Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati
Circa il 50% della popolazione mondiale di rifugiati è costituita da donne e bambine. Private della protezione della loro casa, del governo del proprio Paese e spesso della loro stessa famiglia, le donne rifugiate sono particolarmente vulnerabili. Spesso devono affrontare lunghi viaggi per cercare rifugio fuori dal proprio Paese e, anche quando sembrano aver trovato un luogo apparentemente sicuro, devono sopportare indifferenza, molestie e abusi sessuali. Le donne rifugiate affrontano tutto questo mentre sono madri, insegnanti e capofamiglia. Negli ultimi anni, l’UNHCR ha sviluppato una serie di programmi speciali per fare in modo che, mentre cercano di ricostruire la propria vita, le donne rifugiate abbiano pari accesso a protezione, beni e servizi di prima necessità.
Se si visita un campo profughi, l’immagine che colpisce è quella delle donne con i loro bambini. Donne spesso sole che, assieme ai propri figli, rappresentano l’80% dei rifugiati e degli sfollati presenti nel mondo. È su loro che cadono i soprusi piú duri durante la fuga da casa e nella realtà del campo.
Le rifugiate si lasciano dietro padri, mariti e fratelli che combattono in guerra, che giacciono sotto terra, che sono detenuti in prigione. Mentre scappano in una zona di guerra rischiano lo stupro o altre violenze da parte dei combattenti. Nei conflitti piú recenti lo stupro è stato deliberatamente e strategicamente usato come arma di guerra, al fine di affermare la pulizia etnica. La sofferenza causata dallo stupro non finisce con la cessazione della violenza. Le donne si portano dietro per la vita il trauma psicologico. A volte vengono rifiutate dalle stesse famiglie e dalla comunità, debbono sostenere gravidanze non volute o si ammalano di malattie che si trasmettono per vie sessuali.
La protezione e l’assistenza delle donne rifugiate rappresentano una priorità nell’ambito delle attività dell’UNHCR, che ha quindi introdotto in diversi Paesi progetti di assistenza medica e psicosociale per le donne che hanno subito violenza.
Le donne rifugiate rappresentano quasi sempre l’unica speranza di sopravvivenza per i figli, proprio nel periodo in cui sono meno in grado di sopportare questo peso da sole. Ogni giorno è una sfida. Si comincia all’alba facendo la fila per l’acqua in mezzo al fango del campo profughi. Poi, le taniche da trasportare fino alla tenda. E ancora chilometri e chilometri di cammino per raccogliere qualche ramo secco con cui cuocere gli ingredienti della razione alimentare. Cibo che, molto spesso, viene distribuito dagli uomini secondo criteri arbitrari, a volte dirottato per altri scopi o venduto al mercato nero.
Oltre a fornire i beni di prima necessità, l’UNHCR cerca di coinvolgere direttamente le donne nella gestione dei programmi di assistenza. Purtroppo la partecipazione delle donne a queste attività può essere ostacolata da atteggiamenti culturali, da mancanza di capacità o scarsa stima personale. L’UNHCR organizza per le donne rifugiate corsi di alfabetizzazione e di formazione di base, oltre a lezioni di economia elementare, al duplice scopo di coinvolgerle nell’esecuzione dei programmi di assistenza e di fornire loro la possibilità di lavorare una volta tornate a casa. Ad esempio, alle donne si insegnano mestieri che producono reddito, come riparare biciclette o fare lavori di falegnameria.
Anche nella fase di rimpatrio, l’UNHCR continua il suo lavoro a fianco delle donne. Nel caso del Rwanda, è stato avviato un programma di formazione per le donne parlamentari che sono rientrate dall’esilio e che include l’elaborazione di una legislazione sulle pari opportunità. In Liberia, l’UNHCR sostiene le organizzazioni non governative (ONG) e la società civile nella promozione dei diritti delle vedove rimpatriate che vengono per legge estromesse dalle eredità. In Guatemala, viene esercitata pressione per il rispetto dei diritti delle donne rimpatriate nel settore della proprietà terriera e promossa la loro partecipazione a progetti di credito per l’acquisto di terreni.