Pensioni: ancora disparità

da | Set 11, 2011 | Editoriali

Pensioni: ancora disparità 

A partire dal 2022, in modo graduale, le donne andranno in  pensione a 65 anni come gli uomini. Dunque la parità di genere nel mondo del lavoro è stata raggiunta?
No.
La decisione presa con questa  manovra economica, di portare in avanti l’età di pensionamento delle lavoratrici di tutti i settori, non è dovuta affatto al riconoscimento di una parità di diritti e di trattamento fino alla pensione.
Perché non è in discussione la disparità di genere che ancora vige all’interno delle carriere, della parità di stipendio a parità di lavoro, di pari possibilità ma solo il fine rapporto.
Le donne andranno in pensione più tardi solo per quella che è stata ritenuta un’opportunità per il risanamento del Paese, ormai allo stremo.

Come in guerra! Quando le donne hanno dovuto rimboccarsi le maniche ed intervenire nel periodo della ricostruzione per sostenere e sostituire ciò che altri non riuscivano (o purtroppo non potevano) fare. Le donne come mano d’opera di risulta, di necessità, di sfruttamento salvo disfarsene al momento opportuno.

Quello che n on è stato considerato e non si dice, è che l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne non  sarà un dato indolore.
In particolare questo cambiamento avrà una forte ed inevitabile ricaduta sociale dal momento che le esse non sono sempre solo presenti nel mercato del lavoro, ma svolgono con temporaneamente ruoli di cui la società non può e non potrà (salvo una lungimirante riforma del welfare) farne a meno.
Esse sono madri, accudiscono gli anziani, i malati, sostituiscono la carenza di servizi territoriali. Si dice che campano di più! Forse troppo? E per fortuna. Ma il risultato dell’equazione è che vadano sfruttate di più.
I costi di questa manovra saranno quindi pagati, direttamente o indirettamente ed in modo sproporzionato, ancora una volta dalle donne.

Da almeno due decenni si è discusso del problema della conciliazione tra famiglia e lavoro, dei tempi e dei ruoli, delle responsabilità familiari, la necessità di servizi sostitutivi di cui non si ancora vista una sufficiente realizzazione.
L’Europa ci richiama?
Ma gli altri paesi europei hanno un diversa organizzazione sociale che non ha bisogno di madri, suocere, sorelle, cognate e costose colf che vadano a sostituire l’insufficienza dei servizi.

Il contributo che le donne hanno sempre dato, ancora oggi, è un contributo di grandi sacrifici di cui non è riconosciuto l’elemento umano e il valore economico. L’occupazione femminile non è sostenuta per queste carenze che le obbligano a prestare un ruolo ed un contributo di cura.
Ha ragione la sociologa Chiara Saraceno a ribadire che “le donne appaiono nell’agenda politica come lavoro gratuito dato per scontato (e se possibile intensificato) e come responsabili di una spesa pubblica fuori controllo. Cittadine diseguali cui si chiede di pagare costi aggiuntivi per la propria disuguaglianza”.

Viene da domandarsi se, visto che le donne possono fare tutto ( sostenere il welfare, lavorare, andare in pensione come gli uomini), non sarebbe giusto anche farle governare per cambiare le iniquità presenti oggi, confermate da una manovra che per inseguire l’emergenza non si preoccupa di avviare i  cambiamenti di cui le donne sono portatrici.
Non nell’interesse di un genere ma di tutta la società.

l’Indro, 09, 09, 2011