Nelle linee guida per il Piano nazionale di ripresa e resilienza a noi donne toccano le briciole

da | Set 21, 2020 | Donne e politica

di Isa Maggi

 

Il piano italiano verrà presentato all'Europa il 15 ottobre ma di donne, lavoro femminile e imprese rosa non c’è traccia sostanziale

Occorre assumere la lotta alla disoccupazione femminile e alla precarietà in generale come priorità assoluta, con un piano straordinario di investimenti pubblici e privati capaci di creare lavoro buono, stabile e dignitosamente retribuito per tutte e per tutti.
Come da tempo stiamo sostenendo con argomentazioni di pregio da parte di esperte del settore, le politiche e i fondi da destinare alla creazione di nuovo lavoro femminile hanno influenza sul PIL nazionale creando un indotto di notevole spessore.

I dati Istat evidenziati in questi giorni da Linda Laura Sabbadini mettono il dito su “470 mila occupate in meno rispetto al secondo trimestre del 2019.Di queste 323 mila in meno tra quelle con contratto a tempo determinato. E così siamo alle solite: un tasso di occupazione che torna sotto il 50%, al 48,4%”.
Finalmente pare chiaro a tutte che le donne non sono il segmento debole da includere nel mercato del lavoro. Non abbiamo bisogno di politiche di conciliazione perché ci è chiaro che le modalità di condivisione del tempo nelle nostre care dipende da noi e dai nostri mariti/compagni.Eppure nelle linee guida per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il cd Recovery Fund le parole
e le misure dedicate alle donne sono lievi e sono le solite parole.
Si parla ancora di inclusione, di asili nido. Le donne non sono un soggetto debole dove la cultura patriarcale ci ha ricacciate da sempre e dove anche oggi alcuni/e perpetuano questo concetto.

Nulla di innovativo dunque nelle Linee guida del Recovery Fund eppure siamo” l'altra metà del PIL “ e alla fine il Piano Nazionale dell’Occupazione femminile, che abbiamo elaborato con studiose, specialiste, imprenditrici ecc durante i 130 incontri realizzati dagli Stati Generali delle Donne durante il lockdown e che abbiamo consegnato il 4 agosto alla Ministra Bonetti e al Comitato interministeriale per gli Affari Europei coordinato dal ministro Amendola, non è stato recepito.

Solo briciole ma neanche collocate in una visione lungimirante del cambiamento.
Briciole riciclate con le solite parole stereotipate (si parla ancora di STEM, #mobasta! )Stiamo andando verso un nuovo Rinascimento? E quindi spazio alla formazione delle filosofe, letterate, storiche che certamente useranno i nuovi strumenti della tecnologia e viva il coding ma con alla base una buona formazione classica. Altrimenti come facciamo a realizzare il cambiamento senza uno scenario di umanesimo dove collocare i nuovi programmi della digitalizzazione?

Ma siamo molto preoccupate perché la sfida è alta e non possiamo lasciarla a uomini & donne della politica che non capiscono la portata storica del cambiamento in atto,la questione deve dunque essere risolta.

La nostra situazione è peggiore di quella francese dove il tasso di occupazione è del 61,7% , di quella della dello UK dove il il tasso di occupazione femminile è del 70%, di quella della Spagna dove il tasso è del il 53,9%.
E’ venuto veramente il momento di dare una svolta a questo Paese e perseguire l'obiettivo dell'uguaglianza di genere.

Nel Piano per l'Occupazione femminile, nella parte dedicata alle imprese, il Women in Business Act, abbiamo evidenziato la necessità, ad esempio, di sostenere il mondo imprenditoriale femminile. Ma non solo le imprese guidate da donne o di dimensioni rilevanti. Soprattutto quelle più piccole che più e meglio caratterizzano il nostro tessuto economico.

In Italia sono 1.340.000 le imprese guidate da donne: il 22% del totale, cresciute negli ultimi 5 anni a un ritmo più intenso di quelle maschili (+2,9% vs +0,3%).
La pandemia ha bloccato la crescita, a testimonianza del fatto che nel periodo critico il peso più rilevante è ricaduto sulle donne, come emerso a luglio dal IV Rapporto sull'imprenditoria femminile di Unioncamere.

Come è noto, nell’ambito di Next Generation UE, all’Italia spettano 209 miliardi, di cui 81 miliardi a fondo perduto e 127 di prestiti. Il Ministro Gualtieri ha specificato che i sussidi verranno utilizzati «per conseguire un equivalente incremento netto degli investimenti nel periodo 2021-26», stimolando la crescita del PIL.
Ma in questo piano di investimenti abbiamo letto solo di asili nido, non si parla di altri infrastrutture sociali come strutture condominiali per bambini/e, anziani, disabili

Sette sono le aree di intervento: digitalizzazione e innovazione, green, competitività, mobilità, istruzione e formazione, equità sociale, sanità. Il criterio fondamentale nella selezione dei progetti, sottolinea il ministero dell’Economia, «è la loro capacità di rilanciare in modo strutturale la crescita, l’occupazione, di ricucire le fratture territoriali e sociali e di rendere l’Italia più equa e giusta».

E il lavoro e le imprese delle donne sarebbero un volano eccellente per rilanciare l’economia.
La mappa dell’utilizzo del Recovery fund prevede 9 punti e 137 progetti.

Tra i temi d'interesse nella potenziale strategia italiana ci sono:

le infrastrutture, a partire dall'alta velocità ferroviaria al Sud, che oggi non va oltre Salerno;

la digitalizzazione del Paese, che significa sia dare una scossa alla pubblica amministrazione sia sciogliere definitivamente il nodo della rete in fibra ottica;

la riforma degli ammortizzatori sociali, soprattutto per quanto riguarda la semplificazione del meccanismo di Cassa integrazione. Si pensa ad una possibile estensione della CIG che arrivi a coinvolgere anche i lavoratori atipici, dai contratti a termine ai collaboratori che oggi sono meno protetti.

il fisco, che potrebbe essere aperto grazie ai soldi comunitari che renderebbero disponibili fondi nazionali altrimenti da utilizzare in modo diverso. Due le alternative su questo argomento: un piano A in linea con Bruxelles, e cioè un nuovo taglio del cuneo sul lavoro. E un piano B meno conforme alle direttive UE ma sul quale c’è una certo fervore politico: il taglio dell'Iva per gli acquisti con carta di credito e bancomat, dunque in chiave anti evasione fiscale.

A questi argomenti si aggiungono altri aiuti a settori come quello sanitario, la scuola e l'università, gli investimenti per la transizione verso l’economia green, la coesione territoriale con un sistema fiscale di vantaggio per gli imprenditori del Mezzogiorno, e la diminuzione del peso della voce pensioni sul totale della spesa pubblica.

E’ ora necessario inserire nelle misure e nei progetti un Piano nazionale per l'Occupazione femminile, un piano integrato di azioni.
Abbiamo approntato il Women in Business Act un insieme di azioni pensate per promuovere l'ecosistema imprenditoriale femminile, alla luce dei dati presentati da Unioncamere. Le proposte contengono le azioni necessarie per rimettere in moto l’economia al femminile.

Gli Stati Generali delle Donne con l’Alleanza delle donne sottolineano ancora una volta i benefici attesi di utilizzare il potenziale non sfruttato delle donne imprenditrici, compresa la promozione della crescita economica (fino al 2% del PIL globale secondo le stime) e aumentare la partecipazione della forza lavoro (contribuendo a raggiungere l'impegno dei leader del G20 a ridurre il divario di genere nella partecipazione della forza lavoro del 25% entro il 2025).

Ma occorre anche che ora lo Stato intervenga con un piano di assunzioni stabili che consentano allo stesso tempo la sostenibilità economica delle famiglie e, attraverso la messa in circolazione di denaro, entrate fiscali e afflusso di risorse alle attività produttive. I “servizi” che lo stato può attivare o implementare sono molti e in grado di costituire un volano importante per la ripresa economica: dall’assunzione diretta di personale nei diversi ambiti della sanità (sostituendosi alla gestione a volte discutibile di cooperative); nell’istruzione e formazione di qualità; nella salvaguardia, conservazione e valorizzazione dei beni artistici, paesaggistici e culturali; nelle attività collegate al turismo (centri di informazione e promozione), nei centri per l’impiego e di avvio al lavoro; nell’accoglienza alle persone migranti e nell’integrazione nello spazio pubblico (con una gestione/supervisione più capillare di associazioni o cooperative); nelle infrastrutture con partecipazione dello Stato: rete stradale e autostradale, servizio aereo, ferroviario (sviluppo reti locali, strategiche per pendolari), navale (traghetti pubblici), telecomunicazioni e banda larga ( auspichiamo senza il 5G), attraverso l’assunzione di personale qualificato per la progettazione, la gestione e le attività collegate alla manutenzione e la gestione e il reinvestimento degli introiti. Si rivelerebbe strategico anche tornare alla partecipazione maggioritaria in almeno una banca pubblica che assicuri il pagamento di fondi e sussidi pubblici in tempi brevi e certi.

Tutto ciò produrrebbe vantaggi non solo per l’occupazione in generale ed in particolare per quella femminile essendo l’ambito dei servizi pubblici particolarmente congeniale alle donne (Rapporto Colao) non solo nell’ambito dei servizi, ma anche nell’ambito dell’organizzazione gestionale, nonché di progettazione e realizzazione delle infrastrutture (Titoli di studio e competenze femminili alte).

Tutto ciò è fattibile perché è stato fatto in passato con successo, prima che le privatizzazioni sostituissero i privati nella gestione pubblica producendo grandi, a volte enormi, esborsi, grave perdita di posti di lavoro e l’alienazione di infrastrutture strategiche per lo Stato attraverso le vendite a paesi esteri.

Per ottenere vantaggi da tutto ciò è imprescindibile una gestione pubblica ad ogni livello compresi quelli apicali e decisionali consapevole, responsabile e competente.
Di conseguenza è necessaria una formazione accurata, obbligatoria, riguardante una gestione responsabile, equa, sostenibile secondo gli obiettivi di Sostenibilità e, di conseguenza, attenta all’attuazione del Gender Mainstreaming in ogni ambito e livello.

E poi? Ancora infrastrutture certamente. Ma infrastrutture strategiche dedicate al lavoro delle donne e al miglioramento della qualità della vita delle famiglie.

Le donne hanno bisogno di strutture di quartiere e a domicilio ( per anziani e disabili) a livello anche di condominio anche su modelli di coesione di piccoli gruppi in autorganizzazione ( turnazione / cooperative di assistenza) servizi di qualità garantiti ovunque ( scuola + pullmino e locale attesa x il rientro dei bambini ).
Perché oltre ai neonati ( sempre di meno) noi donne abbiamo una marea di attività da assolvere in famiglia anche se composta da 2 persone ( donne single con figli).
Manca soprattutto il lavoro ma manca anche il supporto per poter lavorare in serenità, a partire dagli asili nido ma pensando anche ai percorsi di studio dei nostri figli e delle nostre figlie.

Ora bisogna mettere in campo le riforme necessarie ad adeguarsi alle raccomandazioni della UE e rilanciare l’economia.

Le misure in generale necessarie:

– prevedere una omogeneizzazione della disciplina per la tutela della maternità/paternità per estendere anche alle lavoratrici/ori autonome/i, alle imprenditrici e alle professioniste le misure attualmente previste per le lavoratrici dipendenti.

– sgravi contributivi e fiscali per i datori di lavoro che assumono donne a tempo indeterminato

– rendere permanente la destinazione delle risorse del Fondo per la contrattazione di secondo livello per l’introduzione di sgravi contributivi a favore dei datori di lavoro che adottano misure per aiutare i e le dipendenti ad armonizzare famiglia e lavoro;

– ai fini della determinazione dei premi di produttività, devono essere computati anche i riposi giornalieri della madre;

– prorogare il regime della cd. Opzione Donna, allargando la facoltà di accedervi anche alle giornaliste, alle lavoratrici che fanno riferimento a casse previdenziali diverse dall'Inps e alle libere professioniste;

– prevedere un incremento della copertura figurativa per i periodi di interruzione lavorativa ai fini del raggiungimento dei requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico: i contributi figurativi riconosciuti per i periodi di tutela della maternità/paternità e per quelli di assistenza e cura del coniuge o del parente di primo grado;

– per le aziende che rimuovono le disparità salariali vengono introdotte misure premiali;

– tutte le imprese sono tenute a presentare il Rapporto annuale sulla situazione del personale e sul divario retributivo fra i propri addetti;

– tutte le amministrazioni pubbliche e le imprese private devono avviare programmi di audit interno per rilevare e prevenire molestie, violenze e discriminazioni sul luogo di lavoro. A tale scopo viene nominata una figura di riferimento interna all'azienda per la valutazione del rischio, secondo il modello implementato dal Metodo Scotland;

– obbligo di corsi di aggiornamento aziendali per l'abbattimento di stereotipi di genere e per la presa di consapevolezza di diritti. Deve essere richiesta all'azienda una relazione gender sensitive sul proprio operato;

– devono essere previsti sgravi contributivi e fiscali per chi assume donne vittime di violenza di genere inserite in appositi programmi di protezione al fine di garantire il pieno reinserimento nel tessuto sociale, economico e produttivo.

In definitiva occorre superare la grave situazione italiana che vede meno della metà delle donne impegnata in attività lavorative e professionali e raggiungere la media europea di occupazione femminile che è appunto del 62 per cento.

Questa classe dirigente non accoglie le istanze e i progetti dal basso che farebbero solo fare un salto di qualità al nostro Paese oltre a risolvere uno dei drammi che ci caratterizzano nello scenario europeo e cioè la disoccupazione femminile.