di Marta Ajò
Il Covid si sta impadronendo delle nostre vite e, ahimè, delle nostre menti.
Da un lato restringiamo le nostre azioni terrene, allentiamo le relazioni, riduciamo il lavoro, dall’altra invece tutti hanno da dire la loro opinione, indicare le soluzioni, definire e programmare in modo indefinito, sperimentale e possibilista rimedi e scenari. Prevalgono in questo stato di “disgrazia” paure, suggestioni, insicurezze, categorie.
Gli individui, ostaggi incolpevoli di un virus e dei ritardi della scienza a trovare un vaccino, della politica a mettere in atto uno scudo difensivo, un idoneo sistema sanitario di difesa e di cura, vivono tra disperazione e speranza.
Nonostante che, come dimostra la storia passata, dalla quale non si riesce quasi mai a trarre gli insegnamenti, si debba presumere che questa pandemia avrà prima o poi fine e il vaccino arriverà.
Quello che ricorderemo saranno i danni provocati. Di sicuro quelli economici ma anche quelli meno percepibili nell’immediato, più sottili e perniciosi, che concorrono a cambiamenti non sempre codificabili ma che andranno a modificare la struttura e la cultura sociale.
Sicuramente una trasformazione del lavoro, dopo l’esperienza dello smart-working, l’utilizzo delle tecnologie nella medicina, i comportamenti nella vita quotidiana ecc.
Una ridefinizione, insomma, della società e delle sue componenti.
Quel che sembra destinato a uscire decisamente cambiato dalla “crisi – Covid” è il quadro dei rapporti di forza e responsabilità all’interno della società.
In questa periodo si è riaffermato più volte il concetto vagamente denigratorio di fasce deboli. In esse si collocano gli anziani, i bambini e le donne, senza rilevare i vantaggi, la forza e la speranza che da esse derivano quando si abbia la forza di ricollocarle nella loro essenzialità per conservazione della specie.
Gli anziani forniscono un’autonomia economica derivata da ciò che hanno saputo produrre e sono spesso un sostegno per molti giovani o per le loro famiglie. Ricoprono un ruolo educativo e di cura ai minori, rappresentano scrigni di memoria e di conservazione identitaria familiare e sociale. A meno che essi non appartengano alla fascia di popolazione povera che non si definisce in base all’età.
I bambini posseggono la forza del futuro. I nuovi nati infatti rappresentano, o dovrebbero rappresentare, il ricambio generazionale del Paese in cui nascono. Essi non nascono fascia debole ma possono diventarlo. Come futuri cittadini del mondo hanno il diritto di essere protetti, ovvero messi al riparo da rischi e allontanati da situazioni di scontro da parte di chi governa le comunità. Il paradigma “fasce deboli” dovrebbe modificarsi ed intendersi come “fasce da proteggere”.
Nello schema di protezione che la natura ha trasmesso a tutte le specie, potremmo prendere esempio dal perfetto meccanismo di organizzazione sociale dei lupi in cui ogni membro del branco, a pari dignità, viene tutelato e protetto per il solo fatto di appartenervi come gruppo. La loro perfetta organizzazione consente di provvedere ad ogni bisogno senza creare differenze, attraverso una diversa ma paritaria partecipazione, dove ciascuno svolge il proprio lavoro per l’autoconservazione. Dove tutti sono essenziali allo svolgimento della vita.
L’organizzazione sociale che gli uomini si sono dati, invece, stabilisce modi e relazioni diversi. La collettività umana, a differenza del branco di lupi, non soddisfa solo bisogni primari ma è tesa a produrre sempre nuovi meccanismi di soddisfazione materiale per la collettività.
Da quest’esigenza derivano obiettivi e programmi da perseguire attraverso l’utilizzo di risorse umane, di tecnologie sempre più innovative, dell’ambiente con cui s’interagisce.
In questa realtà le donne, a loro volta, non rappresentano una “fascia” di popolazione ma sono parte integrale della popolazione. La loro capacità d’intervento attivo nell’economia e in ogni altro campo, insieme al valore aggiunto della procreazione (la riproduzione riguarda anche i maschi) e la gestione della maternità per un lungo periodo, ne evidenzia più la forza che non la debolezza. Come membri attivi e imprescindibili di una comunità.
Di contro, gli uomini dovrebbero conservare non solo la forza fisica di cui dispongono, spesso male usata, ma l’istinto naturale che tutti i maschi di ogni specie possiedono per concorrere, oltre alla riproduzione, alla salvezza della specie.
La salvaguardia della vita, infatti, è dovere-diritto di tutti e non può che trasformarsi in organizzazione sociale e politica a tutela dell’individuo.
Per paradosso si potrebbe dire che la “fascia” debole semmai è costituita da coloro, uomini o donne, giovani o anziani, che non attuano, non partecipano ad un sistema ordinativo che risponda ai bisogni, insegni i doveri e sia in grado di proteggere nei modi opportuni la vita della comunità e il futuro del Mondo.