Donne e scienza, binomio impossibile
La scienza e l’uguaglianza di genere sono entrambe di vitale importanza per il raggiungimento degli obiettivi per lo sviluppo concordati a livello internazionale, per questo è stata istituita una giornata mondiale che elimini il retaggio culturale
di Sonia Berti
Nella Giornata Internazionale per le donne e le ragazze nella scienza (11 febbraio) cerchiamo di dissolvere alcuni stereotipi che ancora sopravvivono nella nostra società. Per farlo chiediamo il parere di Massimo Turrini, Psicologo dello sviluppo e dell’educazione del Centro Studi Erickson, che ha condotto uno studio sull’atteggiamento verso la matematica di alunni e alunne della scuola dell’obbligo.
Esiste una differenza di genere nell’apprendimento delle discipline scientifiche?
«I bambini, passando dalla scuola primaria alla secondaria di primo grado, sembrerebbero aumentare gli atteggiamenti positivi verso la matematica; nelle femmine, invece, tali atteggiamenti si rilevano solo a partire dalla prima classe della scuola secondaria di primo grado».
È un no?
«Alle ragazze manca solo la convinzione di essere portate per la matematica tanto quanto i maschi, e questa convinzione deriva da uno stereotipo di genere che spinge le bambine a tirarsi indietro. Spetta a genitori e insegnanti superare questo preconcetto, facendo attenzione a come vengono interpretati i successi e gli insuccessi».
Quali sono le sue indicazioni?
«Bisognerebbe, da un lato, incentivare i buoni risultati in matematica, e dall’altro non commentare eventuali insuccessi con frasi del tipo “ah, in matematica hai preso tutto dalla mamma!”; proporre esempi positivi di matematici famosi che non siano solo uomini. Al di là di Pitagora, Newton e Einstein, esistono anche molte donne che si sono cimentate con successo nelle materie scientifiche, come Marie Curie, Rita Levi Montalcini e Samantha Cristoforetti. Inoltre, non bisogna frenare, ma la contrario, incentivare il desiderio di poter ambire a lavori aventi a che fare con le discipline scientifiche».
Quest’ultimo punto è particolarmente importante; nelle nostre scuole come in quelle africane, dove lo stereotipo di genere si estende a tutte le discipline e le donne hanno il 20% di possibilità in meno di frequentare la scuola rispetto ai maschi (dati Unesco). Più in generale, nei Paesi del sud del mondo, solo il 76% delle bambine completa la scuola primaria, contro l'85% dei maschi. In Kenya, nonostante uno dei più alti livelli di alfabetizzazione in rapporto agli altri Paesi subsahariani, si stima che le ragazze che all'età di 15 anni sanno leggere e scrivere siano circa il 79% contro il 95% dei ragazzi.
Le cause di questa diseguaglianza sono riconducibili a un retaggio culturale.
Ecco perché ci sono Onlus, come la Fondazione Rita Levi Montalcini, che sostengono l’istruzione e l’educazione, sotto ogni forma, delle bambine, ragazze e donne africane, con due precise motivazioni. La prima è quella di dare ad ogni donna tutti gli strumenti per sviluppare pienamente le sue capacità, permettendole di sfuggire alle frequenti discriminazioni, e consentendole di svolgere con dignità il ruolo che le spetta nelle società. La seconda è che un soddisfacente livello di istruzione e di cultura delle donne costituisce un apporto importante, a volte determinante, nello sviluppo economico, sociale e culturale della loro società. Quello che si vuole trasmettere, infatti, è che alzare il livello di istruzione delle donne, in Africa, come in tutti gli altri paesi, permetterebbe di vederle impegnate non solo nei ruoli “tradizionali” che generalmente spettano alla donna; ma potrebbe renderle protagoniste in molti altri tipi di attività, dal settore produttivo all’insegnamento, dalle professioni sanitarie ai ruoli di leadership.
La scienza e l’uguaglianza di genere sono entrambe di vitale importanza per il raggiungimento degli obiettivi per lo sviluppo concordati a livello internazionale, per questo è stata istituita una giornata mondiale che elimini il retaggio culturale
di Sonia Berti
Nella Giornata Internazionale per le donne e le ragazze nella scienza (11 febbraio) cerchiamo di dissolvere alcuni stereotipi che ancora sopravvivono nella nostra società. Per farlo chiediamo il parere di Massimo Turrini, Psicologo dello sviluppo e dell’educazione del Centro Studi Erickson, che ha condotto uno studio sull’atteggiamento verso la matematica di alunni e alunne della scuola dell’obbligo.
Esiste una differenza di genere nell’apprendimento delle discipline scientifiche?
«I bambini, passando dalla scuola primaria alla secondaria di primo grado, sembrerebbero aumentare gli atteggiamenti positivi verso la matematica; nelle femmine, invece, tali atteggiamenti si rilevano solo a partire dalla prima classe della scuola secondaria di primo grado».
È un no?
«Alle ragazze manca solo la convinzione di essere portate per la matematica tanto quanto i maschi, e questa convinzione deriva da uno stereotipo di genere che spinge le bambine a tirarsi indietro. Spetta a genitori e insegnanti superare questo preconcetto, facendo attenzione a come vengono interpretati i successi e gli insuccessi».
Quali sono le sue indicazioni?
«Bisognerebbe, da un lato, incentivare i buoni risultati in matematica, e dall’altro non commentare eventuali insuccessi con frasi del tipo “ah, in matematica hai preso tutto dalla mamma!”; proporre esempi positivi di matematici famosi che non siano solo uomini. Al di là di Pitagora, Newton e Einstein, esistono anche molte donne che si sono cimentate con successo nelle materie scientifiche, come Marie Curie, Rita Levi Montalcini e Samantha Cristoforetti. Inoltre, non bisogna frenare, ma la contrario, incentivare il desiderio di poter ambire a lavori aventi a che fare con le discipline scientifiche».
Quest’ultimo punto è particolarmente importante; nelle nostre scuole come in quelle africane, dove lo stereotipo di genere si estende a tutte le discipline e le donne hanno il 20% di possibilità in meno di frequentare la scuola rispetto ai maschi (dati Unesco). Più in generale, nei Paesi del sud del mondo, solo il 76% delle bambine completa la scuola primaria, contro l'85% dei maschi. In Kenya, nonostante uno dei più alti livelli di alfabetizzazione in rapporto agli altri Paesi subsahariani, si stima che le ragazze che all'età di 15 anni sanno leggere e scrivere siano circa il 79% contro il 95% dei ragazzi.
Le cause di questa diseguaglianza sono riconducibili a un retaggio culturale.
Ecco perché ci sono Onlus, come la Fondazione Rita Levi Montalcini, che sostengono l’istruzione e l’educazione, sotto ogni forma, delle bambine, ragazze e donne africane, con due precise motivazioni. La prima è quella di dare ad ogni donna tutti gli strumenti per sviluppare pienamente le sue capacità, permettendole di sfuggire alle frequenti discriminazioni, e consentendole di svolgere con dignità il ruolo che le spetta nelle società. La seconda è che un soddisfacente livello di istruzione e di cultura delle donne costituisce un apporto importante, a volte determinante, nello sviluppo economico, sociale e culturale della loro società. Quello che si vuole trasmettere, infatti, è che alzare il livello di istruzione delle donne, in Africa, come in tutti gli altri paesi, permetterebbe di vederle impegnate non solo nei ruoli “tradizionali” che generalmente spettano alla donna; ma potrebbe renderle protagoniste in molti altri tipi di attività, dal settore produttivo all’insegnamento, dalle professioni sanitarie ai ruoli di leadership.
di Sonia Berti per Combonifem