pallida e tremavo, ma la professoressa di italiano e quello di matematica mi hanno aiutato dicendomi che gli scritti erano soddisfacenti e le tante domande che mi hanno posto dopo le ho sentite più “leggere”, li ho sentiti “vicini”a me! Il professor Alfio B. temeva che svenissi, mi ha regalato un gelato e una caramella, dopo l’esame!!! Ah, sono uscita con sette decimi…Grazie per il tuo interessamento e buona estate!
Mio messaggio: “anche a te!”
di Paola La Grotteria-psicoterapeuta