Nel ripartire la pensione tra vedova ed ex coniuge occorre tener conto anche della convivenza prematrimoniale
La possibilità di ottenere la reversibilità più alta non è ostacolata dalle nozze di minore durata
La convivenza prematrimoniale guadagna terreno nei diritti fra coniugi. Infatti incide nella ripartizione della quota della pensione di reversibilità fra la prima e la seconda moglie.
È quanto affermato dalla Corte d’Appello di Roma che, con la sentenza 1988 del 4 maggio 2011, ha accolto il ricorso della seconda moglie di un dirigente deceduto che chiedeva una quota della pensione di reversibilità maggiore rispetto alla prima.
La donna, pur sapendo che il secondo matrimonio era durato meno del primo, ha chiesto ai giudici di tener conto della lunga convivenza prematrimoniale.
La Corte capitolina, ribaltando la decisione del Tribunale, ha accolto questa tesi dando alle norme una lettura costituzionalmente orientata. In particolare i giudici hanno motivato che “nella ripartizione del trattamento pensionistico tra il coniuge superstite e l’ex coniuge occorre tener conto certamente dell’elemento temporale costituito dalla durata legale dei rispettivi matrimoni, ossia del dato numerico rappresentato dalla rigida proporzione tra i relativi periodi di durata di tali rapporti. Tale criterio, tuttavia, per conformare la norma ai principi costituzionali, non ha valore esclusivo, dovendo tener conto, in considerazione del carattere solidaristico proprio della pensione di reversibilità e in relazione alle particolarità del caso concreto, anche di ulteriori elementi, quali l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato, le condizioni di ciascun coniuge, la convivenza prematrimoniale tra il coniuge superstite ed il defunto ed ogni altra circostanza che renda necessario limitare il mero criterio matematico della durata legale dei matrimoni al fine di non privare il primo coniuge dei mezzi necessari a mantenere il tenore di vita garantitogli dalla percezione dell’assegno divorzile ed il secondo coniuge del tenore di vita assicuratogli dal coniuge defunto. Deve escludersi, quindi, che l’applicazione del criterio temporale si possa risolvere nell’impossibilità di attribuire una maggiore quota di pensione al coniuge il cui matrimonio sia stato di minore durata, fermo restando il divieto di giungere, attraverso la correzione del medesimo criterio temporale, sino al punto di abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali”.