Gea Finelli, l’autrice, ci restituisce in questo bel libro, un’ immagine senza filtri di una delle più grandi scrittrici del ‘900, Elsa Morante.
Nata a Roma il 18 agosto 1925, dove è morta nel novembre 1985.
Prima donna a vincere il Premio Strega nel 1957 con L’Isola di Arturo. Il suo itinerario letterario segna la sua e la nostra storia. Lo scialle andaluso, Aracoeli, Menzogna e sortilegio, La storia, i titoli maggiormente rappresentativi della sua scrittura.
Se della letterata si può ormai conoscere quasi tutto, anche grazie ai motori di ricerca a disposizione, quello che non si sarebbe potuto sapere, comprendere, riflettere, è la parte più nascosta, più sofferta, più riservata che viene messa in luce, non inventata, da Gea Fanelli e messa a disposizione dalla sensibilità editoriale della casa editrice Nutrimenti.
Cosa è questo di più che si avverte fin dalle prime pagine del libro? Forse il luogo, certo affascinante al punto di vederla stregata. Forse la popolazione, semplice, aperta, reale. In molte pagine ci viene descritto questo rapporto o questo legame straordinario a quest’isola che Elsa vive come la sua casa.
Quella su cui voglio soffermarmi, però, è la sfera dei sentimenti che Gea Finelli descrive con una vena di solidarietà di genere che ci rende partecipi oltre il racconto.
Certo un a personalità complessa, quella della Morante.
Ma anche una donna “fortunata”, secondo alcuni stereotipi. Sposata con uno dei più grandi scrittori italiani Alberto Moravia, la vicinanza ad un mondo culturale di grande spessore in cui lui la catapulta e la sostiene Eppure Elsa non è stata mai felice e il suo matrimonio, durato ben 25 anni, entrerà presto in una profonda e irreversibile crisi. Ciononostante, o appunto, essi trasformarono nel tempo i loro sentimenti in letteratura di cui forse entrambi non avrebbero potuto fare a meno.
Di questa infelicità sicuramente l’elemento chiave è il grande amore che umilia e divora la Morante per il regista Luchino Visconti. Una passione che forse scoppiò proprio durante una delle lunghe e traditrici assenze del marito.
Di questo secondo grande e impossibile amore si nutre proprio il periodo in cui la scrittrice visse a Procida, luogo testimone muto di questo sentimento che rende la Morante l’interprete ideale di “vittima di violenza psicologica” da parte dell’uomo. Visconti infatti, pur accettando il gioco dell’amore, di un apparente relazione, non soddisferà mai i desideri di Elsa. Nessuna relazione stabile, nessun ruolo di coppia, nessuna prospettiva.
Più il rapporto si mostrerà impossibile, più il desiderio di Elsa si accende, più viene respinta più lo brama. Lo inventa, lo aggiusta, lo perdona. Un bisogno di autodistruggersi dietro l’impossibile.
Non è diversa e come tante altre donne, anche lei sentirà il morso velenoso dell’umiliazione a cui non si sottrarrà.
Con la sua superba scrittura inventerà l’amore, i perché di un rifiuto, le giustificazione per non provare il disprezzo di sé. Cercherà conforto anche in Moravia (al quale la stranezza delle situazioni si confaceva), nell’affetto rimasto. Inutilmente.
Vittima degli altri, di se stessa, la Morante, ci viene incontro nella lettura scorrevole e avvolgente di questo libro, come una che abbiamo conosciuto o riconosciamo. In questa sua fragilità ci immergiamo e le rendiamo grazia.
Da leggere d’un fiato.