di Isa Maggi
Nel Tempo che stiamo vivendo occorre cambiare il paradigma imprenditoriale che si caratterizza per il rifiuto di un modello fondato sullo sfruttamento della Natura e delle persone a vantaggio di un modello centrato sulla logica della reciprocità, per dare un senso alle nostre vite e alle attività di impresa. Il recente libro di Stefano Zamagni accoglie proprio questa sfida di civiltà e introduce nella Humanistic Management il concetto di responsabilità: ciascuno /a di noi, dotandosi di coraggio e saggezza, deve rispondere ai bisogni del umanità e della Madre Terra.
A fronte di una nuova coscienza del consumatore-socialmente-responsabile, a cui non basta più il rapporto qualità-prezzo ma vuole sapere come e dove quel bene è stato prodotto e se nel corso del processo produttivo l’impresa ha violato i diritti fondamentali dei lavoratori e delle lavoratrici oppure ha inquinato l ‘ambiente, esiste una nuova figura di imprenditore/ice che valuta l’impatto ambientale e sociale che la sua attività determina sui beni e prodotti che acquista e che produce.
Le donne imprenditrici in particolare, in molte parti del Pianeta stanno dimostrando che tutti/e noi, siamo responsabili nei confronti delle nostre Comunità, “il Clima siamo noi.”
Le donne imprenditrici sanno accogliere le trasformazioni salvaguardando le culture locali e senza rifiutare il processo di trasformazione in atto. Nel tentativo di uscire da una dimensione di dipendenza economica e di impoverimento progressivo di molte parti della società, il modello imprenditoriale che le donne stanno portando avanti mette al centro i bisogni delle persone come i servizi, l’educazione, la salvaguardia dei consumi all’interno di un nuovo welfare aziendale.
Le donne stanno cercando di mettere in azione un’economia basata sulla cooperazione, per scardinare la dimensione centro/periferia, noi/voi, lavoratori/lavoratrici, imprenditori/ici, tra paesi “supersviluppati” e paesi “sottosviluppati” generata prima dal sistema capitalistico e più recentemente dal nuovo liberismo.
Ecco una interessante intervista a Paola Perini, classe 1962, conosciuta durante la mia presidenza nella Rete degli incubatori italiani. Paola ha un cv che parla di tecnologia, innovazione e promozione dell’imprenditorialità femminile. Già coordinatrice di Innovami, incubatore di impresa a Imola, Perini è adesso socia di Impact Hub Milano, co-working, acceleratore e incubatore per l’innovazione sociale della rete di 85 impact hub a livello mondiale con più di 15.000 membri . Da più di 15 anni Paola è consulente e mentor per lo sviluppo di nuove imprese high-tech, ambito B2B, nelle fasi seed ed early stage (ICT, energetico e ambientale). “All’inizio del mio percorso professionale ho sempre ignorato il tema dell’identità di genere. Poi mi sono resa conto che, specialmente in Italia, per una donna era più difficile avere il riconoscimento economico e di grado”.“Mi sono specializzata in design, gestione e valutazione di progetti di R&D di medio-lungo termine, che conducessero a prodotti e servizi vendibili, realizzati da enti di ricerca pubblici e privati e da medio-grandi imprese e finanziati in particolare da programmi europei . Ho lavorato sempre e soprattutto con uomini, tecnologi, ingegneri, tecnici, e poi professori, imprenditori e sempre poche donne e quelle poche si conquistavano il migliore spazio possibile come assistente di qualcuno”. E poi i viaggi in Giordania, Siria, Nepal e Tanzania dove Paola si è occupata di dare supporto allo sviluppo di modelli di “incubazione virtuale” per l’imprenditorialità di donne in villaggi fuori dalle periferie di grandi città.Già allora pensavamo che non fosse più necessario creare incubatori fisici.
“Il mestiere di imprenditrice non è facile”, dice Perini, “è uno sport di fondo che richiede tempo e un atteggiamento mentale adeguato”. Se dovesse dare tre suggerimenti a donne che vogliano realizzarsi con una attività imprenditoriale? “Insistere se le cose vanno male, non è detto che un momento di difficoltà dipenda da te. Il secondo consiglio è di lavorare il più possibile insieme ad altre donne, è molto più facile trovare soluzioni. Il terzo è ricordare che ci sono cambiamenti grandi a cui le donne possono partecipare, ma già nelle piccole azioni di ogni giorno possiamo realizzare qualcosa di nuovo, specialmente se usiamo la nostra capacità di ascolto e ci concentriamo su imprese di nuova nascita, prodotti e servizi per le persone. E aggiungerei tre caratteristiche che aiutano in partenza: formazione continua, capacità di prendere le decisioni nei tempi giusti, resistenza”.
Saremo ad Aosta nei prossimi giorni, con gli Stati Generali delle donne, a parlare di imprese di montagna.
Per organizzare questo importante incontro abbiamo tratto ispirazione dalla “Risoluzione dell’assemblea plenaria delle donne della montagna”, un documento del 1997, ma ancora molto attuale.
“Le donne, nel corso dei secoli, sono riuscite a sopravvivere in ambienti limite, mantenendo uno stretto rapporto con la natura, sfruttando le risorse ma conservando e curando il territorio nello stesso tempo, senza rinunciare alla magia ed alla poesia, che le hanno trasformate in custodi della memoria e in compositrici di canzoni. Le nostre montagne, che per secoli sono state tenute ai margini delle vie di comunicazione e di sviluppo sociale e culturale, sono state testimoni dell’affermazione di una cultura e di una società al femminile: anche perché, spesso, gli uomini mancavano, emigravano, o lavoravano lontano. Ancora oggi, la maggior parte delle iniziative di microeconomia e di economia identitaria sono portate avanti dalle donne: dove rimangono loro, la montagna vive, dove le donne se ne vanno, la montagna muore. Il futuro delle Alpi sta nelle loro mani”.
Le donne della montagna rivendicano il riconoscimento del loro ruolo per la conservazione e la trasmissione della memoria e delle tradizioni, per lo sviluppo sociale, economico e culturale delle comunità di montagna, con particolare attenzione ai valori identitari e ambientali. Esprimono un forte richiamo alla società e ai responsabili dei governi locali, regionali, nazionali e comunitari affinché vengano definite delle forti politiche di azione fondate sulla valorizzazione del ruolo femminile a tutti i livelli con le seguenti motivazioni:
1. Le donne non solo perpetuano la vita, ma sono anche riuscite a sopravvivere in ambiente limite, sfruttando le risorse della natura, conservando e curando il territorio nello stesso tempo. Senza rinunciare alla magia e alla poesia.
2. Dove le donne se ne vanno la montagna muore. Ancor oggi la maggior parte delle iniziative di microeconomia e di economia identitaria sono portate avanti dalle donne: dove rimangono loro la montagna non muore, ma intraprende uno sviluppo diverso, in sintonia con la terra, sfruttando l’opportunità che questa offre agli esseri umani.
3. Le donne sono uno degli elementi più dinamici della microeconomia alpina, senza dimenticarsi delle proprie origini. Sono riuscite a conservare la memoria della tradizione, senza rinunciare all’innovazione e alla rivendicazione dei diritti fondamentali.
4. Intendono tutelare il patrimonio culturale delle loro comunità di montagna. Esprimono forte attenzione e sostegno a tutte quelle azioni che si fondano sui valori identitari e sulla formazione permanente quali formidabili leve per uno sviluppo che soddisfi i bisogni sociali, economici e culturali per guidare le comunità di montagna verso una pari dignità con le comunità urbane e di pianura.
5. Intendono essere garanti di un rapporto equilibrato tra sviluppo e tutela del territorio inteso nei suoi valori ambientali, storici, architettonici, paesaggistici e culturali, ecc., al fine di garantire la permanenza delle comunità alpine all’interno di ecosistemi naturali ricchi di spazi vitali per gli animali, le piante e tutte le altre componenti della natura”.
E con questa risoluzione ripartiamo per una nuova e importante riflessione sulle imprese femminili.
Isa Maggi
Stati Generali delle Donne
Bibliografia:
L’Alpe, donne di montagna, Priuli & Verlucca, Editori, di Raoul Merzario, Patrizia Audennio, Pier Paolo Viazzo e Paola Corti.
La memoria degli anziani ticinesi alla fine del millennio, Ezio Galli e Giuseppe Padovani, Salvioni Arti Grafiche Edizioni, 2000.
Il fondo del sacco, Plinio Martini, Casagrande Edizioni