Più donne nei Cda entro il 2026, anche per migliorare l’occupazione femminile in UE

da | Giu 24, 2022 | Europa

L’accordo politico tra il Parlamento e Consiglio Europeo sulla direttiva finalizzata a ridurre il divario nei consigli di amministrazione è soprattutto una spinta verso l’incremento dell’occupazione femminile.

Dopo le decisioni che il Consiglio Europeo aveva preso lo scorso 14 marzo sul tema, il 7 giugno è arrivato anche un accordo politico provvisorio per un nuovo atto legislativo dell’UE con il Parlamento Europeo che ha anticipato di un anno i tempi per raggiungere gli obiettivi.

Nel comunicato stampa del 7 giugno 2022 si legge:

“Un paese che, prima dell’entrata in vigore della direttiva, abbia compiuto progressi che lo rendono prossimo al raggiungimento degli obiettivi o abbia adottato una legislazione altrettanto efficace può sospendere i requisiti della direttiva relativi alla procedura di nomina o di selezione”.

Ma i dati sulla mancata parità di genere nei consigli di amministrazione dicono che c’è ancora molto lavoro da fare. Le decisioni spettano ancora agli uomini, soprattutto in ambito economico, e a farne le spese sono le donne, che pur rappresentando il 60 per cento delle persone laureate nel mercato del lavoro.   continuano ad essere discriminate.

“L’accordo raggiunto oggi in sede di Consiglio rappresenta una tappa importante. Invoco il rapido avvio dei negoziati con il Parlamento europeo per giungere all’adozione definitiva di questa direttiva che consentirà di combattere il soffitto di cristallo che troppo spesso le donne devono ancora affrontare nel mondo del lavoro” cosi comunica Élisabeth Borne, ministra francese del Lavoro, dell’occupazione.

Soddisfazione era stata espressa anche dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Andrea Orlando:

“L’incremento femminile nelle posizioni di leadership rappresenta un elemento strategico per le nostre economie – ha proseguito Orlando – e un mezzo irrinunciabile per promuovere il pieno esercizio dei diritti delle donne e la loro partecipazione attiva alla società. Per questo il nostro non è stato solo un sì, bensì un convinto sì alla direttiva Ue sul miglioramento dell’equilibrio di genere nei Cda delle imprese.”

Entro il 2026 le amministratrici senza incarichi esecutivi dovrebbero rappresentare almeno il 40 per cento o il 33 per cento di tutti i membri del consiglio di amministrazione: sono questi gli obiettivi, alternativi tra loro, che intende fissare la direttiva su cui il Consiglio UE, partendo dalle decisioni dello scorso 14 marzo 2022, ha trovato un accordo con il Parlamento europeo il 7 giugno.

L’orientamento prevede che siano gli Stati membri, e non le società, a stabilire quale sia il risultato da raggiungere.

Dal momento che le società quotate hanno sede legale in uno Stato membro ma le loro azioni sono ammesse alla negoziazione su un mercato regolamentato in uno o più Stati membri, si chiarisce che la società dovrebbe uniformarsi alle regole previste nel paese in cui ha la sede legale, e non quello nel cui mercato regolamentato negozia le sue azioni.

Le società non in linea con gli standard dovrebbero procedere a nomine oppure a elezioni di amministratori applicando criteri chiari, univoci e formulati in modo neutro.

In linea generale, ogni paese dovrebbe garantire che tra candidati/e con pari qualifiche, in termini di idoneità, competenze e rendimento professionale, le società diano priorità al candidato del sesso sottorappresentato.

Le società quotate dovrebbero uniformarsi all’obiettivo minimo del 40 o del 33 per cento entro il 2026:

  • introducendo norme procedurali per la selezione e la nomina degli amministratori senza incarichi esecutivi dei consigli di amministrazione;
  • comunicando quali misure hanno adottato e hanno intenzione di adottare per raggiungere l’obiettivo.

In linea generale la proposta di direttiva prevede:

  • un livello minimo di armonizzazione dei requisiti sul governo societario: le decisioni di nomina dovranno basarsi su criteri oggettivi;
  • misure integrate di salvaguardia in grado di garantire che non ci sia alcuna promozione automatica e incondizionata del sesso sottorappresentato;
  • preferenza per il candidato del sesso sottorappresentato con le stesse qualifiche, a condizione che non ci siano i presupposti oggettivi per scegliere il candidato dell’altro sesso.

Su questi pilastri si basa l’accordo raggiunto tra gli Stati membri, che ha aperto i negoziati tra il Consiglio e il Parlamento europeo per definire una posizione comune.

Sul fronte della parità di genere nei cda, l’Italia nell’ultimo decennio ha fatto passi da gigante passando da una componente femminile del 7 per cento nei consigli di amministrazione del 2011 al 38,8 per cento del 2021.

E la spinta è arrivata proprio da una norma ad hoc: con la Legge numero 120 del 2011, infatti, è stata introdotta la necessità di riservare delle quote di presenza al sesso meno rappresentato.

Il testo attualmente in vigore prevede una rappresentazione di almeno due quinti degli amministratori eletti.

Nelle previsioni del Consiglio UE, il nuovo orientamento finalizzato a ridurre il divario di genere nei cda dovrebbe avere ripercussioni positive sull’occupazione femminile in generale.

E di passi avanti in questo senso c’è sicuramente bisogno anche in Italia.

Nonostante i dati positivi sulle presenze nei consigli di amministrazione: dopo aver toccato il 50 per cento nel 2019, infatti, il tasso di occupazione femminile nel 2020 è sceso al 49 per cento e il divario rispetto a quello maschile è arrivato a 18,2 punti percentuali.