Niente tetto massimo all’indennità di maternità delle donne avvocato prima della riforma del 2003. Infatti all’epoca la Cassa doveva parametrare tale indennità al reddito dichiarato dalla professionista. Ora, invece, va calcolato sul solo reddito professionale
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 22023 del 28 ottobre 2010, ha accolto il ricorso di una professionista che aveva chiesto un’indennità di maternità pari all’80% dei 5/12 del reddito complessivo (e non solo di quello professionale).
La donna aveva dichiarato nel 2009 quasi 5 miliardi delle vecchie lire. Aveva quindi chiesto un’indennità di maternità pari a 855mila euro. La Cassa gliene aveva accordati soltanto 23mila, “avendo ritenuto di dover contenere l’importo da erogare con l’effettuare il calcolo indicato nei limiti della parte dei compensi professionali assoggettati al contributo del 10%”.
L’avvocato aveva impugnato la decisione di fronte al Tribunale di Roma che aveva accolto, accordando alla professionista un’indennità di 300mila euro. Le cose erano andate poi diversamente do fronte alla Corte d’Appello che aveva ridotto l’importo.
Così l’avvocato ha fatto ricorso in Cassazione e lo ha vinto in pieno. La sezione lavoro lo ha accolto sostenendo che la riforma introdotta con la legge n. 289 del 2003 non è retroattiva.
“Il legislatore dell’epoca (dal 1990 al 2003), – hanno motivato i giudici – evidentemente valutando che la percentuale di donne esercenti libere professioni fosse esigua rispetto all’universo dei soggetti tenuti al (modesto) contributo finalizzato all’indennità maternità, ha ritenuto di espandere fino quasi (salvo infatti l’abbattimento del 20%) al massimo l’ampiezza possibile della tutela economica”. Quando poi è cresciuta la presenza delle donne nelle libere professioni e la quota non irrilevante di esse ha cominciato a raggiungere vertici di reddito in precedenza impensabili, il legislatore è intervenuto a rimodulare la tutela con la legge 15 ottobre 2003 n. 289, ancorando il trattamento economico di maternità al reddito strettamente professionale e stabilendone un tetto massimo, seppur elevabile su iniziativa delle singole Casse, proprio in rapporto alle capacità reddituali e contributive della categoria professionale e alla compatibilità con gli equilibri finanziari dell’ente.
“Tale legge, che sicuramente non può ritenersi interpretativa della precedente o comunque retroattiva, costituisce infine la conferma della inesistenza in precedenza di un limite massimo dell’indennità di maternità delle professioniste e quindi della correttezza della interpretazione qui resa”.