Presentarvi questa nobile figura di psico-pedagogista italiana, forse la più famosa nel mondo, proprio nel periodo della Festa della Liberazione, è un piacere grande per me… Per me che mi sono laureata a Padova, nel 1997, nella commissione presieduta dal Prof. Guido Petter, con il Prof. Gabriele Di Stefano come relatore, epistemologo e psicologo dell’età evolutiva formatosi grazie a Jean Piaget.
Eh sì, perché tutti noi psicologi siamo debitori a Maria Montessori, medico pediatra e pedagogista, vicina ad essere insignita di un premio Nobel, inventrice di una teoria così rispettosa e centrale del bambino da far sorgere le “Case dei bambini” ovunque, inizialmente a Roma, in cui i piccoli allievi potevano sperimentare metodi di potenziamento delle loro abilità, con strumenti a misura di bambino. Costruendo una auto-educazione alla libertà e alla pace, una originalità nella personalità, già fin dalla primissima infanzia. Scuole queste che accoglievano bambini di varie estrazioni sociali, sia figli dell’alta borghesia che di famiglie operaie. Credendo che, attraverso attività mirate a far emergere le loro capacità mentali, psicologiche, ma anche di apprendimento in generale, tutti potessero avere le stesse potenzialità e opportunità.
Le maestre che seguono il “metodo Montessori” ancora oggi, sono formate da psico-pedagogisti che aiutano a formarsi in tal senso, rispettando di gran lunga cosa è veramente “la mente assorbente” infantile, cioè assimilante, che promuova la curiosità e il desiderio di imparare. Avrebbe detto Jean Piaget, avendo innanzitutto rispetto delle norme etiche nel saperci fare insieme.
Un bambino trattato bene a scuola, senza alcuna forma di coercizione o metodi didattici poco ortodossi, sarà un adulto civile ed educato alla pace e all’onestà, permettendo di far evolvere una personalità autenticamente originale e di successo.
Un concetto cardine della psicologia montessoriana è quella del bambino che, invece di essere pensato come legato al piacere prolungato del gioco, sia individuale che insieme ai compagnetti, diventa più attivo ed è come se chiedesse di lavorare a precisi compiti di scoperta e apprendimento, in un ambiente adatto alla sua intelligenza e al suo preciso livello di adattamento al contesto di evoluzione. E’ la nascita del “bambino laborioso”, l’altra faccia dell’infanzia mal rappresentata come periodo di deficienza, o mancanza, per raggiungere il periodo adulto, questo sì che è intelligente e performante. Il periodo infantile viene raccontato così nelle ingenue teorie precedenti ed è legato a forti pregiudizi.
Così anche grazie a lei, noi abbiamo testi e attività varie di studio e no, “adatti” a varie età, in cui il linguaggio e la forma discorsiva del testo con eventuali immagini, introducono e spiegano al meglio i contenuti per le varie tappe di evoluzione dell’infanzia e dell’ apprendimento in generale.
Ma la questione racchiusa nel titolo è adesso che vado ad affrontarla.
E perché adesso, dopo aver delineato i principi umani così tanto elevati, che si può capire con più chiarezza cosa è stato l’incontro e lo scontro del genio di Maria Montessori con il fascismo. Inizialmente infatti sia Giovanni Gentile, filosofo e pedagogista, ministro dell’istruzione nel periodo fascista, che successivamente, Benito Mussolini, furono attratti dalla maitre-a-penseè italiana. Probabilmente perché questa italiana vantava fin dall’inizio del ‘900 una stima all’estero, specialmente negli Stati Uniti, in India, in Spagna, in Inghilterra, in Olanda. Nazioni in cui evolvevano scuole montessoriane e in cui Maria Montessori svolgeva conferenze e scriveva libri sulle questioni pregnanti lo sviluppo e la mente infantili. Nazioni che in questo modo potevano garantire ancora maggiore potere all’Italia.
Così si può pensare che per i due sostenitori del suo metodo, anche economico per un primo periodo, la teorica dell’infanzia portasse lustro e fama all’Italia. Per Maria Montessori, avere l’appoggio del fascismo all’epoca, era una questione meramente di opportunità affinché le sue scuole potessero avere maggiore successo anche in Italia.
Dopo circa un decennio di pseudo-idillio con tale impostazione, Mussolini incominciò a controllare l’operato di Montessori. Di certo non poteva vedere di buon occhio un’impostazione atta a favorire l’emergere di una personalità che poco facilmente si sarebbe fatta coercizzare o sottomettere. Al contrario produceva un senso critico spiccato e di indipendenza in assoluto, negava l’importanza della guerra, sdegnandola, proclamava la pace, amava la spiritualità.
Tutte queste forme di intelligenza sociale e politica poco piacevano al duce e ai suoi sostenitori.
Negli anni trenta, Maria Montessori emigrò dall’Italia, per quasi non ritornare più, se non per eventi rari, sporadicamente, mantenendo invece un contatto stretto e diretto con vari stati stranieri che fin da subito accolsero le sue invenzioni psico-pedagogiste rivoluzionarie per quell’epoca e portatrici di un’ evoluzione della civiltà stessa.