Molestie nei luoghi di lavoro

da | Giu 30, 2019 | Donne e lavoro

di Grazia Mazzé

 

Il vento innescato dai movimenti come il #MeToo non cessa di produrre effetti. Lo Stato di New York ha approvato nei giorni scorsi normative su stupri e abusi sessuali tra le più rigide in America. Il progetto di legge in questione elimina i severi vincoli che definiscono la molestia, assicura una formazione sul tema in tutti luoghi di lavoro e allarga la finestra temporale entro la quale si possono presentare le denunce. È anche di questi giorni l’approvazione a Ginevra della Convenzione ILO, l’Istituto Internazionale del Lavoro, che riconosce violenze e molestie sul luogo di lavoro come violazione e abuso dei diritti umani. La Convenzione ha un significato importantissimo, un messaggio che da tempo si aspettava, la Convenzione Internazionale vuol dire avere una definizione condivisa per riconoscere ed agire in tutto il mondo del lavoro in maniera comune. Significativa è la definizione di violenza e molestia come “comportamenti, pratiche o minaccie che puntano a provocare e completare danno fisico, sessuale o economico”.

Le accuse fatte dalle celebrità di Hollywood hanno innescato una discussione molto ampia in ogni contesto. Il mal costume degli abusi subiti all’interno dell’ambiente lavorativo si è sparso sia in Europa che negli Stati Uniti, toccando ambiti politici, imprese e attività sportive: oltre i due terzi delle vittime è costituito da donne e oltre i due terzi delle responsabilità cadono su uomini.
La violenza contro le donne è un problema strutturale della società e la sua radice risiede nella discriminazione di genere presente in diversi ambiti della vita quotidiana, incluso l’ambito lavorativo.
È molestia qualsiasi attività che alteri in modo doloroso, fastidioso o importuno lo stato fisico o psichico della vittima. Sono molestie l’importunio verbale, la proposta indecente, i commenti pesanti riferiti al corpo o alla sessualità. Sono molestie il pedinamento, il contatto fisico non desiderato, gli atti di esibizionismo, le telefonate o i messaggi a sfondo sessuale.
Il fenomeno della molestia e violenza nei luoghi di lavoro è molto diffuso soprattutto negli ambiti dove esiste una sfera di ricattabilità cui spesso le donne sono sottoposte.
L’aumento dei rapporti di lavoro precari nel settore privato ha portato a maggiori rischi di molestie, ma i più alti rischi restano nel settore agricolo e nel lavoro domestico, in cui sono presenti lavoratori e lavoratrici spesso poco sindacalizzati/e.
L’ultimo rapporto ISTAT mostra peraltro che l’80% di chi subisce molestie e ricatti sessuali sul posto di lavoro non denuncia per paura che possa ripercuotersi sulla propria vita lavorativa: si rafforza così la considerazione che le percentuali reali siano molto più alte di quanto possa essere registrato e persino percepito.
Solo nel dicembre 2017 è stato approvato dalla Camera in via definitiva un emendamento mirato: la lavoratrice che denuncia non potrà più essere sanzionata, demansionata, licenziata, trasferita o sottoposta a misure discriminatorie di qualunque sorta.
Nella contrattazione italiana la definizione di molestia sessuale viene introdotta per la prima volta nel 1990 (CCNL metalmeccanico). Da allora il tema è entrato a far parte della contrattazione di molti settori occupazionali, a volte relegato nell’ambito delle norme comportamentali e dei doveri del dipendente, altre volte inserito in codici disciplinari o della difesa della dignità della persona, fino ad arrivare, per il settore del Pubblico impiego, all’adozione di un vero e proprio Codice di condotta contro le molestie sessuali.
L’Accordo Quadro sulle molestie nei luoghi di lavoro, raggiunto il 26 aprile del 2007 dalle rispettive rappresentanze a livello europeo, è stato recepito da CGIL, CISL, UIL e Confindustria nel 2016, dopo nove anni di negoziati, ottenendo così la possibilità di un controllo maggiore sui contratti di lavoro. Lo stesso accordo è stato ratificato in molte regioni tra sindacati e rappresentanze datoriali anche diverse da Confindustria, a partire dal mondo artigiano, così come anche da cooperative e piccole e medie Imprese.
Alcuni contratti si limitano a stigmatizzare comportamenti offensivi della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori richiamando le norme, tutelandosi così dal rischio di non avere salvaguardato l’integrità psicofisica del dipendente contravvenendo ai principi riconducibili all’Art. 2087 del Codice Civile:
L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Altri contratti demandano la prevenzione delle molestie sessuali a Osservatori e Commissioni bilaterali pari opportunità nazionali. Accordi del settore gas, acqua, elettrico e chimico prevedono clausole specifiche in materia di molestie e il datore di lavoro si impegna ad adottare misure preventive prevedendo azioni disciplinari e sanzioni.
La violenza di genere è stata recentemente discussa in Italia come “un problema di salute e sicurezza”, riportato tra gli elementi di valutazione dei rischi sul posto di lavoro, riguardando stress e benessere psicologico.
L’INAIL, consente agevolazioni sull’autoliquidazione annuale. alle aziende che dimostrano di aver promosso nelle realtà lavorative contrasto e prevenzione sulla violenza nel lavoro mirata a sviluppare conoscenza e consapevolezza sul tema,
Si tratta di un nuovo passo avanti in materia di protezione dalla violenza compiuto in Italia e i sindacati hanno evidenziato l’importanza di integrare la parità di genere e la violenza di genere nelle politiche di salute e sicurezza.
Attenzione a parte merita il diritto alle donne lavoratrici vittime di violenza domestica.
Nel 2016 il Jobs Act riconosce loro un percorso di protezione di genere con un congedo retribuito per un massimo di tre mesi. Durante tale congedo le vittime possono contare sullo stipendio pieno, sui contributi previdenziali e su altri compensi previsti dal contratto di lavoro, oltre alle ferie, con lo stesso criterio stabilito per il congedo di maternità.
I datori di lavoro possono dedurre l’importo degli oneri previdenziali e le lavoratrici, su loro richiesta, hanno anche il diritto di cambiare la tipologia del contratto da tempo pieno a part-time, o di prendere il congedo in modo flessibile, su base giornaliera o oraria, per un periodo massimo di tre anni.
Queste richieste devono essere negoziate nei contratti collettivi e discusse congiuntamente dalle parti sociali, perché la violenza domestica è un problema che riguarda tutti, sindacati inclusi: la qualità di un sistema democratico si misura anche attraverso il lavoro delle donne.

fonte: https://vitaminevaganti.com/2019/06/29/molestie-nei-luoghi-di-lavoro/