Non basta la testimonianza della vittima per la condanna di violenza sessuale se le dichiarazioni non coincidono con il racconto dei presenti
Rilevanti le incongruenze denunciate dalle due presunte aggredite
Per configurare il reato di violenza sessuale non è sufficiente la testimonianza della vittima se le dichiarazioni non sono attendibili e confermate. Lo ha sancito la Corte di cassazione con la sentenza 21909 del 22 maggio 2013.
La terza sezione penale ha ribaltato la decisione della Corte d’appello di Sassari che aveva confermato la colpevolezza emessa dal Gup nei confronti di un 38enne per il reato di violenza sessuale aggravata nei confronti di una donna (che aveva cercato di baciare toccandola nelle parti intime) e quella privata nei confronti di un’altra (per aver bloccato l’auto delle due impedendo loro di allontanarsi). Per la Suprema corte, la Corte di merito ha errato a condannare l’uomo sulla base alle dichiarazioni della donna che lo ha accusato di violenza sessuale visto che tali affermazioni sono risultate inattendibili e in contraddizione con quelle dell’altra donna presente al momento dell’episodio in questione. In particolare, sono risultate «nel proporre denuncia potesse essere animata da seri motivi di risentimento personale». Al riguardo, si legge in sentenza che «in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l’attendibilità del teste. Il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione dì nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. L’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità ai riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento. Insomma, alla Corte d’appello di Cagliari il nuovo giudizio, visto che la motivazione circa credibilità soggettiva della “vittima” appare illogica perché dà per scontata l’assenza di dati da cui desumere che «nel proporre denuncia potesse essere animata da seri motivi di risentimento personale».