Niente affidamento in prova ma carcere per la madre violenta senza un background di disagio sociale, 12 settembre 2011

da | Set 21, 2011 | Anno 2011

Niente affidamento in prova ma carcere per la madre violenta senza un background di disagio sociale
La Suprema corte ammonisce i genitori egocentrici
 

Quando la violenza contro i minori non nasce dal degrado sociale ma dall’egocentrismo dei genitori che diventano violenti non appena la cura dei piccoli li costringe a qualche notte ‘in bianco’, la magistratura di sorveglianza agisce correttamente negando l’affidamento dei soggetti aggressivi ai servizi sociali preferendo lasciarli in cella. Lo sottolinea la Cassazione che, in simili casi, dimostra di preferire, al massimo, la concessione della semilibertà per lo svolgimento del lavoro esterno e il rientro notturno nell’istituto di reclusione. In particolare la Suprema Corte, con una decisione della Prima sezione penale, ha confermato il ‘no’ all’affidamento in prova e il ‘sì’ alla permanenza in carcere, nei confronti di una giovane madre milanese che "dopo la maternità vissuta come completamento della sua personale scala di successi (matrimonio, lavoro, prima casa), aveva volto in rabbia e aggressività la frustrazione patita alle prime difficoltà nella cura della sua neonata". Con la complicità del marito, l’imputata aveva maltrattato e picchiato la piccola di pochi mesi, tanto da "procurarle lesioni gravissime" e "danni permanenti". La donna era stata condannata a sei anni di reclusione, tre dei quali coperti dall’indulto, e aveva chiesto di essere affidata ai servizi sociali. Ma il Tribunale di Sorveglianza di Milano, lo scorso novembre, non aveva accolto l’istanza rilevando che un simile comportamento non era addebitabile ad "eventuali situazioni di emarginazione sociale o di disoccupazione" e che, dagli atti, risultava che la violenza era scatenata dall’egocentrismo della donna.
La madre in questione – avevano scritto i giudici di merito – aveva un "atteggiamento sconcertante" mirato a "mimetizzare le proprie responsabilità, con una considerazione distaccata dei fatti, quasi che interessassero altra persona". Per tale motivo era stata esclusa una valutazione favorevole al suo inserimento in un percorso di "rieducazione": "la misura alternativa poteva essere vissuta ancora una volta in chiave di deresponsabilizzazione". La Suprema Corte ha ritenuto "congruamente" motivato il ragionamento seguito dalla magistratura di sorveglianza che, su disposizione degli ‘ermellini’, dovra’ prendere in considerazione l’ipotesi di concedere la semilibertà che consentirebbe alla donna di andare a lavorare rientrando la sera in carcere.