Non commette reato il genitore con gravi problemi psichici che non mantiene i figli, 23 settembre 2010

da | Set 23, 2010 | Anno 2010

Non può essere condannato per essersi sottratto agli obblighi di assistenza nei confronti dei figli il genitore con gravi disturbi psichici che non è in grado di rendersi conto che li priva dei mezzi di sussistenza.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza 34333 di oggi, ha accolto il ricorso di un uomo di Lecco condannato dalla Corte d’Appello di Milano per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza ai due figli minori. L’uomo, come accertato dalla perizia psichiatrica, era affetto da un grave disturbo della personalità che lo portava sospettare degli altri e incideva negativamente sulla sua capacità intellettiva, anche se, secondo il perito, permaneva comunque una capacità di volere. Il padre dei due minori da un lato si preoccupava per loro in modo quasi ossessivo, dall’altro li privava del sostentamento. Si trattava insomma di una seminfermità mentale che aveva indotto i giudici d’appello a riconoscere la diminuente del vizio parziale di mente, la pena era quindi stata ridotta a un mese e dieci giorni di reclusione. I legali dell’uomo impugnavano la condanna, sostenendo che, in virtù del disturbo paranoide del loro assistito, dovesse essere completamente escluso l’elemento soggettivo del reato. La sesta sezione penale ha accolto la tesi difensiva e ha stabilito che, proprio l’autonomia tra le nozioni di imputabilità e colpevolezza impone “l’indagine in ordine alla sussistenza o meno, nel comportamento tenuto dall’agente, dell’elemento soggettivo del reato, indagine che implica la verifica in concreto dell’eventuale incidenza che lo stato patologico può avere avuto sulla condotta considerata, per stabilire se questa si riveli alterata in modo sostanziale nella sua connotazione psicologica”. Indagine che, nel caso del padre di Lecco, avrebbe dovuto considerare che “il grave perturbamento psichico di cui era portatore l’imputato all’epoca dei fatti si è inevitabilmente riverberato, per quello che emerge dalla stessa sentenza impugnata, sulla normalità del processo rappresentativo e volitivo del medesimo imputato”. Con queste motivazioni gli Ermellini hanno annullato la condanna inflitta all’uomo.